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1997 la CGIL a favore dello sciopero virtuale nel settore trasporti

Publie le lunedì 16 marzo 2009 par Open-Publishing
2 commenti

è calato un silenzio su un fatto epocale: il divieto di sciopero di fatto per centinaia di migliaia di lavoratori nel settore trasporti!

le responsabilità risalgono al lontano 1997........

* CORRIERE DELLA SERA.it
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La discussione nei prossimi giorni per arrivare ad una stagione senza disagi per i cittadini

" Scioperi virtuali per un’ estate tranquilla "

Proposta al tavolo ministro sindacati: trasporti regolari, paga dei lavoratori in beneficenza L’ azienda subirebbe comunque un danno senza incassare i soldi dei biglietti L’ idea per ora condivisa da Cgil e Uil

La discussione nei prossimi giorni per arrivare ad una stagione senza disagi per i cittadini "Scioperi virtuali per un’estate tranquilla" Proposta al tavolo ministro - sindacati: trasporti regolari, paga dei lavoratori in beneficenza L’azienda subirebbe comunque un danno senza incassare i soldi dei biglietti L’idea per ora condivisa da Cgil e Uil ROMA - Scioperi "virtuali" per un’estate tranquilla.

Davanti al rischio di raffiche di agitazioni nei trasporti e alla difficolta’ di trovare un punto di equilibrio tra il diritto di sciopero e quello di viaggiare dei cittadini, ecco che si fa appello alla fantasia italica. E spunta la proposta dello "sciopero virtuale" in vista della trattativa che partira’ fra qualche giorno fra il ministro dei Trasporti e i sindacati. Potrebbe essere questa la formula magica per mettere d’accordo tutti. Sciopero virtuale significa che i dipendenti, pur in sciopero, lavorerebbero, ma la loro giornata di paga andrebbe devoluta a un fondo, (esempio:

un’associazione umanitaria) mentre il servizio sarebbe regolare. In questo modo verrebbero rispettate alcune condizioni di base dello sciopero: l’azienda subisce il danno perche’ dovrebbe comunque sborsare la quota di retribuzione - ma si potrebbe anche decidere che nel giorno dell’agitazione non incassa i soldi della vendita dei biglietti -,

il lavoratore rinuncia anche lui a qualcosa (deve infatti prestare servizio nonostante lo sciopero). Ma il cittadino non subirebbe disagi. In pratica, sarebbe come se lo sciopero non esistesse. E’ forse questo l’ostacolo maggiore al successo dello "sciopero virtuale". Il ministro dei Trasporti, Burlando, e i sindacati hanno messo al primo punto del negoziato l’operazione "estate tranquilla". Si discutera’ di come allargare i periodi di "tregua", quelli nei quali non e’ consentito scioperare e, in generale, di come rafforzare le norme di autoregolamentazione che suppliscono alle carenze della "146" sugli scioperi nel pubblico.

L’idea dello "sciopero virtuale" per ora e’ condivisa solo da Cgil e Uil, disponibili ad alcune sperimentazioni. Il problema principale da risolvere e’ pero’ quello di "ingabbiare" la microconflittualita’ esasperata che viene dalla miriade di sindacati e sindacatini che costellano l’universo trasporti, dalle ferrovie, agli aeroporti, ai mezzi urbani ed extraurbani. Burlando punta a un accordo complessivo per ampliare i periodi di "franchigia" intorno alle date chiave dell’estate (inizio e fine mese, in coincidenza di esodi per ferie; ferragosto) e degli intervalli fra uno sciopero e l’altro.

Dovra’ inoltre essere affrontato il capitolo delle sanzioni per i sindacati e i lavoratori che scioperano in contrasto con le regole stabilite dalla legge. Le sanzioni previste dalla 146 (pecuniarie e disciplinari) sono di difficile applicazione dopo i referendum in materia sindacale svolti lo scorso anno. Ministro e sindacati discuteranno anche dell’istituzione, con atto amministrativo, di un Consiglio nazionale dei trasporti, quale luogo di confronto, cioe’ di una sede per prevenire gli scioperi.

I segretari di Filt - Cgil, Fit - Cisl e Uiltrasporti sono ottimisti: l’accordo per "l’estate tranquilla" si puo’ raggiungere. Avverte pero’ Giuseppe Surrenti, leader della Fit: "Anche i sindacati autonomi vanno coinvolti e non e’ importante se questo avviene in uno o due tavoli". Di nuovo torna la questione centrale: sindacati e sindacati, che spesso vivono sul conflitto, accetteranno di sedersi al tavolo della pace?

Marro Enrico

Pagina 15
(2 giugno 1997) - Corriere della Sera

Messaggi

  • Vecchio discorso, la Cgil ha responsabilità immani nell’arretramento complessivo non solo salariale dei lavoratori dipendenti in Italia.

    Ma è evidente che la pur strampalata proposta del 1997 - non a caso mai praticata - era comunque cosa assai diversa da quello che propongono oggi i ministri di Berlusconi.

    E quantomeno era una proposta di "autoregolamentazione" da parte dei sindacati e non un divieto secco per legge ...

    Ripeto, il giudizio sulla Cgil non può che essere pessimo .... trovo però strano il fatto che mentre la medesima Cgil è chiaramente sotto attacco mediatico e politico ... non certo per le sue linee ma esclusivamente in quanto potenziale ostacolo al disegno berlusconiano di abolire ogni opposizione sociale, prima ancora di quella direttamente "politica", ci sia chi non trova di meglio che eleggere la Cgil a nemico principale ....

    Mi sembra da scemi ... e lo dice uno, come il sottoscritto, che nel 1992 dalla Cgil fu espulso ....

    Raf

    • Concretizzare lo sciopero per il movimento

      di Luca Casarini

      Giovedì 12 marzo 2009

      Lo sciopero del prossimo 18 marzo indetto dalla Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL, con manifestazioni regionali in tutta Italia, merita qualche riflessione, che ci porti anche al di là dello specifico campo in cui esso si muove.
      Indubbiamente il contesto, quello del mondo della scuola e dell’università, del precariato cognitivo, del ciclo della formazione insomma, già di per sé non è cosa da poter essere trattata genericamente. Il movimento dell’Onda, con le decine di migliaia di studenti e ricercatori in piazza, annunciato da un’ampia mobilitazione di genitori e insegnanti, ancora rieccheggia all’interno di atenei e facoltà. E quindi, innanzitutto, il terreno in cui si inserisce questo sciopero è fino in fondo un terreno di movimento.

      L’ampiezza della crisi e della recessione economica ci consegna un paese dove è l’intero corpo produttivo, in ogni sua declinazione settoriale, ad essere “centrale” per potenziali terreni di conflitto. Ma è fuori discussione che scuola ed università hanno sedimentato una prima traiettoria di lotta e ricomposizione possibile proprio perché fuori e contro lo schema rappresentativo e concertativo, anticipando ciò che oggi è un dato oggettivo: la fine o perlomeno la messa in crisi del classico rapporto virtuoso tra comando e triplice sindacale, che vedeva CGIL, CISL e UIL come la proiezione sul terreno della contrattazione del vecchio modello parlamentare: centro, destra e sinistra.

      Quel vecchio assetto, compromesso dalla forzata semplificazione della rappresentanza in crisi, è crollato sotto i colpi dell’altra Crisi: oggi CISL e UIL vanno per la loro strada con un ruolo di compartecipazione al governo e la CGIL è stata scaricata. Tradotto: la sua funzione è finita, e il suo ruolo esaurito. La concertazione, al di là degli evidenti interessi e privilegi che assicurava al sindacato sulla pelle di milioni di lavoratori e lavoratrici ( altro che Di Vittorio!), si inseriva comunque in uno spazio definito, e possibile, di contrattazione sociale. Oggi l’esistenza di questo spazio è perlomeno da indagare, se non da reinventare completamente, e di sicuro, se potrà esistere, non sarà quello di prima.

      E’ in questo quadro di grande difficoltà per sé stessa, per la sua esistenza e ruolo, che la CGIL si muove. E questa è una premessa che potrà sembrare scontata, ma è bene ribadire. Non vi è lettura anticipatoria e tendenziale sui processi di modificazione dei cicli produttivi, non vi è l’assunzione piena della crisi come scenario completamente sconosciuto di materiale modificazione della condizione sociale, a turbare i sonni di Epifani o dei suoi boys: è che fine faranno la sua organizzazione, i suoi dipendenti, i suoi funzionari, i suoi soldi e le sue fette di potere, ora che il padrone non sa che farsene di loro. Anzi ora che il padrone fa da solo, direttamente. E’ assodato poi che “dal basso” della struttura sindacale vengono e sono venute pressioni, riflessioni, sollecitazioni. Ma fintantochè non maturerà la decisione di sciogliere tutto in una grande assemblea costituente di qualcos’altro, è bene non credere alle favolette per bambini scemi: la CGIL è quella roba lì, con cui il capitalismo in crisi di oggi, ha potuto massacrare negli anni generazioni di uomini e donne messi sotto padrone.

      La loro crisi, come sempre, apre nuove possibilità al conflitto sociale: forse, probabile, speriamo. Ma niente è frutto di automatismi e come sempre di mezzo ci sono almeno tre fattori: il caso, l’oggettivo e il soggettivo. Sul caso e sull’oggettivo, su ciò che accade per combinazioni inspiegabili e su quello che si determina per grandi mutamenti globali, nulla possiamo fare se non, almeno per il dato oggettivo, rendercene conto, saperlo cogliere. Invece è il ruolo della soggettività che ci compete, che possiamo modificare e su cui esercitiamo scelta e capacità. E allora è indubbio che l’azione politica sullo sciopero del 18, è importante, ed in generale, ci abitua, e oggi è fondamentale, a non dare nulla per scontato o peggio, per progressivo e lineare.

      Partendo dalle premesse di cui sopra, il rapporto con la CGIL non può né deve essere caratterizzato da idiozia: ci interessa in quanto essa è in crisi, non a prescindere. E il dato della sua crisi va verificato ogni giorno, perché anch’esso non è immutabile o unidirezionale. La CGIL può trasformarsi infatti, per uscire dalla crisi, in peggio di com’era prima, non solo in meglio. Può cercare di fare ancora di più il cane da guardia in cambio di quattro pezzi di pane, invece che scegliere il conflitto per la democrazia, il reddito e la libertà.

      Scendiamo nel concreto di questo assunto: in questi ultimi giorni molte università sono state militarizzate, gli studenti che protestavano, da Torino a Pisa passando per Padova, caricati, presi a botte da celerini e carabinieri. La CGIL ha detto qualcosa a tal proposito da qualche parte? Qualcuno dei grandi ed illuminati dirigenti della FLC ha preso posizione per contrastare questa deriva autoritaria e violenta nei confronti del movimento? Certo, non siamo oggi nella fase dei cinquantamila in piazza, ma proprio per questo l’operazione silenzio, e nel caso di Padova appoggio, sulle cariche dentro l’università, non può non allarmarci.

      Anche perché, se uno poi si guarda il manifesto d’indizione dello sciopero del 18, scopre che viene evocata L’Onda: quindi, quelli che tengono in piedi le lotte dentro l’università, la parte radicale e radicata che la mobilitazione d’autunno ci ha consegnato, sono da eliminare, e l’Onda è invece un terreno di conquista, di colonizzazione da parte della CGIL. Sinceramente il primo, logico pensiero è questo. Non è vero, oppure non è proprio così? Benissimo, chiediamo allora alla CGIL FLC, come condizione imprescindibile per qualsiasi tipo di relazione, che si esprimano contro le cariche di polizia dentro l’università, contro i divieti con cui molti atenei hanno blindato le inauguarazioni dell’anno accademico, contro la repressione, ormai sistematica, delle proteste studentesche. Nel caso in cui questo non si determini, allora prendiamo atto del segnale che la CGIL, per uscire dalla sua crisi, prende in seria considerazione il fatto di far fuori, e non di supportare, il movimento, almeno nella sua parte radicale. Per radicale si intenda “radicalmente altra”, irrapresentabile, ingovernabile.

      E questo è già un paletto, soggettivo, per valutare che fare e perché il 18, e comunque valido in generale. Il secondo riguarda il senso dello sciopero. E’ forse possibile continuare con l’inganno che lo sciopero, inteso come astensione dal lavoro (e quindi per chi un tempo di lavoro ce l’ha riconosciuto) non retribuita, è l’unica forma di “conflitto” possibile? E’ possibile modificare i rapporti di forza con qualcosa che, oltre ad essere assolutamente previsto, nel caso dei metalmeccanici addirittura funzionale ( la produzione la arresta la crisi, non l’astensione degli operai ), è del tutto concordato e compatibile? Lo sciopero, la sua forma reale, deve tornare a fare male alla controparte, deve tornare alla sua funzione primaria: l’offesa, il danno, l’attacco.

      Tralaltro l’azione governativa anticipa, come sempre, la CGIL anche su questo: il diritto di sciopero, così come si è trasformato lo sciopero stesso, è oggi così legato ad una concessione più che alle sue caratteristiche originarie di “pratica conquistata”, che può essere revocato dal sovrano.

      Ma che cosa sono questi scioperi in realtà? Occasioni per inscenare manifestazioni di pura rappresentanza. Costano carissimi ai lavoratori, il sindacato che ha più soldi ne fa di più spettacolari, e cosa cambia? Gli operai in cassaintegrazione e licenziati di Pomigliano sanno invece come diventa la situazione se il corteo va a bloccare l’autostrada. I piloti dell’Alitalia se si tengono a terra gli aerei. I guidatori di mezzi pubblici anche. Lo sciopero per fare male deve riversarsi sulle città e sulle metropoli come dispositivo di interruzione del loro normale, e produttivo, funzionamento. Oppure deve puntare a riappropriazione di merci, e quindi di reddito. O soddisfare dei bisogni fondamentali, come la casa, la mobilità, l’agibilità di spazi dentro la fabbrica sociale. O danneggiare qualche interesse della controparte, o bloccare strade ed autostrade. Indicare per lo meno che quella è la direzione, molteplice e multiforme, intelligente e indisciplinata, verso cui tutti dobbiamo convergere. Altrimenti lo sciopero equivale alla manifestazione (a pagamento) della propria rappresentanza. E’ cioè una rappresentazione, non un reale esercizio della propria autonomia.

      Il 18 marzo, lo sciopero del comparto della scuola e dell’università della CGIL ripropone il modello della rappresentanza. Evoca l’Onda e vuole assumerne la rappresentanza. Riducendo quindi il movimento a qualcosa che si può dunque rappresentare e solo nelle sue parti compatibili. Allora il secondo punto di riflessione proposto è questo: lo sciopero va concretizzato.

      “Non pagheremo noi la vostra crisi”: che significa concretamente in quella giornata? Casa, reddito, blocco delle città, autoriduzioni, occupazioni dei rettorati militari, e chi più ne ha più ne metta. Se la battaglia per il movimento è quella che si fonda nel rifiuto della rappresentanza giustamente intesa come assenza di conflitto, e quindi non efficace, il 18 non può diventare una serie di manifestazioni a cui accodarsi.

      Tra le altre cose se l’essere in crisi della CGIL è l’unica cosa che la fa diventare potenzialmente interessante, il suo essere disponibile, almeno per quanto riguarda alcuni pezzi o gruppi di delegati e iscritti, a praticare insieme forme di sciopero metropolitano e contemporaneo, è l’unica maniera di verificare il tema delle alleanze: non è solo la comune condizione di crisi il parametro da utilizzare quando si parla di alleanze, ma anche la reale disponibilità alle pratiche di conflitto. Va da sé che il concetto di alleanza, in questa fase soprattutto, non può mai essere preso come dinamica sistemica e del lungo periodo.

      L’alleanza è con i soggetti, non con le organizzazioni. E’ con dei pezzi che sono in crisi dove stanno, e mettono in crisi gli altri con cui stanno. L’alleanza è volta per volta e si misura sugli obiettivi comuni, poiché la loro pratica, gli esiti che determina, già superano l’alleanza stessa.

      Tornando allo sciopero del 18, spicca con chiarezza dal suo manifesto rivendicativo che esso per la CGIL è un passaggio, importante ma parziale, verso lo sciopero generale del 4 aprile con manifestazione nazionale a Roma. Quindi va trattato anche da noi come tale. Ad esempio per costruire da questa data una verifica collettiva e dispiegata di come potrebbe essere l’attraversamento del corteo di Roma. Che non può e non deve essere un attraversamento debole. Deve rappresentare un rafforzamento sia dei terreni rivendicativi di movimento, sia del movimento stesso. L’Onda vuole tornare a dettare alla CGIL le scadenze e le mobilitazioni, gli obiettivi e le forme, o deve rassegnarsi a inseguirla, trascinata o risucchiata?
      Il 18 marzo può diventare un’occasione, nei propri territori, di costruire indicazioni reali di lotta, di sperimentare pratiche che immediatamente si possano configurare come nuovo linguaggio del movimento. Non serve a nulla, se non addirittura essere controproducente, trattare queste manifestazioni regionali del sindacato come un qualcosa di “normale” a cui partecipare senza produrre protagonismo, contraddizioni, nuove relazioni che mettono in crisi chi vorrebbe i movimenti afoni ed obbedienti. La giornata di sciopero in scuole e università non va sprecata: bisogna trovare forme originali e autonome di praticarla, di renderla vera, di utilizzarla per parlare di ciò che apre le contraddizioni dove abitiamo, studiamo lavoriamo, viviamo.
      Sulla base di queste riflessioni, e anche altre che spero arriveranno contribuendo al dibattito, si può capire, insieme il “che fare” e, cosa importante, il “perché fare”. Il 18 marzo, ma anche dopo.

      articolo di Alternative visuali