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31 gennaio 2006, 18:14

CALCI ALLA DEMOCRAZIA
a cura di Paolo De Gregorio – 12.01.06

Per chi avesse dubbi che la “democrazia” in Italia è solo lo scenario finto nel quale prevale la legge del più forte, li invito a leggere i fatti che accadono in questi giorni che riguardano il calcio e il denaro dei diritti TV, quale metafora del funzionamento ordinario dei conflitti di interesse più generali e di tutto il sistema di potere.
I fatti sono chiari e la posta in gioco anche: in estrema sintesi si tratta di spartire i soldi dei diritti televisivi dando di più ai più forti, ossia a Milan, Juve, Inter, che con questo denaro avrebbero la certezza assoluta di mantenere la loro superiorità, visto che non si tratta più di Sport, ma di un mercato dove vince chi ha più risorse finanziarie.
Questo immondo mercato, che non ha più nulla di sportivo, ha prodotto il risultato che negli ultimi 20 anni il 90% degli scudetti sono stati vinti dalle tre squadre del Nord di cui abbiamo detto, togliendo tutto il fascino al calcio, facendo decadere la nostra nazionale visto che gli italiani non giocano più, e ciò ci farebbe dubitare della salute mentale dei”tifosi” che ancora vanno allo stadio a tifare per una SPA che ormai può essere venduta in toto a chiunque, rappresenta non già i colori sociali, ma gli interessi e la visibilità del capitalista di turno, non rappresenta nemmeno più il risultato dei vivai e degli allenatori della propria città o regione.
L’osservazione di questo fenomeno ci consente di affermare, senza alcun dubbio, che il calcio è diventato come la politica: vince il più ricco e la tanto sbandierata “democrazia” e “libertà” non è altro che la dittatura degli interessi economici dei più forti, insomma è la “libertà” di lor signori.
Questa situazione ha prodotto una “cultura” diffusa e profonda della legge del più forte e più ricco, ha devastato ogni spirito sportivo, ha innestato frustrazione e violenza nei tanti esclusi dal giro che conta.
Culturalmente ciò corrisponde a tutti i valori fondanti la nostra società attuale ed è enormemente funzionale a far accettare alla gente una vita sociale che è fatta proprio come il calcio: discriminazioni, prepotenze, strapotere dei ricchi, violenza.
Se esistesse una “buona politica”, né di destra né di sinistra, che sentisse il dovere di intervenire nel disciplinare un settore che fabbrica mentalità e comportamenti negativi ed antisociali dovrebbe stabilire queste norme:
 dichiarare che lo Sport non è un lavoro ma una attività sportiva e quindi non è governato dalle leggi del lavoro ma da quelle del diritto dello Sport
 che al campionato italiano non può essere iscritto alcun giocatore straniero
 che i diritti TV debbano essere divisi in parti uguali tra tutte le squadre che partecipano al campionato
 che il mercato dei giocatori debba riguardare solo la regione in cui il giocatore è nato ed è stato avviato al calcio
 che vengono impedite le trasferte con il loro carico di scontri, devastazioni, impiego di polizia, con il semplice meccanismo che il biglietto sia nominale e possa essere venduto solo ai residenti con la carta di identità
 che le società sportive diventino delle “public company” in mano agli appassionati e ai tecnici con elezioni democratiche e partecipazione di tutti gli iscritti e sostenitori. La cultura che potrebbe discendere dalla totalità di queste norme è facilmente intuibile: attaccamento ai colori sociali e ai propri giocatori come espressione del lavoro e dei vivai della propria società
 partecipazione e responsabilità, compreso il servizio d’ordine allo stadio che dovrebbe sollevare la polizia da ogni impegno e premiare gli iscritti più adatti e responsabili
 fine della pianificazione di violenza chiamata “trasferta”
Ci vorrebbe solo la dignità e la lungimiranza di una “buona politica” che oggi non conta niente, ha abbandonato tutto nelle mani dei “nuovi barbari” del liberismo totale di cui vediamo il trionfo, per portare in Parlamento queste disposizioni, che tra l’altro NON COSTANO NULLA!
Proprio come dovrebbero funzionare partiti politici e Chiesa cattolica: nessun aiuto statale, ma vivere del contributo dei propri aderenti.
E’ lecito prevedere che sia politica che religione verrebbero presi con maggior considerazione.
Paolo De Gregorio