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Lula, Prodi e i trotzkisti

6 marzo 2007, 12:33

Ma quale autogol, la crisi è di rappresentanza

(da “Il Manifesto” del 4 marzo 2007)

La grande paura è passata. Il governo ha ritrovato la maggioranza grazie al riconoscimento agli integralisti cattolici del diritto di veto sui diritti civili e alla negazione della libertà di coscienza sulla guerra per tutti gli altri; e anche grazie al fatto che i due parlamentari dissidenti hanno votato la fiducia pur restando in dissenso, facendo quindi l’opposto di Rifondazione comunista nel 1998.

Secondo l’opinione largamente prevalente a sinistra, c’è stato un autogol, una ventata di follia dovuta a quella che il teorico di Blair, Anthony Giddens, ha su La Repubblica sintetizzato come l’incapacità di alcune persone della sinistra tradizionale di accettare le responsabilità di governo. Purtroppo anche Rossana Rossanda un po’ accetta questa tesi, che a me sembra assolutamente priva di fondamenta. La crisi di governo è invece dovuta alla crisi di rappresentanza delle forze fondamentali che compongono la coalizione di centro sinistra.

Ci si rimprovera che è sciocco pensare che questa coalizione possa essere più a sinistra dei suoi equilibri formali. Ma sono convinto che una consultazione tra gli elettori, sulla guerra, sulla precarietà e sulle pensioni, darebbe risposte ben più a sinistra degli attuali equilibri di governo.

Infatti, il 7 di dicembre gli operai di Mirafiori hanno contestato sindacati e governo. Lo hanno fatto quando, secondo il dibattito accreditato ufficialmente, era in vigore la fase uno, con il predominio delle istanze della sinistra estrema e dei sindacati. E’ quel successo radicale che è stato fischiato.

Con Marco Revelli abbiamo scritto che Vicenza segnava uno spartiacque. Qui non si trattava infatti di ascoltare un movimento pacifista globale, ma di dare una risposta positiva a una città che per la prima volta si spostava su posizioni alternative al blocco sociale e culturale della destra. Un no alla base non avrebbe messo in crisi nessuna alleanza o impegno internazionale. Invece c’è stato il no del Presidente del Consiglio. Successivamente la maggioranza di governo si è divisa, tra i veleni, sulla partecipazione alla manifestazione, salvo poi ignorarla in Parlamento per non litigare.

Si potrebbe andare avanti ancora nell’elencare l’incapacità di questo governo di misurarsi con movimenti che certo non sono tutto, ma che pure sono un elemento decisivo del consenso. Ma conviene andare alla domanda di fondo: c’era un’alternativa possibile? Secondo me sì.

Nello schieramento politico e sociale che ha sconfitto Berlusconi c’erano sin dall’inizio due posizioni, quella riformista e quella che oggi viene definita radicale, ma che a me pare si fondasse sul rifiuto netto della guerra e del liberismo in tutte le loro forme. Si è pensato di risolvere questa diversità di fondo con un patto di vertice e con un programma di 300 pagine, anziché definire alcuni punti fondamentali (meno di 12) e lasciare sul resto spazio alla trasparenza della dialettica e del confronto nel Parlamento e nel paese. Se un parlamentare non vuole l’intervento in l’Afghanistan e non se la sente di votare con Berlusconi e Fini il rifinanziamento della missione militare, non si può accusarlo stalinisticamente di volere il ritorno della destra al governo.

E chi respinge i tagli sulle pensioni e chiede al sindacato di scioperare per fermarli, non può subire la stessa accusa, quasi che gli equilibri del Senato fossero estesi a tutta la società.

Si può ben dire di lotta e di governo, ma proprio questa politica è platealmente fallita. Quando si raccoglie la critica sia di chi dice “lasciate stare Prodi”, sia di chi dice “con Prodi non contate nulla”, o si considera il tutto un complotto di Vaticano, padroni e troskisti, oppure c’è qualcosa d’errato nell’impianto delle scelte politiche.

Che fare, allora? Augurarsi la fine di questo governo, secondo il cliché che viene attribuito a tutti coloro che sono scontenti da sinistra? No, però neppure accettare il voto di fiducia permanente. Non so suggerire nulla a gruppi dirigenti di partito che mi paiono oggi chiusi in se stessi, paralizzati dalla paura e intenti solo a ricercare alchimie di vertice nel partito democratico da un lato, nella sinistra alternativa dall’altro. I movimenti, invece, possono usare questa fase per conquistare maturità. Vedo così la proposta di Luca Casarini di trovare sedi ove tutti si possa cominciare a discutere, partendo dalla realtà dei conflitti. Anche nei movimenti la doppiezza a un certo punto paralizza.

Da un lato a Vicenza in 200.000 dietro lo striscione “Prodi vergogna”, dall’altro l’angoscia per la caduta del governo.

E’ una contraddizione reale, anche se magari non riguarda le stesse persone.

E la si affronta solo partendo dalla piena affermazione della totale indipendenza dei movimenti dal quadro politico.

Piuttosto che crisi tra i partiti, quella che viviamo è una crisi tra la politica e i cittadini, tra rappresentanti e rappresentati.

E governabilità e decisionismo sono solo un aggravamento del male, da destra come da sinistra.

Non si ricostruisce la sinistra senza ricostruire la politica su nuove basi democratiche.

Giorgio Cremaschi (Segreteria Nazionale FIOM/CGIL)