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> 1 maggio 2005 : Papillon al MAYDAY di Milano

4 maggio 2005, 12:12

Salario prigioniero

Stipendi dei lavoranti da aggiornare

FR. PI.

Una vittoria storica per i detenuti lavoratori, come non si poteva quasi più neppure immaginare nell’universo concentrazionario voluto dal ministro leghista Castelli. E’ la classica storia di una tenace vertenza legale, originata e accompagnata dalle proteste pacifiche che hanno costellato le incerte tappe del dibattito sull’indulto, che alla fine ha ottenuto il riconoscimento della Corte di Cassazione. Nel 1998 l’associazione Papillon denuncia il fatto che le retribuzioni dei detenuti «lavoranti» non vengono aggiornate in rapporto ai contratti nazionali di riferimento. Gli stipendi dei «carcerati» sono comunque inferiori (per l’orario di lavoro, quasi sempre part time, o per le trattenute a vario titolo legale), ma sono anche fermi dal 1993 - da quando l’apposita commissione del ministero di giustizia ha smesso di riunirsi. Nel 2000 una prima vertenza-pilota, con due detenuti di Paillon che cercano di farsi riconoscere il diritto a una «mercede» aggiornata.

Non va bene, ma l’esperienza aiuta a capire meglio come muoversi. Vengono interessati due dei parlamenti storicamente più attenti alla condizione caraceraria - Giovanni Russo Spena e Graziella Mascia, entrambi di Rifondazione - che tempestano di interrogazioni e interpellanze il ministro. Finchè la Cassazione, pochi giorni fa, ha emesso la sua sentenza: «occorre adeguare i deliberati della Commissione all’evoluzione della contrattazione collettiva nel tempo, al fine di determinare l’equa mercede spettante».

A questo punto, però, sorge il problema di come far recuperare, ai tanti che hanno lavorato all’interno delle carceri dal 1993 in poi (e magari ora sono liberi), la differenza tra il percepito e il« giusto» secondo gli aggiornamenti che dovranno obbligatoriamente essere determinati. Lasciare l’iniziativa ai singoli, naturalmente, sarebbe un modo per far scattare quasi certamente la prescrizione (paradossalmente a favore del ministero!). Papillon ha allora chiesto alla confederazione Cobas di prestare assistenza legale a tutti quanti decideranno di far ricorso, con una vera e propria «vertenza nazionale», per ottenere questa differenza.

I ricorsi sono inviabili, naturalmente anche attraverso i familiari, presso la sede dei Cobas (viale Manzoni 55, 00185 Roma). Un’analoga vertenza, gestita però in modo individuale da diversi detenuti, costrinse qualche anno fa il ministero a sborsare a rimborsi anche consistenti.

da "il manifesto" 3.5.05