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Regia: Masahiro Kobayashi
Soggetto e sceneggiatura: Masahiro Kobayashi
Direttore della fotografia: Koichi Nishikubo
Montaggio: Naoki Kaneko
Interpreti principali: Masahiro Kobayashi, Makiko Watanabe
Musica originale: Masahiro Kobayashi
Produzione: Monkey Town Preductions
Origine: Gia, 2007
Durata: 102’
Se doveva parlare di alienazione, vuoto emotivo, serialità, ripetitività robotica dell’esistenza il regista-attore Kobayashi poteva almeno risparmiarci diverse decine di minuti di pellicola in cui le scene girano identiche nei gesti nei volti nei cibi nei colori nei silenzi. Ossessivo il senso che vuole trasmettere certo, ma c’è un limite anche all’autismo. Nel po’ di trama esistente appare una premessa: è stato commesso un delitto seguita da una conclusiva esortazione canora che spera nella fratellanza e nell’amore. In mezzo cento interminabili minuti in cui una giovane donna – Nokiro – cuoca in un hotel sbuccia patate e frigge omelette e un uomo – Junichi – dopo il turno in fonderia si fa il bagno e va lì a mangiare.
Ciascuno poi si rinchiude nella propria stanza-loculo dove legge o dorme in posizioni impossibili. Così ogni giorno, per settimane. I due s’incrociano, nemmeno si guardano, naturalmente non parlano - né negli spazi frequentati nessuno profferisce parola - però si conoscono e fra loro c’è un tragico legame. In una scuola la figlia di Nokiro ha ucciso quella di Junichi e ora il caso mette le reciproche sofferenze dei genitori in condizione di sfiorarsi ogni giorno. E ogni giorno né l’uno né l’altro dice o compie un solo gesto d’avvicinamento. A un tratto Junichi fa qualcosa: recapita alla ragazza un pacco in regalo ma presto lo ritrova davanti alla porta della sua camera. Alla prima occasione va verso la donna e lei lo schiaffeggia.
Ancora indifferenza, rumore di fonderia e uova fritte poi è Nokiro ad avvicinare l’uomo e lui a tirare dritto. Così incomunicanti fino all’epilogo del messaggio canoro di chiusura. Brrrr… Che lo scarnificato Kobayashi abbia tagliato dialoghi, inquadrature sostanzialmente anche sceneggiatura liofilizzando la storia stessa è una scelta soggettiva e rispettabile, non comprendiamo perché premiarlo col Pardo d’oro. Abbiamo appreso lo spirito nipponico da silenzi, immagini, intuizioni ed emozioni di altri Maestri del cinema del Sol levante, ricevendo descrizioni iper realistiche per crudezza e vuoto abissali del dolore che agonizza, della tristezza narcotizzante ma con un tocco artistico che qui francamente non riusciamo a cogliere.
Enrico Campofreda, 27 agosto 2007