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New Orleans, migliaia di morti sotto le acque

Publie le venerdì 2 settembre 2005 par Open-Publishing

Dazibao Governi Catastrofe USA Daniele Zaccaria

di Daniele Zaccaria

Il fiume di liquame e detriti scivola nei vicoli e invade la città; una parte di New Orleans galleggia da giorni, aggrappata alle poche cose rimaste intatte e sopravvissute agli effetti collaterali dell’uragano "Katrina": televisori, indumenti, divani, copertoni, ortaggi, gabbie di animali domestici. Pezzi di vita trascinati via dalla corrente in paesaggio anfibio e post-atomico. Nei punti dove le acque non superano il metro di altezza, c’è chi prova a muoversi a piedi, inforcando le galosce e raccogliendo gli effetti personali in improvvisate valigie, per lo più buste di plastica. Camminano come fantasmi, in cerca di amici e parenti, o per sfuggire all’ondata di violenza metropolitana che si sta scatenando nei quartieri, con gruppi di sciacalli e razziatori che prendono d’assalto case e negozi (soprattutto le invitanti armerie) nella totale assenza di forze di polizia.

Le autorità hanno chiesto a centinaia di agenti della Guardia nazionale di abbandonare le operazioni di soccorso per concentrarsi solo sull’ordine pubblico. Anche perché la Fema, l’agenzia che si occupa degli aiuti, ha alzato bandiera bianca: «New Orleans è troppo pericolosa per i nostri operatori, finché non sarà tornata la calma non possiamo farli lavorare». I testimoni raccontano di intense sparatorie e di piccoli incendi che si moltiplicano nei quartieri commerciali. La consegna del governo federale è «tolleranza zero», ma in simili condizioni è di fatto impossibile riuscire a ristabilire la minima parvenza di legalità. «Non riusciamo neanche a far funzionare i walkie talkie», spiega il capo della Polizia della Lousiana.

Nel Superdome, lo stadio municipale dove hanno trovato riparo i senza tetto la scena è dantesca. Stremate dal caldo, dalla fame e dalla sete, in condizioni igieniche spaventose, 25mila persone attendono ammassate di essere trasferite negli stati confinanti. L’evacuazione procede a passo d’uomo e non sono mancati momenti di panico. Come quando ieri mattina un elicottero si è avvicinato allo stadio per trasferire i feriti più gravi verso il Texas ed è stato raggiunto da decine di colpi di fucile partito da un gruppo di esagitati. Quasi centomila persone attendono intanto nei rifugi di emergenza, mentre sono più di quaranta gli ospedali da campo allestiti alle porte della città. Migliaia, forse di più, i dispersi in tutta la regione. Tra di loro anche il pianista Fats Domino, legenda del rock, che da giorni non dà più notizie di sé.

L’altra parte della città, quella sommersa da milioni di tonnellate d’acqua, è ancora invisibile e muta. Nessuno sa cosa si nasconde sotto le paludi, ma ci si prepara a visioni strazianti, quando i liquami inizieranno ad asciugarsi e i cadaveri affioreranno dai fanghi. «I morti saranno a migliaia», dice tra le lacrime il sindaco Ray Nagin prima di evocare cupe prospettive per il futuro: «Il peggio deve ancora venire».

Oltre al dramma degli sfollati, alle case e ai monumenti distrutti, alle infrastrutture disintegrate, alle violenze urbane, al paesaggio naturale modificato per sempre, suscita grande allarme la situazione sanitaria della città del jazz, a dir poco esecrabile. Secondo gli esperti, il rischio di epidemie di tifo, colera e altri virus è altissimo, ma soprattutto destinato ad aumentare nelle prossime settimane, con il progressivo abbassamento dei livelli delle acque. Tanto più che per le operazioni di drenaggio dei canali ci vorranno «almeno sei mesi», ha ammesso il colonnello Richard Wagenaar, ufficiale del genio militare.

Il passaggio devastatore di Katrina sulla Lousiana e sul Mississippi è stato definito da media e uomini politici statunitensi come la più grande catastrofe naturale nella storia del Paese. Per alcuni osservatori si tratta di un evento persino «peggiore» dell’11 settembre, per altri ancora è uno «tsunami americano». Al di là delle similitudini e della portata effettivamente mostruosa delle inondazioni, il disastro di New Orleans verrà ricordato anche come un esempio di impreparazione e inefficienza da parte del paese più ricco e potente del pianeta, che convive da giorni con in piccolo Terzo mondo in casa. Perché non esisteva un piano di evacuazione articolato? Come è possibile che i soccorsi non abbiano funzionato a dovere? Come mai nessuno aveva previsto lo sfondamento delle dighe e lo straripamento del lago Pontcharian? Quesiti privi di risposta ma capaci di provocare un autentico terremoto politico. E il fatto che la gestione degli aiuti umanitari verrà affidata all’ex presidente Clinton non sembra movito di consolazione per chi è rimasto flagellato dalle inondazioni.

George. W Bush arriverà solo oggi sui luoghi del disastro: la furia di Katrina, per quanto fosse stata annunciata da tempo, l’ha colto alla sprovvista. Tra una villeggiatura al mare e una stretta di mano con foto ricordo a un noto cantante country, l’inquilino della Casa Bianca ha atteso giorni prima di raggiungere la Lousiana, non più di un’ora di volo dal suo ranch di Crawford. Finora si è limitato a «sorvolare» la zona alluvionata con l’elicottero e a scuotere la testa. Un comportamento fatuo, che ha innescato dure polemiche sulle proverbiali assenze del presidente nei momenti drammatici per la nazione. E il tardivo discorso alla nazione, pronunciato ieri mattina in diretta tv, non è poi servito a fugare i dubbi sul calibro morale e politico del capo di Stato.

La freccia più velenosa l’ha scoccata l’autorevole New York Times in un editoriale al vetriolo, dal titolo "Aspettando un leader": «A quale leadership può aspirare un’amministrazione che ha sempre minimizzato i danni dell’effetto serra? Sarà di qualche conforto pensare che, come ha annunciato Bush con compiacimento, l’America diventerà più forte dopo questa crisi? Il discorso che ha fatto è uno dei peggiori di sempre, casuale e al limite dell’insensibilità, una lista della spesa più adatta alla celebrazione di una Giornata dell’Albero che a una tragedia nazionale», scrive il quotidiano newyorkese, interpretando il pensiero di molti compatrioti.

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