Home > 4 LUNI, 3 SAPTAMINI SI, 2 ZILE
Regia: Cristian Mungiu
Soggetto e sceneggiatura: Cristian Mungiu
Direttore della fotografia: Oleg Mutu
Montaggio: Dana Bunescu
Interpreti principali: Anamaria Marina, Laura Vasiliu, Vlad Ivanov, Alex Potocean, Luminita Gheorghiu, Adi Carauleanu
Produzione: Mobra Film
Origine: Rom, 2007
Durata: 113’
E’ più angoscioso per Gabita stare accucciata sul letto d’un hotel a meditare sul feto espulso dopo un aborto provocato o per l’amica Otilia che il fagotto del malfatto ha infilato in borsa e gira di notte in una squallida periferia per disfarsene? Il finale del film con cui Cristian Mungiu ha conquistato la 60a Palma d’Oro di Cannes raggiunge l’acme d’una tensione mai venuta meno in ogni sequenza della storia narrata. Storia del dramma dell’aborto nella Romania ancora ceauseschiana che, per i divieti del satrapo a legalizzarne la pratica, condusse alla morte mezzo milione di donne costrette ad arrangiarsi come le due studentesse. Angoscioso è dunque l’aborto e principalmente la sua clandestinità protetta dall’ipocrisia di dittature politiche o confessionali.
E nella Romania che Mungiu ridipinge le maschere d’ipocrisia e conformismo abbondano. Forse non è neppure lo squallido signor Bebe - che pratica l’aborto a Gabita facendolo pagare in natura - l’esempio peggiore, ma il clima che si respira in casa di Ali, il fidanzato di Otilia che la vuole presente al compleanno della madre. Otilia è comprensibilmente sotto stress da giorni, ha dovuto assistere la giovane Gabi inesperta e un po’ superficiale a preparare l’interruzione di gravidanza, però Ali infantile e benepensante la vuole accanto per inserirla nel quadretto familiare. Il gruppo di “borghesi” medici e statali che si parlano addosso non la valutano come persona ma solo in quanto ragazza di Ali e sollevano una polemica sul rispetto delle convenzioni quando lei inizia a fumare a tavola. Ai loro tempi non sarebbe accaduto, questa gioventù va perdendo i valori…
L’unico valore che lì traspare è dato dal cibo, eredità del mondo rurale ch’essi hanno abbandonato per la scalata sociale e dal quale invitano i figli studenti a star lontani. “Senza gli studi saresti rimasta in campagna” dicono di Otilia, saputala originaria d’una provincia periferica del Paese. Anche il mescolamento dei generi li sconvolge: Otilia è iscritta al Politecnico, un tempo le ragazze avrebbero studiato medicina e solo gli uomini si sarebbero dedicati a quelle materie. Il guaio è che certo conformismo s’eredita: Adi, impensierito dai misteri della fidanzata ottiene la confessione sull’accaduto, eppure resta impacciato non riesce a comprenderne la tensione, non sa esserle solidale. Le chiede un ulteriore atto che più d’educazione è d’apparenza: salutare i presenti. Otilia non ce la fa, deve fuggire dal luogo, dalle persone, anche da lui così diverso.
Nel dramma vissuto, nell’incertezza dell’esistenza solido appare il sentimento di solidarietà fra le donne. Otilia resta basita dalle sciocchezze di Gabita, che non sapeva se fosse al terzo o quarto mese e s’affidava per l’aborto a un perfetto sconosciuto, eppure non sa che essere con lei. E’ la prima a cedere al turpe scambio di mister Bebe quando comprende che non c’è alternativa, è come se fosse sul letto accanto all’amica in attesa dell’espulsione del feto quando la lascia obbligata ad andare da Ali, è suo il respiro affannoso che si sente nella notte mentre vaga per disfarsi del fagotto insanguinato (intense le riprese con la macchina a mano che ricordano la lezione dei Dardenne). Solo chi è animato da certi valori, anche nelle fasi tragiche che la vita riserva, può sperare nel futuro.
Enrico Campofreda, 8 giugno 2007