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24 luglio 2006, 09:31

Genova 2001. Genova 2006. Ricordi resistenti. (Francesco Lauria)

Ricordo bene quel luglio 2001.

Avevo da poco terminato la sessione estiva degli esami universitari a Gorizia, iniziato il lavoro estivo di fabbrica più duro lavoro della mia vita (in una industria metalmeccanica - filiale parmense di una multinazionale - particolarmente poco riguardosa nei confronti degli operai), occupato il primo week end libero per incontrare la mia ragazza sulle dolomiti bellunesi.

Alle spalle un anno veramente intenso, di lotta.

Gorizia cominciava ad essere un crocevia massiccio di migranti diretti per lo più nel centro europa, il Centro di accoglienza S. Giuseppe era stato appena aperto, scongiurando l’apertura (c’era ancora un agonizzante governo di centro-sinistra) di un Centro di Permanenza Temporanea. Come universitari, avevamo promosso il Forum Permanente per i Diritti dei Migranti.

Vivevamo la pluralità di allora del movimento, dagli scouts ai giovani comunisti, dalle tute bianche ai sacerdoti progressisti, agli ambientalisti e così via, molti (non tutti) erano senza partito, ma ricchi di speranza.

Tornare a Parma era stato un po’ strano, non c’era un confine esterno da abbattere, ma uno spazio da riabitare, una città che mi stava diventando abbastanza aliena.

Poi il lavoro, la scoperta di un ambiente difficile, i turni di notte, il caffè con il termos che mi preparava mia madre.

E la consapevolezza che essere operaio per un mese o poco più non è come esserlo per tutta la vita.

Non ricordo come, ma avevo avuto il martedì libero, ero stato nella Genova dei dibattiti e del sole, quella di Manu Chau e della Marcia dei Migranti, dell’attesa.

Venerdì sera avevo terminato il turno a mezzanotte.

Accesi subito l’autoradio della mia Punto Verde.

Si parlava di un ragazzo morto. Prima si era diffusa la notizia che fosse spagnolo, poi un nome venne fuori, era quello di Carlo Giuliani.

In quelle stesse ore la CGIL e la Sinistra Giovanile, VIGLIACCAMENTE, facevano rientrare o annullavano tutti i pullmann in partenza per Genova.

Alle cinque del mattino del sabato ero alla Stazione Ferroviaria di Parma, punto di raccordo dei due pullmann rimasti: l’incontro con gli amici del liceo, della Rete Lilliput, dell’ARCI, di Rifondazione Comunista, della Comunità di Vicomero.

Ci scortarono, in un’atmosfera surreale e per gran parte del tragitto autostradale, due macchine della polizia.

Il grande corteo, colorato, immenso fu quasi una liberazione.

Ma era solo un illusorio inizio.

Ricordo una chiesa bellissima, sul mare, con gli striscioni della Campagna per la rimozione del Debito dei Paesi Poveri, ricordo la gioia di sentirmi parte di quello striscione e per un attimo il pensiero corse all’anno prima, alla notte emozionante di Tor Vergata, agli occhi di Antonella.

Poi i primi black blocks, gli elicotteri, la polizia, il fuoco, i lacrimogeni, le cariche, il sangue.

Ricordo il sentirsi mancare il respiro, la paura e la rabbia, il disorientamento e la consapevolezza che colpire dagli elicotteri con i lacrimogeni spezzoni di corteo con le mani alzate non poteva essere solo un errore.

Ricordo una bandiera della CISL di Vicenza, altro che estremisti!

Chi l’avrebbe detto che cinque anni dopo avrei lavorato con loro...

Soprattutto ricordo che a ventidue anni compiuti da ventiquattore sognavo e lottavo nel movimento, per un mondo diverso e possibile, contro il pensiero unico, contro l’arroganza del potere.

Quel movimento oggi non c’è più.

Credo che in tanti, come me, oggi si sentano più soli.

Anelli di una catena spezzata di fronte ad una postdemocrazia che dispensa illusioni e delusioni, che ci ribadisce l’assuefazione interessata alla guerra.

Frammenti di una speranza di cambiamento che per vivere ha bisogno dei nostri cuori, delle nostra braccia e della nostra ansia di condivisione e resistenza creativa.

Francesco Lauria,
cinque anni dopo.
http://larete.ilcannocchiale.it