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A Herat si rifiutano a sparare ai civili, rimpatriati. L’esercito: vanno curati

Publie le martedì 29 luglio 2008 par Open-Publishing
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Le battaglie, gli uomini e le armi delle truppe italiane in Afghanistan

di Checchino Antonini

Due elicotteristi italiani sono stati rimpatriati nei giorni scorsi da Herat, in Afghanistan. Stanno male o hanno avuto paura di sparare? La "riservatezza", ossia la separatezza del mondo militare, colora la vicenda di giallo.

Secondo fonti militari, la misura sarebbe stata disposta «esclusivamente per motivi sanitari», in seguito alla situazione di stress psico-fisico diagnosticata ai due soldati al termine di un impegnativo ciclo operativo. «Nei loro confronti - è stato spiegato - non è stato adottato alcun provvedimento». Secondo il quotidiano romano Il Tempo , che ha anticipato domenica la notizia dell’anticipato rientro in Italia dei due piloti dell’Esercito, la decisione sarebbe stata invece adottata perchè i due elicotteristi si sarebbero rifiutati di sparare «durante uno scontro a fuoco in cui erano coinvolti anche militari italiani. La loro giustificazione è stata che sulla linea di tiro c’erano anche civili».

Dopo questo episodio, scrive il quotidiano diretto a lungo, negli anni scorsi, da Bruno Vespa, i due piloti di elicotteri Mangusta, sono stati «immediatamente rimpatriati» e, sul fatto, è stata aperta un’inchiesta. Al comando del contingente italiano ad Herat sottolineano però che le cose stanno diversamente. I due elicotteristi, ricostruisce una fonte militare alle agenzie, hanno accusato uno «stato di disagio» al termine di una serie di missioni operative e si sono presentati in infermeria: qui gli è stato diagnosticato uno stato di forte stress psico-fisico che il medico ha giudicato incompatibile con i compiti loro assegnati in quel difficile teatro di operazioni. I due militari sono stati quindi rimpatriati e, dopo un periodo di osservazione al Policlinico del Celio, come prescritto in questi casi, sono tornati alla loro base di Rimini. «Si è trattato di un rimpatrio dovuto esclusivamente a motivi sanitari», viene ribadito da Herat, dove dicono di «non sapere nulla» di eventuali inchieste aperte sull’episodio. Da parte del comando del contingente italiano, in ogni caso, «non è stato adottato alcun provvedimento» nei confronti dei due piloti.

Stress da ambiguità

«I militari in Afghanistan si trovano a operare in una situazione di grande ambiguità che, naturalmente genera stress - spiega a Liberazione Falco Accame, presidente di Anavafaf, associazione che tutela le vittime arruolate e le loro famiglie - non bisogna dimenticare che è in vigore il codice militare di guerra (quello che, fino a poco tempo fa prevedeva anche la fucilazione alla schiena) mentre la missione è considerata dal Parlamento una "missione di pace"». Per l’ex ammiraglio ed ex presidente della commissione Difesa della Camera, nei teatri afgani esistono situazioni «tipiche di guerra» e, anche nel recente passato si sono verificati episodi simili, e «ambigui», come quelli del check-point Pasta in Somalia o dell’attacco all’ambulanza in Iraq. Era il 2 luglio 1993 quando si scatenò la battaglia al check point vicino all’ex Pastificio di Mogadiscio, completamente distrutto, presidiato dall’Esercito italiano, come punto strategico della città. Dopo un rastrellamento da parte del contingente italiano ci furono scontri con i miliziani somali appoggiati dai civili. Restarono uccisi tre parà italiani, altri 36 feriti, imprecisato il numero delle vittime somale, miliziani o civili contro cui fu adoperato l’armamento pesante. La vicenda dell’attacco all’ambulanza, invece, risale alla notte tra il 5 ed il 6 agosto 2004, quando a Nassiriya si verificarono violenti scontri fra i miliziani sciiti di Moqtada Al Sadr e i militari italiani del Reggimento Lagunari Serenissima. I soldati italiani che presidiavano il ponte Charlie avrebbero bloccato un’autobomba diretta contro di loro, facendola esplodere e nel corso degli scontri l’ambulanza sarebbe stata centrata da un razzo. Ma gli italiani si sono sempre difesi sostenendo che i guerriglieri sparavano dall’ospedale e il governo, a parte smentire, non ha mai chiarito i fatti continuando a sostenere che quella in Iraq è una missione di pace.

«I militari hanno il diritto di sapere - continua Accame - in quali situazioni si trovano. Se vi sono dei morti in scontri a fuoco i militari hanno diritto di sapere se le vedove saranno considerate vedove di guerra. E legittimamente esiste la preoccupazione di non uccidere i civili che possono trovarsi casualmente colpiti in uno scontro. E se vengono fatti dei prigionieri deve esservi la certezza che valgano le convenzioni internazionali di Ginevra, non operanti in tempo di pace». Questioni, secondo Accame, che non sono risolvibili «con ricoveri ospedalieri che chiamano in causa indebitamente la salute mentale di singole persone». Non sono matti, servono decisioni politiche del Parlamento che, però, potrebbe inasprire le condizioni operative dei "nostri" ragazzi coinvolgendoli ancora di più nella guerra.

Il Dpts, cos’è

Il disturbo post traumatico da stress, Dpts, insorge con l’esposizione a eventi stressanti di estrema gravità oggettiva con minaccia per la vita o l’integrità fisica propria o di altri. I sintomi tipici sono intensa angoscia e paura, evitamento di ricordi associati al trauma, incubi, continuo stato di allerta, compromissione della funzionalità psicosociale e lavorativa. Può avvenire tra i pazienti di cancro dopo una diagnosi di recidiva, tra i sopravvissuti a disastri, campagne militari, prigionia in campi di concentramento. Ma le più esposte sono le donne e i traumi più comuni sono lo stupro o assistere all’uccisione di qualcuno.

Una vicenda diversa, ma che ha avuto come protagonisti sempre degli elicotteristi italiani in missione all’estero, si verificò in Iraq alla fine del 2003, pochi giorni dopo la strage di Nassiriya, quando quattro piloti dell’Esercito si rifiutarono di salire sui loro CH47, sostenendo che i velivoli avevano «carenze» nei sistemi di protezione. I quattro furono rimpatriati, sospesi dall’attività di volo e indagati dalla Procura militare, prima per ammutinamento e poi per codardia, ma furono assolti con formula piena nel corso dell’udienza preliminare.

Messaggi

  • Finalmente il primo articolo degno di nota. Il primo autore che centra il problema e non strumentalizza i fatti brancolando nel buio e tirando ad indovinare.
    Esattamente cosi’, invitati a recarsi in infermeria e rimpatriati sul canale sanitario poichè avevano stilato una relazione che metteva in luce le difficoltà di operare in determinati contesti. La missione di volo è stata condotta con maestria, fino all’ultima goccia di carburante e sempre con le armi pronte a reagire ad ulteriori minacce. Non bisogna domandarsi come hanno operato i piloti, bisogna invece domandarsi in quale contesto i loro Comandanti li hanno fatti operare. Dopo soldi spesi e vite sacrificate siamo alle solite: mancanza di risorse e di addestramento, ordini poco chiari e Generali messi li’ solo a coprire incarichi che danno lustro alla loro carriera.