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Bertinotti sfida Prodi

Publie le lunedì 5 settembre 2005 par Open-Publishing

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di Claudio Jampaglia

C’è chi dice che la sfida tra Prodi e Bertinotti sia per un’egemonia ciascuno nel suo campo. Può darsi, anche se ieri il professore ha definito "avversario" il segretario e precisato che sul programma "non ci sarà mediazione matematica" tra chi vince e chi perde (e in ogni caso a dicembre ci sarà l’assemblea per l’approvazione). Ma per capire di che pasta siano fatte le alternative in campo abbiamo provato un esperimento: seguire Romano Prodi nella tana di rete Lilliput a confronto con le economie di giustizia e poi Fausto Bertinotti a Cernobbio in mezzo al gotha dell’impresa italiana in cerca di leadership politica e di una ripresa che non c’è. Uno specchio rovesciato, da cui emerge almeno una risposta: ci sono due visioni in competizione che si esprimono anche nei luoghi più distanti del paese. La prima non vuole "strappi" per il futuro dell’Italia ma una "linea riformista" che riprenda il cammino dello sviluppo, la seconda vuole un progetto e un cambiamento sulle macerie del liberismo. Che piaccia o meno, si sceglie tra queste.

Fidenza, palazzetto dello sport, l’incontro/scontro davanti a un migliaio di persone tra i lillipuziani e Romano Prodi comincia quattro contro uno e finisce con una bella vittoria del professore. Pace, ambiente, economia, gli "altermondialisti" hanno scelto la richiesta di impegni precisi al più probabile presidente del consiglio, una raffica di domande elaborate in dibattiti elettronici che fanno onore alla democrazia della rete ma non stanano il professore. Comincia Lisa Clark dei Beati costruttori di pace, chiede un impegno sull’articolo 11 della Costituzione, un ruolo importante dell’Italia nel rilancio delle istituzioni internazionali e cancellare la ferita ancora aperta per tutti i pacifisti della guerra del 1999, "dicendo con noi mai più Kossovo". Gioco facile per Prodi, d’accordo sui primi due punti, d’altronde «l’Europa è nata per chiudere il ciclo di guerre più sanguinoso della sua storia e il suo allargamento è la sola garanzia di pace anche per i paesi della ex-Yugoslavia». Un laconico: «Non ero più al governo» per la guerra. E le servitù militari e la sovranità dell’Italia? «Pieno rispetto degli accordi internazionali, responsabilità attiva italiana, nessuna trascuratezza».

Si passa all’impronta ecologica e ai quattro pianeti necessari per sostenere i nostri consumi dissennati. Con Pil e crescita non si andrà avanti molto, dobbiamo porci il cambiamento del nostro modello di sviluppo, incalza il relatore Stefano Casarini del Politecnico di Milano. «E’ una necessità di vita, anche i numeri dicono non si può continuare così», risponde il presidente. La ricetta: risparmiare e promuovere industria solare ed eolica, consumi consapevoli da incentivare economicamente.

Si parla di energia ovviamente e il professore si spende sull’argomento, ma trancia sulle privatizzazioni con una battuta: «La mia bolletta è uguale con un privato o una municipalizzata, il punto sono le regole». E sulla sostenibilità dei trasporti? «Ho due idee: da una parte trasferire il trasporto merci sulle autostrade del mare compreso il Po e ferrovie per il trasporto di massa e metropolitano; dall’altra cambiare rotta sul trasporto quotidiano». Ovvero mettere mano all’urbanistica delle città medie che grida vendetta. Quando Antonio Tricarico della Campagna della riforma della Banca mondiale chiede un impegno per una competitività di segno diverso, Prodi va all’attacco: «Non so mica se ho capito bene? Per l’Italia la ripresa di competitività è innovazione e protagonismo, l’alternativa è la miseria, le fabbriche che chiudono ...». Ma c’è una qualità dello sviluppo da promuovere... «Ed è quello che ho fatto nell’Unione europea, la Cina è in crescita anche grazie a competenze, risorse e innovazione portate dai nostri produttori». Sul punto centrale del confronto, Prodi non si nasconde: «Non c’è pace se esistono barriere commerciali ed economiche» e rifiutare il liberismo sarebbe come tornare indietro, negare il mondo.

Riprende l’assedio l’economista Alberto Castagnola proponendo tre assi di sviluppo per l’Italia: occupazione giovanile e abolizione della legge 30, riconversione ecologica delle produzioni industriali, sviluppo dell’economia solidale. Le risposte sono una riforma della legge 30 basata sulla flessibilità necessaria, prodotti legati al risparmio energetico e una proposta di servizio civile obbligatorio (magari di sei mesi, anche a tappe). «I grandi discorsi di cambiamento del paese sono quelli che implicano tutti, non solo quelli su cui siamo d’accordo tra noi o che salvano le belle anime». Il Professore ha servito la sua lezione ai lillipuziani. Seguirà altro giro di domande e Prodi assumerà impegni importanti su una «seria stretta alle regole del commercio delle armi leggere» e su risorse alla cooperazione degne delle promesse mai mantenute, ma il più è fatto. La gente esce, c’è chi si rammarica del mancato "comizio" e tanti della rete comunque contenti «perché sono emerse le differenze tra noi e lui». Come dire: "non ci siamo svenduti a Prodi". Contenti loro, portiamo a casa gli impegni e riprendiamo la strada. Dalla bassa emiliana di caldo e zanzare a quel ramo del lago di Como che bagna Cernobbio. Non più sandali e bandiere della pace, ma grisaglie, elicotteri, un mare di "sicurezza" in auricolare; si cambia mondo.

Fausto Bertinotti viene ogni anno al Forum Ambrosetti di Villa d’Este per ascoltare lo "stato dell’economia" dalla voce di imprenditori e banchieri. Dalla competizione europea alla "cultura pro-business" è tutto un discutere di congiuntura e ripresa, con gran folla di ministri impegnati in un’agenda per l’Italia ormai agli sgoccioli. Bertinotti ascolta i dibattiti a porte chiuse, rilascia dichiarazioni su Bankitalia e continua a sostenere che la fine della legislatura sarebbe il solo atto sensato per il centrodestra, ma non siamo qui per l’attualità, vogliamo sapere come viene guardato dagli imprenditori un comunista che potrebbe finire al governo? «Con curiosità, soprattutto per le proposte che veniamo avanzando, considerate di bandiera qualche anno fa e oggi rientrate nel novero della politica». Aria di crisi, insomma, gli imprenditori hanno un’evidente necessità di politica. «Tre anni fa erano in attesa, l’anno scorso hanno subito lo shock, ora pensano di non farcela, non vedono uno sbocco. Abbandonate le magnifiche sorti progressive della globalizzazione liberista, comincia a serpeggiare l’idea della necessità di un’innovazione di modello. Rimangono prevalenti le istanze, come quelle rappresentate da Mario Monti, di riproduzione della capacità competitiva sulla base dei trattati europei e della sola legge di mercato. Ma questa logica è andata in crisi col rifiuto della Costituzione europea da parte francese, con la messa in discussione della Bolkenstein e persino della delocalizzazione. Ottimizzare il mercato e mitigarlo con qualche elemento sociale non è più possibile».

L’avversione ai "comunisti" rimane questione di classe con un sovrappiù di ansia da mani libere per "spremere il limone", ma c’è in ballo una svolta nel paese e gli imprenditori, da soli, non sembrano farcela, come ripete ipnoticamente anche Confindustria. Il problema è che sembra mancare un progetto che vada oltre ricerca e innovazione che tutti chiedono. «L’accettazione della caduta del tabù dell’intervento dello Stato sarebbe già un avvenimento» per dirla alla Bertinotti. I mugugni in sala quando la ministra francese illustrava il sostegno pubblico alla politica agricola parlano da soli. «C’è un fastidio, una prevenzione nei confronti dello Stato». È il liberismo, baby, che non vede l’innovazione della valorizzazione del territorio e delle produzioni locali, non promuove risorse umane e nuove capacità cooperative.

Ma allora è qui che vengono alla luce le differenze con il progetto Prodi di "linea riformistica di ripresa del cammino"? «Diciamo che vengono alla luce i nodi della nostra alleanza e il primo riguarda il blocco sociale. Politiche di riconversione industriale con elementi di valorizzazione dell’ambiente, delle risorse locali, del lavoro, devono poggiare su forze sociali che sostengono il cambiamento. E per farlo ci vuole una redistribuzione del reddito con una forte aggressione delle rendite a favore di salari, stipendi, pensioni e per liberare risorse». Giustizia sociale e tonificazione del mercato interno come proposta alla società italiana oltre che punto di programma. «Su questa sfida si misura la costruzione del blocco sociale, come la forza del partito. Non possiamo chiederlo a Prodi, siamo noi che proponiamo un confronto strategico al cui fondo c’è la questione della natura del capitalismo italiano e della riforma della società».

Come dire il progetto e il programma? «A Prodi diciamo che alcuni degli elementi più innovativi del programma comune andranno a sbattere contro l’assolutizzazione del mercato e le politiche liberiste. Il progetto di riconversione industriale, per capirsi, per lui è già compatibile, per noi ci vogliono riforme strutturali per uscire dal dominio del mercato e avviare un nuovo modello. Questo è il terreno della nostra competizione».

Quindi se Prodi vince la sfida della ripresa dello sviluppo equilibrato, abbiamo perso noi? «Prodi dice due cose che non stano insieme: aggredire gli squilibri attraverso una politica redistributiva, rimuovere elementi strutturali per alcune grandi questioni di giustizia sociale come l’abitare, la mobilità, l’organizzazione della vita collettiva, e una ripresa economica da giocare essenzialmente con le grandi opere e la riconversione.

Noi dissentiamo sul fatto che si possa far ripartire una parte dell’economia così com’è e dissentiamo sull’impatto di questa proposta sulla società italiana». Come dire: la Confindustria attacca i rentiers ma contemporaneamente rifiuta il rinnovo del contratto dei metalmeccanici accumulando una rendita da dumping sociale e a bocce ferme il sacrificio della ripresa lo pagheranno i soliti noti. «Il nucleo riformista che appoggia Prodi omette una valutazione dei rapporti sociali di classe. Mi accontenterei che Prodi dicesse che le rivendicazioni dei metalmeccanici sono condivisibili. Una competizione costruttiva accetta almeno su un punto di scontrarsi con la borghesia imprenditoriale del paese». Sembra uno scontro tra la conciliazione degli interessi e la ripresa del conflitto di classe? «Le macerie del liberismo si abbattono materialmente e soggettivamente tutti i giorni sul mondo del lavoro, gli industriali possono traccheggiare, per noi la crisi non può rimanere senza risposte, ci vuole una precipitazione di iniziativa politica e di progetto, ci vuole un cambiamento». Avanti con le primarie, allora, la chiarezza delle alternative e delle sfide in gioco parte da qua.

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