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AFFARI GIALLI

Publie le venerdì 13 aprile 2007 par Open-Publishing

Se c’è un modo schizofrenico e fazioso di vivere la globalizzazione Letizia Moratti lo incarna perfettamente nella duplice mentalità di politica e imprenditrice. Come sindaco di Milano ha dato avvìo a quell’incomprensione fra uomini e comunità che rappresenta il non senso del planetario popolo globalizzato. La rivolta della Chinatown meneghina ai suoi ghisa multanti e picchianti nasce da un’incomunicabilità del vivere in crescita esponenziale ovunque, ma che operati alla Moratti esasperano scavando solchi profondi come canyon.

Abbiamo assistito a una ribellione prima che alle multe all’ipocrisia dei comportamenti, ai “due pesi e due misure” visto che gli urlanti all’angolo fra le vie Paolo Sarpi e Bramante non erano disperati albanesi o nord africani – che possono al più delinquere ma finora non protestano – bensì giovani della comunità più febbrilmente laboriosa, gli epigoni del dragone votati al dollaro o all’euro con uno zelo senza pari. Da anni il capitalismo d’occidente blatera di voglia di mercato liberissimo e, nell’est europeo prima e in estremo oriente poi, il capitale mondiale ha rilanciato un’imprenditoria canaglia e senza regole addirittura peggiore di quella narrata da Dickens.

Ancor’oggi da noi le stimate categorie d’imprenditori e commercianti si lamentano di lacciuoli, gabelle e imposte statali che soffocano le proprie attività. Reclamano spazi liberi, vogliono controlli nulli e deregulation. Ambiscono d’essere uccel di bosco, e fiscalmente lo sono. Se però all’orizzonte compare chi s’adopera più di loro e, come gli immigrati cinesi, rileva aziende ed esercizi commerciali, li rilancia, lavora notte e giorno con fare asfissiante, ossessivo, rasentando l’alienazione allora ai capitani d’industrie - abituati molto più alle commesse tangentizie che alla concorrenza vera – gira la testa. Così tramite gli imprenditori amici prestati alla politica come donna Letizia operano vendette trasversali o dirette, multe etniche agli ambulanti stranieri e non agli italiani, controlli a senso unico nei negozi per vedere se gli involtini primavera siano edibili mentre i cannelloni rancidi delle rosticcerie accanto giacciono placidi in lugubri teglie.

Non si creano certo fratture diplomatiche per qualche multa. Se però alle multe seguono fratture di braccia e si crede di risolvere questioni di convivenza e rispetto delle leggi in modo vessatorio ecco che, come per gli orgogliosi cinesini di Paolo Sarpi, si fomenta l’idea di persecuzioni ad personam. Ai commercianti e agli imprenditori italiani i commercianti e imprenditori cinesi non piacciono perché lavorano per se stessi esasperando – anche a dispetto delle regole – i princìpi del capitale. Princìpi basati sul superlavoro e supersfruttamento, sui raggiri della clientela e diciamolo pure a volte su truffe piccole e grandi. Proprio come gli occidentali e forse di più. Marco Polo l’aveva imparato otto secoli or sono.

E alura sciura Moratti perché accanirsi contro l’irregolare carico-scarico delle merci in Paolo Sarpi se anche a Montenapoleone si scarica fuori orario e fuori bolletta d’accompagno? Non vogliamo certo esaltare l’illegalità, le leggi vanno rispettate ma da tutti. “Nessuna zona franca” dice il sindaco, nessuna per nessuno né cinese né milanese. Questo reclamavano i ragazzi orientali con accento ormai lumbàrd che da anni inseguono la logica del profitto in quell’angolo di città anche grazie alle licenze concesse a piene mani da quel sostenitore della Milano che vende ch’è stato il precedente sindaco Albertini.

Dal vendete e moltiplicatevi suo e di Formentini, solo per risalire di tre lustri, si passa alla regulation forzosa e forzitaliota in cui, dietro la maschera degli altrui doveri, xenofobia e sinofobia s’inseguono infoiate. Contrappasso dell’intera vicenda - per nulla conclusa e la cenere può covare a lungo il fuoco se governanti più assennati non decideranno di svegliarsi dal torpore – è che i tosti mercanti di Chinatown sventolassero per strada la bandiera rossa, incubo del bottegaio medio nostrano e della sua rappresentanza amministrativa di turno. E cantassero l’inno maoista (“Alzatevi cinesi”) ma in quella chiave capitalista che Deng impose decenni or sono, che non ha nulla di comunista e coniuga solo merce e denaro con nazione. Una nazione di 1 miliardo e 350 milioni di abitanti che vogliono arricchirsi. E questo da Milano a Wall Street fa più paura del comunismo.

Enrico Campofreda, 12 aprile 2007