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Globalizzazione, i vent’anni che sconvolsero il mondo

Publie le mercredi 7 mai 2003 par Open-Publishing

"HAPPY BIRTHDAY, GLOBALISATION", celebra il Financial Times. La globalizzazione compie oggi vent’anni e il mondo che ha plasmato è irriconoscibile rispetto al 1983 : allora non c’erano i cellulari né la Cnn né Internet, i nostri figli non vestivano Nike, non esisteva l’euro, non avrei scritto questo articolo su un computer, e metà del pianeta era governata da sistemi comunisti. La globalizzazione ha stravinto e stravolto tutto, ma questo anniversario cade in mezzo alla sua crisi più grave. Siamo tutti figli della globalizzazione eppure la fiducia nel suo avvenire progressivo si è incrinata. Nutriti di fast-food e Coca Cola, molti giovani cercano nel movimento no global e nel "consumo etico" valori alternativi di equità. Il sociologo americano Benjamin Barber ha dipinto la sfida del fondamentalismo islamico come una "Jihad (guerra santa) contro il McMondo".

La recessione e la paura del terrorismo alimentano la xenofobia e possono frenare i flussi migratori, ingrediente cruciale della nuova economia planetaria. L’epidemia della Sars minaccia l’esperimento più ardito della globalizzazione : la modernizzazione e l’arricchimento della Cina popolare attraverso l’economia di mercato. Una leadership americana neoimperiale e unilateralista indebolisce le condizioni politiche in cui è fiorito il ventennio d’oro della globalizzazione : un’epoca di apertura delle frontiere guidata da un grande disegno politico. Nel momento del suo trionfo, il modello unico è attraversato da tensioni che potrebbero essergli fatali.

"Globalizzazione" : quel termine fu lanciato nel mondo dal guru del marketing Theodore Levitt, docente alla Harvard Business School. Sulla rivista della prestigiosa università americana Levitt annunciò nel maggio 1983 che "la globalizzazione del mercato è a portata di mano". Levitt si riferiva soprattutto all’evoluzione dei consumi e del marketing.

Quindici anni prima, sul terreno dell’informazione e dei valori culturali il semiologo Marshall McLuhan aveva teorizzato la capacità dei mass media di trasformare il mondo in un "villaggio globale". Levitt ne tirò le conclusioni economiche : con le nuove tecnologie di comunicazione il mondo diventa più piccolo, i messaggi della pubblicità e del marketing raggiungono ogni angolo del pianeta, omogeneizzano le aspirazioni consumistiche, creano un mercato senza precedenti per prodotti standardizzati. Arcaismo e post-modernità possono convivere, trasformando le società più arretrate in mercati per il neocapitalismo. In un esempio estremo Levitt ricordava le riprese televisive sulle stragi della guerra civile nel Biafra, con i guerriglieri che bevevano Coca-Cola. Levitt teorizzò la fine delle vecchie multinazionali - abituate a offrire prodotti diversi adattandosi ai gusti nazionali - e l’avvento dell’impresa globale capace di imporre gli stessi consumi nel mondo intero, realizzando così immense economie di scala e maggiori profitti.

Il vangelo del marketing globale fece i suoi primi discepoli tra i colossi della pubblicità come Saatchi&Saatchi, che videro l’opportunità di colonizzare il mondo intero con un’unica cultura consumistica : globalizzazione e americanizzazione sarebbero presto diventati sinonimi, anche se in questo fenomeno hanno trovato spazio ugualmente i colossi dell’elettronica giapponese, le auto tedesche o la moda italiana. Ma vent’anni fa la globalizzazione era embrionale : molti mercati nazionali erano ancora protetti da robuste barriere. Decisivo fu il fatto che la classe dirigente americana vi riconobbe una grande opportunità di sviluppo. Gli Stati Uniti fecero la scelta politica di aprire una nuova fase di liberalizzazione degli scambi internazionali : esercitarono pressioni per la libertà dei movimenti di capitali, lanciarono negoziati nel Gatt e poi nel Wto, crearono l’area nordamericana di libero scambio (Nafta), proprio mentre l’Europa a sua volta costruiva il suo grande mercato unico.

Il trionfo politico della globalizzazione giunse con la caduta del muro di Berlino, la fine dell’Unione Sovietica, la liberazione dell’Europa dell’Est, il crollo dell’unico sistema ideologicamente antagonista : nel 1990, McDonald inaugurava il suo primo fast-food sulla Piazza Rossa di Mosca. Negli anni Novanta un’altra rivoluzione, di natura tecnologica, ha esaltato le potenzialità della globalizzazione : la popolarizzazione del personal computer, la nascita del telefonino, infine l’avvento di Internet, hanno reso ancora più rapide ed economiche le comunicazioni globali. Le distanze sono state cancellate, i colossi informatici della Silicon Valley hanno adottato la città di Bangalore in India come una periferia della California, dove concentrare design e produzione di software a basso costo. I marchi Microsoft e Nike sono diventati i nuovi simboli di quest’èra che ha il suo centro imperiale negli Stati Uniti e le sue nuove basi produttive in Asia. Alla fine degli anni Novanta l’intuizione di Levitt prese di colpo un connotato peggiorativo. Il nuovo sistema, senza una regìa politica, era altamente instabile. Le identità nazionalculturali minacciate si rivoltavano alla periferia dell’impero.

La crisi finanziaria del sud-est asiatico nel 1997 fece emergere il primo leader anti-global del Terzo mondo, il premier malese Mahathir, che si scagliò contro gli speculatori alla George Soros e l’eccessiva libertà nei movimenti di capitali ; presto fu affiancato da Lula in Brasile. Nel dicembre 1999 il movimento no global ebbe il suo battesimo di piazza con le manifestazioni contro il vertice Wto a Seattle : nella protesta confluivano ideali moderni ed egoismi premoderni, il terzomondismo e l’ambientalismo insieme con la xenofobia e il protezionismo agricolo di Josè Bovè in difesa dei privilegi dei contadini francesi, o il sindacalismo dei colletti blu americani preoccupati dalla concorrenza degli operai messicani. Il movimento no global è stato seguito due anni dopo da un attacco ben più terrificante : l’11 settembre 2001 Al Qaeda scelse come bersaglio il World Trade Center, simbolo del capitalismo americano.

Il terzo millennio si è aperto su un interrogativo : è iniziata la lunga notte della globalizzazione ? A vent’anni dal battesimo di quel termine, le resistenze all’omogeneizzazione dei consumi e dei mercati sono in ascesa. Dopo l’offensiva terroristica, è la volta della Sars che può minacciare l’apertura delle frontiere. Di certo l’allarme-Sars dimostra che la globalizzazione non è un fenomeno a senso unico : se noi abbiamo bisogno della Cina, i cinesi hanno avuto un formidabile sviluppo socio-economico (ed anche politico culturale) grazie all’apertura dei mercati mondiali. Se la globalizzazione si ferma, il loro sogno di sviluppo sarà la prima vittima. Purtroppo non è impossibile. La storia non procede in una sola direzione. Già all’inizio del Novecento il mondo conobbe una prima forma di globalizzazione economica senza una adeguata governance politica : fu travolta da protezionismi, razzismi e ideologie totalitarie, dalla Grande depressione e due guerre mondiali. Quando l’economia corre troppo in avanti e la politica non regge il passo, si creano le condizioni per contraccolpi brutali.