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di GIULIETTO CHIESA
Ancora una volta l’Italia in pole position per la preparazione della
prossima guerra? La faccenda dell’uranio dei Niger, che Saddam Hussein
avrebbe cercato di comprare per fabbricarsi la bomba atomica si sa ormai
fu fabbricata a Roma da una compagnia di maldestri truffatori italiani, che
non sapevano nemmeno falsificare una lettera. Ma, com’è noto, la bufala fu
ben venduta e ancora meglio utilizzata dal Pentagono per costruire la guerra
contro l’Irak e la favola delle armi di distruzioni di massa che sarebbero
state presto, prestissimo, a portata di mano del dittatore iracheno.
Corse voce subito smentita, naturalmente che il capo del Sismi, Niccolo
Pollari, vi avesse avuto un occhio di riguardo. Del resto è noto che Pollari
non sa quasi nulla di ciò che sfiora il suo ufficio. Non sapeva nulla
nemmeno del rapimento di Abu Omar, figuriamoci dunque di cose come quella.
Ma la sfortuna perseguita Pollari. Adesso emerge che il nostro Sismi, nella
sua augusta persona, partecipò anche alle prime fasi della preparazione
della guerra contro l’Iran.
Lo rivela un interessantissimo articolo di James Bamford, apparso a metà
luglio sul sito www.rollingstone.com, appena dopo l’inizio delle ostilità
israeliane contro il Libano. Bamsford non è un novellino, avendo vinto
proprio quest’anno il National Magazine Award for Reporting con il suo ³The
Man who sold the war² (L’uomo che vendette la guerra). E ci si riferisce
alla guerra contro l’Irak. Contro cui si battevano, all’epoca, quelli che
avrebbero voluto che gli Stati Uniti cominciassero non dall’Irak, ma
dall’Iran. In testa a tutti Michael Ledeen.
Ben noto in Italia per essere stato frequente ospite di talk show
televisivi, Ledeen ha un passato e un presente di agente segreto che
potrebbero essere definiti gloriosi. Californiano, dottore in storia e
filosofia, è considerato (dal Jerusalem Post) ³il guru dei neo conservatori
di Washington². Due anni d’insegnamento a Roma gli consentono di parlare un
ottimo italiano, ma Ledeen è stato anche il primo direttore esecutivo
dell’Istituto ebraico per le questioni della sicurezza nazionale (1977), uno
dei molti think-tank filo israeliani di Washington e, successivamente,
consulente del Consiglio per la Sicurezza Nazionale alle dipendenze di
Douglas Feith. Fu proprio lui a fungere da intermediario con Israele nello
scambio di prigionieri americani ostaggi in Libano, contro armi segretamente
date all’Iran degli ayatollah. Fu il più grosso scandalo, quando emerse,
dell’Amministrazione Reagan.
Storie passate, si dirà, ma che è utile richiamare qui per capire il ruolo
attuale di Michael Ledeen. Bamford dunque rivela fonti, l’FBI ma
soprattutto Michael Ledeen in persona, intervistato nella sua casa di Chavy
Chase, Maryland, praticamente Washington, mentre fuma un sigaro di Santo
Domingo che Ledeen si rifà vivo subito dopo l’11 settembre, chiedendo
udienza a Stephen Hadley, vice consigliere per la sicurezza nazionale della
Casa Bianca, e comunicandogli di avere informazioni dirette che l’Iran stava
organizzando un attentato contro gli americani, impegnati in Afghanistan.
Gli danno retta, sia Hadley che Zalmay Khalilzad (attuale ambasciatore a
Baghdad), e così accade che, nel dicembre 2001 uno dei voli segreti della
CIA (di cui Pollari non ha mai saputo niente) porta a Roma una compagnia
bene assortita, comprendente lo stesso Michael Ledeen, Larry Franklin (su
cui torneremo tra poco per spiegare chi è), e Harold Rhode, specialista
dell’Islam e molto connesso con l’uomo che tutti insieme avrebbero dovuto
incontrare a Roma, Manucher Ghorbanifar, venditore di tappeti (è proprio il
caso di dirlo), in odore di essere, al tempo stesso, un agente israeliano e
anche un agente iraniano. Fu grazie ai suoi servigi che lo scandalo dello
scambio di prigionieri costò l’incriminazione di 15 alti funzionari
dell’Amministrazione di Washington al tempo di Reagan.
Questa era una delle ragioni per cui la CIA aveva messo il veto a ulteriori
coinvolgimenti di Ghorbanifar nelle sue operazioni. Ma Ledeen non frequenta
gli uffici della CIA, essendo di casa al Pentagono.
Ma chi altri è presente a quell’incontro romano? Appunto dice Ledeen a
Bamford Niccolò Pollari, colui che ³solo due mesi prima aveva informato
l’Amministrazione Bush che Saddam Hussein aveva ottenuto l’uranio
dall’Africa occidentale². E’ Pollari stesso, secondo questa ricostruzione, a
fornire ai quattro agenti il luogo dell’incontro, nei pressi di Piazza di
Spagna.²
³Ci faceva un freddo cane racconta Ledeen non c’era riscaldamento².
L’ospite italiano non aveva curato neanche le pulizie dei locali, perché
pare che i portacenere fossero pieni di cicche e, i tavoli,di tazzine di
caffè sporche, residui di altre riunioni segrete. Fu in quel contesto gelido
e poco pulito che vennero dispiegate le carte dell’Iran, dell’Irak, della
Siria, dell’Afghanistan su cui i cinque studiarono la situazione. Uno dei
temi chiave fu, per inciso, l’uso dei Mujaheddin-e-Khalq, un gruppo
combattente di iraniani dissidenti che operava dal territorio iracheno e che
fa parte dell’elenco americano delle organizzazioni terroristiche.
Dopo quell’incontro ce ne furono altri, e numerosi, in varie città europee.
Il contatto con Ghorbanifar fu esteso al punto che i suoi fax ³arrivavano al
Pentagono quasi quotidianamente². E non si può dire che Ledeen abbia
lavorato invano. Nel 2003, due anni dopo, Rumsfeld approva il progetto
CONPLAN 8022-02 ³che per la prima volta definisce le modalità di un attacco
preventivo contro l’Iran². Al quale piano fa seguito, nel 2004, un
supersegreto ³Ordine di allerta preliminare in vista di un attacco globale²,
che mette a punto tutti i dettagli di un’operazione di bombardamenti e
missilistica contro l’Iran.
Bamford cita al riguardo una dichiarazione del Generale Bruce Carlson,
comandante della 8-va Air Force: ³Noi abbiamo ora la capacità di pianificare
ed eseguire attacchi globali in mezza giornata, o anche meno².
E qui torniamo a Larry Franklin agente della DIA, Defence Intelligence
Agency che in quel periodo era assiduamente pedinato e intercettato
dall’FBI per i suoi troppo frequenti contatti con l’AIPAC (American Israel
Public Affaire Committee) nelle persone di Steven Rosen ³uno dei più
influenti lobbisti di Washington², scrive Bamsford, e di Keith Weissman,
esperto per l’Iran della AIPAC. Il segugio dell’FBI che fa saltare il
coperchio si chiama David Szady, che aveva messo sotto controllo sia
Franklin, che Ledeen e Rhode, oltre a Rosen e Weissman.
Si scopre così che Larry Franklin passava informazioni segrete (sui piani
americani contro l’Iran) all’AIPAC, la quale li passava ai servizi segreti
israeliani.
Risultato finale (provvisorio). Il 4 agosto 2005 Rosen e Weismann vengono
incriminati e il 20 gennaio di quest’anno Larry Franklin che si è
dichiarato colpevole per ridurre la pena viene condannato a 12 anni e
sette mesi per spionaggio. Una storia a lieto fine, di quelle classiche di
Hollywood, dove i cattivi ricevono la giusta punizione. Non fosse che
Franklin è l’unico a essere stato condannato.
Nel frattempo i piani per attaccare l’Iran sono in funzione, e Michael
Ledeen è tranquillo nella sua casa di mattoni rossi di Chavy Chase. Tanto
tranquillo che pubblica, il 13 luglio di quest’anno, sulla National Review,
un baldanzoso suggerimento alla Casa Bianca: ³Più in fretta, per favore (S.)
Il solo modo con cui noi potremo vincere questa guerra è di far cadere i
regimi di Teheran e Damasco. Questi non cadranno per effetto di
combattimenti, a Gaza o in Libano, tra i loro burattini, da una parte, e
Israele dall’altra. Solo gli Stati Uniti possono farlo².