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14 Dicembre 2010 - Un anno dopo, osare ancora !
par Gavroche
Publie le venerdì 16 dicembre 2011 par Gavroche - Open-Publishing
“e di quella laurea, ora non sa che farne,
voleva usare la testa ma gli hanno chiesto braccia e gambe”
(Aria Precaria - Manu Phl)
Ci sono dei momenti in cui cose complicate e contorte si svelano e di un colpo diventano chiare. A volte succede di fronte a un libro o ad un’opera d’arte, a volte in una piazza su cui piovono fumogeni mentre il cuore batte all’impazzata e ti difendi assieme ad una moltitudine, deciso a resistere.
Un anno fa ero a Roma ed è stato esattamente uno di quei momenti. Ero in Piazza del Popolo ed avevo paura, ero convinto di quello che facevamo ma per un attimo non ho saputo se gli occhi umidi erano colpa dei lacrimogeni o della fifa. In quell’istante mi sono voltato e guardando gli altri che lottavano con me ho capito cosa stava succedendo: la violenza e la barbarie del potere si materializzava nelle compravendite parlamentari e nelle cariche poliziesche, un’immagine nitida che anche un anno dopo ci parla della lunga aggressione alla mia generazione. Dall’altra parte la soggettivazione di quella generazione prendeva definitivamente corpo, in quella piazza siamo passati dalla paura alla gioia di vederci gli uni accanto agli altri, intenzionati a rimanere, dopo mesi, anni di mobilitazioni.
Il messaggio che veniva dai palazzi era chiarissimo: al di là di ogni retorica, per chi non accetta il diktat dell’impoverimento collettivo non c’era (e non c’è) alcuno spazio, questo abbiamo capito e visto, concreto come un manganello, in quel palazzo barricato e in quella piazza assaltata dalle camionette. Piazza del Popolo è stata un salto di maturità, la perdita di ogni ingenuità ed il passaggio in una “maggiore età” ancora tutta da scoprire, in anticipo come sempre (noi la sfiducia a Berlusconi l’abbiamo data l’anno scorso!) ci siamo trovati adulti, con tutti i dubbi e le prospettive che questo comporta.
È passato un anno da quel salto di maturità e gli effetti sono stati fortissimi: sulla spinta delle lotte sul sapere, sempre più pezzi di società hanno cominciato a costruire un’alternativa alla crisi, dai referendum della Fiat alle comunali milanesi e napoletane, fino ai referendum di giugno, un discorso molteplice si è ingrossato e sviluppato. Un discorso che ha trovato nella categoria di bene comune contemporaneamente un obbiettivo ed un grimaldello per rimettere al centro della scena i desideri di chi crea la ricchezza, contro gli interessi parassitari del profitto che ormai hanno vampirizzato e sottomesso l’organizzazione del pubblico. Un discorso che non si è mai chiuso sul problema della conquista del potere ma che ha fatto del ragionamento attorno alla destrutturazione e ricostruzione di nuovi rapporti di potere il suo perno. Un discorso che non è mai stato fermo a guardarsi allo specchio ma del movimento e della fluidità ha saputo fare i suoi punti di forza, pronto a dialogare e ad imparare da tutto ciò di importante che accadeva in questo 2011: dalle primavere arabe agli indignados, fino alla galassia “Occupy”. Nel mezzo non abbiamo mai creduto che tutto fosse “rosa&fiori”, abbiamo visto i segni di questa epoca avanzare giorno dopo giorno: dall’assalto ai diritti degli operai alla messa in dubbio del diritto alla pensione, dal furto continuo di beni comuni alla precarietà galoppante che ci tartassa. Siamo stati costretti ad altri “lavoretti”, a cambiare prospettive di vita perché con questo o quello “non si mangia”, a fuggire all’estero (è il caso di chi scrive) per fare ciò che davvero desideriamo e qua ci è precluso. Ma proprio per questo abbiamo continuato a guardarci, a sperimentare nuove forme di vita, a riprenderci spazi e idee: ciò che si è definitivamente incontrato un anno fa continua a riconoscersi, a cercare negli altri ciò che personalmente vive.
La nuova fase estiva della crisi ha dato una decisa accelerazione agli avvenimenti italiani e globali ed ha portato definitivamente a maturazione processi in atto da tempo: con il governo Monti cadono gli ultimi dubbi, gli interessi finanziari proveranno a gestire la fase cancellando democrazia e diritti. In un paradossale gioco di parole, parlamento e partiti diventano impedimenti “tecnici” per una linea “politica” autoritaria che non ha tempo da perdere. Ecco allora la sfida per l’intero movimento, saper cogliere l’opportunità della crisi, saper disegnare una nuova democrazia nel momento in cui le istituzioni liberali hanno perso ogni significato (e chi prova ancora a negarlo non ci fa che del male ulteriore).
La posta in gioco è alta, le imposizioni della BCE non hanno solo l’effetto di scaricare i costi della crisi e ridisegnare completamente (in negativo) il panorama dei diritti, l’attacco è portato in profondità a quelli che sono i “claim” di ormai tutto il 99%: costruzione di un modello democratico nuovo e decentrato, ristrutturazione ecologica del modello produttivo, investimento sulla formazione per tutti, nuovo welfare. Tutto ciò rischia di essere semplicemente espulso dall’ordine del discorso in nome dell’urgenza di arginare la crisi, seppellendo i desideri sotto un nuovo spirito lavorista, rimettendo al centro delle relazioni la paura. E le conseguenze le vediamo già nei pogrom torinesi e negli omicidi fascisti fiorentini.
La sfida è vincere questa rimozione, tornare al centro della scena mostrando che c’è un’alternativa al governo delle banche ed al collasso sociale/ambientale, ad un nuovo medioevo di diritti ed alla disgregazione di tutti i rapporti sociali.
Da 14 dicembre a 14 dicembre, un anno dopo è cambiato tanto. Tutto. Se qualcuno pensava ancora che la storia fosse finita, il 2011 l’ha definitivamente messo a tacere: la storia è così profondamente presente nelle nostre vite che, oltre alla precarietà esistenziale individuale, sentiamo continuamente la possibilità e la necessità di un radicale mutamento delle condizioni collettive. Il futuro è la posta in palio di un conflitto che non ci deve spaventare. Come un anno fa la paura individuale di un momento si può trasformare nella voglia moltitudinaria di agire il cambiamento, col solo timore di perdere l’attimo. È tempo di osare perché, senza molta originalità, “Se non ora, quando? Se non noi, chi?”
Gavroche