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25 aprile di Giovanni Pesce

Publie le vendredi 25 avril 2003 par Open-Publishing

Non aspettammo che la democrazia e la libertà ci fossero portate
di Giovanni Pesce*
* comandante partigiano e medaglia d’oro della Resistenza
(da Liberazione 24/04/2003)
E’ tornata la guerra. E’ tornata nelle dimensioni e all’interno di
una logica coloniale e d’aggressione che speravamo fosse stata messa
alle nostre spalle per sempre. E’ tornata per affermare con prepotenza
regole di potere e di privilegi territoriali a livello planetario. E’
tornata per ridurre in modo drammatico ogni speranza della società nel suo
assieme, fondata su un progresso sociale, culturale ed economico e per
seminare morte in nome della liberazione dalla tirannia di un despota
criminale e della democrazia.
Ma noi sappiamo che mai la guerra con questi connotati,
sterminatrice di innocenti, ha avuto come frutto la libertà. Mai questa guerra
ha generato valori costruttivi, mai ha fatto avanzare la storia
dell’uomo.

Noi che oggi ricordiamo il 25 aprile, nel 58° anniversario della
vittoriosa guerra di Resistenza contro il nazifascismo, dobbiamo
rimarcare queste osservazioni con grande evidenza. Questa guerra, a
prescindere da quella che è stato il suo esito militare, peraltro, vista la
disparità delle forze, scontato, segna uno dei punti più alti della
barbarie umana, afferma logiche di prepotenza e di annientamento, impoverisce
la stessa lunga pagina democratica anglo-americana, umilia l’anelito di
giustizia degli stessi popoli che sono scesi a milioni in piazza,
manifestando in ogni angolo della terra, al di là di ogni credo politico, il
loro profondo dissenso.

Nessuna democrazia può essere "esportata" sulla punta dei
cannoni. Questa parola d’ordine, fatta propria dai governanti delle
superpotenze per legittimare in qualche modo l’invasione armata dell’Iraq, è
falsa, mistificatoria e ingiusta.

La democrazia è un modello di governo dei popoli che va
costruito, nutrito, arricchito da un serrato confronto politico-culturale, passo
dopo passo, nel rispetto delle diversità etniche e religiose. La
democrazia non è un robot, un gioco, un’avventura.

Noi donne ed uomini della Resistenza italiana, che per i 600
giorni dell’occupazione tedesca e del governo fantoccio di Salò, abbiamo
combattuto sulle montagne e per le strade delle nostre città, nelle
fabbriche, lungo le pianure, sapevamo bene come la democrazia quasi fosse un
miraggio, un obiettivo preciso ma lontano da raggiungere, in armonia
con il popolo italiano, lacerato dalla dittatura, dalla miseria, dalla
fame.

Noi non aspettammo che la democrazia e la libertà, i diritti e i
doveri, ci fossero "portati". Li volemmo con tenacia sin dal primo
giorno in cui si manifestò la tirannide fascista. Fu una lunga marcia.
Questo profondo desiderio di giustizia e di pace fu una conquista graduale
e sofferta, con le armi ed il nostro coraggio anche quando le forze
alleate anglo-americane (ecco i corsi e i ricorsi della storia !) avrebbero
preferito che il nostro "esercito di popolo", composto da migliaia di
partigiani combattenti e da patrioti, compisse un passo indietro,
limitasse la sua sfera d’azione di propaganda, lasciasse che fossero altri -
gli eserciti stranieri per l’appunto - a cogliere la vittoria "in
primis" e a determinare gli assetti politici futuri.

E’ questa una peculiarità che la Resistenza italiana, in tutte le
sue componenti, rivendica a se stessa e a suo merito. E’ questa una
peculiar ità di una sorprendente attualità ammonitrice se si guarda a
quello che è accaduto in questi ultimi tempi !

Resistenza che è simbolo di pace, quella pace che in ogni Paese
ad ogni latitudine, viene invocata come il cemento unificante della
moderna avventura dell’uomo. Pace nel segno del confronto civile e della
soluzione mediata e diplomatica di ogni contrasto e di ogni tensione di
alcun tipo. Volere la pace significa garantire sicurezza, dignità,
crescita sociale e sviluppo economico.

La guerra al contrario, non solo arreca distruzione ma, spegnendo
la speranza, rende difficile, soprattutto in quel tormentato Medio
Oriente, territorio di appetiti economici secolari, il cammino di una
autentica, significativa ripresa.