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A proposito di "Liberazione" del partito e dei "massimi sistemi"
Publie le martedì 23 settembre 2008 par Open-PublishingCon i movimenti e i luoghi sociali della trasformazione il dialogo dev’esserci e dev’essere sollecitato da tutto il partito
A proposito di "Liberazione" del partito e dei "massimi sistemi"
di Giuseppe Prestipino
Nel partito della Rifondazione comunista ci sono due tensioni, giustificate nella stessa misura, che non coincidono con le due attuali correnti o aree o tendenze contrapposte, ma intersecano più o meno l’una e l’altra: la tensione "discontinuista" rispetto al nostro passato storico-politico e quella "continuista". Mentre mi riconosco nella corrente maggioritaria (solo in tal senso, la si può scherzosamente dire "bolscevica"?), non in quella minoritaria (o "menscevica"), nel contempo mi riconosco un po’ di più nella tensione continuista anziché in quella discontinuista. Son sempre stato contrario a pensare o scrivere in chiave autobiografica.
Ora avverto, avvicinandomi ai novant’anni, uno strano bisogno di esprimere i miei pensieri con brevi premesse o postille, appunto, autobiografiche. Qui rimemoro la mia lunga appartenenza al Pci, nel quale ero politicamente vicino alla tendenza ingraiana, ma ero da taluno sospettato di amendolismo, perché amendoliani erano sia il direttore di "Critica marxista" Emilio Sereni, sia il vicedirettore Ernesto Ragionieri, quando io completavo la triade essendo redattore capo, e soprattutto perché ero, come quei due, storicista in senso gramsciano, mentre i teorici ingraiani più rappresentativi, come Cesare Luporini, diventavano piuttosto filo-strutturalisti.
Non mi dolgo, oggi, che Liberazione sia più vicina alla tendenza di stretta misura minoritaria nel partito, purché sia giornale di tendenza, non giornale della tendenza. In un mio libro recente, esprimendo stima per Piero Sansonetti, non nascondevo le mie amichevoli riserve su un suo scritto in cui egli si dichiarava comunista e anche ambientalista, femminista ecc., suscitando un lieve disappunto in chi come me si professa comunista perché ambientalista, femminista ecc. E allora torno a dire: sia giornale di tendenza, ma - in quanto giornale del partito e non della tendenza - si differenzi dalla tendenza più "vicina", raccogliendo invece con favore le esigenze unificatrici (delle due anime) che vengono espresse da tutto il corpo vivo del partito.
E veniamo al partito. In un laborioso articolo pubblicato su "Critica marxista" durante il nostro VII Congresso, ritenevo doveroso ringraziare Fausto Bertinotti per la generosità del suo sentirsi tra i maggiori responsabili della cocente sconfitta elettorale e aggiungevo che, se la mia vecchia amicizia con l’attuale Capo dello Stato me lo consentisse ancor oggi, gli rivolgerei la preghiera di nominare Fausto Bertinotti senatore a vita per i suoi meriti culturali e istituzionali, ma anche per ridare dignitosa voce in Parlamento a un’idea penetrata nel Paese come una grande forza storica, già durante la Resistenza e fino al 14-15 aprile scorso, e ora invece esclusa dalla maggiore rappresentanza istituzionale per il servilismo di un PD veltroniano politicamente immorale e, soprattutto, per l’ignavia di un Paese reale in gran parte pervertito sotto il vento conservatore e sotto la corrispondente "rivoluzione passiva" mondializzata. Come "storicista" incallito dico: hanno espulso o esiliato, non un partito, ma un grande protagonista della storia d’Italia.
Eppure, non ho approvato Fausto quando ha involontariamente preannunciato quell’espulsione dichiarando: dobbiamo costruire un nuovo soggetto politico nel quale il comunismo sia soltanto una delle diverse esperienze culturali confluenti.
Perciò ho solidarizzato con Paolo Ferrero e con gli altri firmatari della prima mozione. In questo anche metaforico autunno sono solidale con coloro che - non soltanto tra i sostenitori della ex prima mozione - giudicano la scelta di tendenza secondaria rispetto al forte bisogno di unità per la rinascita del partito. Se questo bisogno mancasse nel momento in cui il partito è, suo malgrado, un partito extra-parlamentare e rifiutato da gran parte del Paese, se la diversità di opinioni rinverdisse le ricorrenti tentazioni alla scissione infinita, tipica dei piccoli partiti proprio in quanto piccoli, saremmo definitivamente perduti e, in tal caso, soltanto per colpa nostra. Perciò faccio appello a tutti coloro che stimo, in qualsiasi tendenza siano schierati.
Faccio appello in particolare a Rina Gagliardi, autrice dell’insuperabile articolo su La fine del mondo ammirato (mi risulta) anche da chi si fa beffe di tutta la sinistra "ritardataria", e a Franco Giordano, del quale non dimentico l’essersi sempre dissociato da chi pensava al superamento di Rifondazione comunista, e chiedo che il bisogno di unità sia anteposto, non solo a ogni innaturale "spirito di scissione", ma anche a ogni tentativo - esplicitato purtroppo nella tendenza minoritaria - di privilegiare i contatti con indirizzi politici esterni al partito rispetto al necessario dialogo con l’altra tendenza interna al partito.
Con gli indirizzi esterni, con i movimenti e i luoghi sociali della trasformazione in generale («a ognuno puzza questo barbaro dominio») il dialogo dev’esserci e dev’essere sollecitato e ravvivato da tutto il partito in quanto la sua unità sia il convincimento primario e elementare di dirigenti e di aderenti senza distinzioni correntizie.
Direi di più.
Come sostenuto in una conversazione epistolare con Raul Mordenti, è ipotizzabile una convergenza tra i diversi indirizzi politici di sinistra - e, più ovviamente, tra le due posizioni confrontatesi durante la vicenda congressuale del Prc - nel promuovere insieme, non un soggetto politico unico né una sua "costituente", ma una specie di unità di azione su singoli obiettivi comuni, lasciando ragionevolmente fuori, invece, quelli perseguiti da una parte della sinistra, non da tutta. Sarebbero coinvolti movimenti sociali o politici e, se accettassero, personaggi sinistreggianti del PD, non escludendo la partecipazione, come "osservatori", di esponenti più presentabili dell’attuale opposizione parlamentare e, forse, persino della maggioranza governativa.
Sarebbero così in atto, non certo un "governo ombra" né, per contro, un innominabile "anti-Parlamento", ma un tentativo di organizzare le lotte (manifestazioni e azioni collettive) nel paese reale e anche la visibilità, sui media e sulla scena politica in senso lato, di un’opposizione reale non rappresentata in Parlamento sia per un’antidemocratica legge elettorale, sia per la scarsissima attrattiva della "Sinistra Arcobaleno", che metteva in sordina le specificità (storiche e programmatiche) delle sue componenti partitiche: per giunta, verticisticamente partitiche.
Sarebbe dunque promossa, oltre che l’organizzazione unitaria di lotte sociali nel paese, una specie di "Stanza", o istanza, rappresentativa delle opposizioni reali, avente la pretesa di interloquire anche con il Capo dello Stato e con il Capo del governo su questioni di interesse cruciale, come l’abolizione o almeno l’abbassamento dell’attuale o prevista soglia di accesso alla rappresentanza parlamentare (nazionale e europea) per le singole liste eventualmente apparentate tra loro, la reintroduzione di almeno una preferenza aggiuntiva, rispetto all’implicita preferenza per il capolista, come diritto dell’elettore a far valere anche una sua scelta tra i candidati, rafforzando nel contempo le richieste non certo secondarie di una redistribuzione del reddito favorevole ai meno abbienti, di un rigido contenimento dei prezzi in regime di inflazione, di una legislazione più rispettosa dei diritti alla scuola e alla sanità pubbliche, a una casa decente con affitti controllati, a un ambiente risanato, a trasporti pubblici potenziati con il consenso delle comunità locali ecc.
Su altre questioni, decisive per noi e non altrettanto per taluni altri co-inquilini di quella Stanza, lotteremmo con chi ci sta: niente crescita o quale crescita per fronteggiare l’imminente apocalisse ambientale; fino a che punto sancire per legge nuovi diritti civili estesi a tutte le unioni di coppia, alle diversità sessuali ecc.; come reclamare, non solo rapporti fraterni e solidali tra "indigeni" e immigrati (in specie, se lavoratori gli uni e gli altri), ma l’estensione della cittadinanza e dell’elettorato a tutti coloro che lavorano o chiedono lavoro nel nostro Paese; come rinvendicare piena attuazione del dettato costituzionale soprattutto nel ripudio della guerra e quindi nello smantellamento di tutte le basi militari straniere e nel rifiuto delle "missioni" pseudo-umanitarie in paesi devastati dall’Occidente più che da integralismi locali; come contribuire a un’Europa unita in una sua piena democratizzazione ben più che in una tecnocrazia economico-finanziaria o, direbbe Tremonti, "mercatista".
Tralascio ogni accenno alla non dilazionabile rielaborazione teorica, al nostro inserimento innovativo nella tradizione comunista e anche socialdemocratica scandita dai vari programmi generali o fondamentali per la prospettiva di lungo periodo storico.
Una noticina finale. Vi è chi, tra i freudiani o i simbolisti ecc., dice che nell’umano la sfera del simbolico è tutto e vi è chi, tra i marxisti dogmatici, dice che quella sfera è il nulla o è un’effimera superfetazione ideologica. Ritenendo invece che tra il materiale e il simbolico, come tra due facce della stessa medaglia, l’uno non può fare a meno dell’altro e viceversa, mi ritrovo anche in questa faccenda con Gramsci.