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ALEX, LIDIA, GIGI E LE LACRIME DELLE COSE
Publie le giovedì 6 luglio 2006 par Open-Publishing1 commento
EDITORIALE. PEPPE SINI: ALEX, LIDIA, GIGI E LE LACRIME DELLE COSE
(Alex Langer- Lidia Menapace-Gigi Malabarba)
Lidia e Alex
Vorrei sgombrare il campo da un possibile equivoco.
Sebbene io sia null’altro che un semplice "quidam de populo" cerchero’ fino
alla fine di persuadere Lidia Menapace a votare contro i crediti di guerra;
ma l’affetto e la stima che provo per Lidia resteranno in ogni caso
immutati. Conosco Lidia da oltre trent’anni, e devo forse soprattutto a lei
se sono diventato non solo un miglior militante ma anche una persona
migliore, poiche’ lei piu’ di ogni altra persona mi fece capire trent’anni
fa che chi vuole lottare per la liberazione dell’umanita’ deve mettersi alla
scuola del femminismo (e per i militanti maschi questo significava e
significa anche che la prima lotta da condurre e’ quella contro il fascista
che e’ in noi - dura, penosa lotta che da trent’anni mi agita e scuote), e
quella lezione non ho piu’ dimenticato e per sempre gliene saro’ grato.
Credo che Lidia oggi commetta un errore, cosi’ come credetti che commettesse
un errore Alex Langer quando si espresse in favore di un intervento bellico
internazionale durante la guerra di secessione jugoslava per cercar di
fermare gli orrori genocidi della "pulizia etnica" bombardando gli eserciti
stragisti che stavano eseguendo la mattanza. Credevo allora, e credo ancora,
che Alex sbagliasse, ma non sono mai riuscito ad esserne del tutto certo,
alcuni suoi argomenti erano e restano assai persuasivi. E comunque neppure
per un attimo la stima e l’affetto che nutrivo per Alex - e che nutro
tuttora, nella memoria che non si estingue, e nella nostalgia per la sua
bonta’, il suo sorriso, la sua amicizia, la sua nonviolenza - sono mai
venuti meno.
Oggi credo che - mutatis mutandis - sbagli Lidia, ma naturalmente anche oggi
non posso esserne del tutto certo: le ragioni che lei adduce a sostegno
delle sue provvisorie conclusioni mi sembrano non solo ragionevoli ma anche
in se’ convincenti, sebbene mi sembri che siano flagrantemente incoerenti
rispetto alle premesse condivise e mi sembri altresi’ che Lidia si lasci
distrarre per cosi’ dire dagli alberi delle vicende e delle manovre
politico-parlamentari italiane e non veda la foresta, ovvero cio’ che sta
accadendo in Afghanistan, e gli esiti nefasti che la decisione di proseguire
comunque nella partecipazione militare italiana alla guerra palesemente
implica. Ma non escludo che possa sbagliarmi io, e che abbia ragione lei nel
suo doloroso travaglio (che so bene essere comunque inteso alla ricerca di
un voto che per quanto possibile la guerra effettualmente contrasti): certo
non la assimilo ai farabutti e agli assassini che della guerra sono corifei,
e poi magari versano la lacrimuccia d’ordinanza quando i ragazzi italiani da
loro mandati a uccidere e morire tornano incassati nelle bare.
Questa mia professione di relativismo e di realismo, da materialista
incallito diffidente di tutti i dogmi - poche’ dalla vicenda storica mi e’
parso di capire che dove c’e’ un dogma presto verranno eretti roghi, e
costruiti i campi -, e anche da amico della nonviolenza che sa che il saggio
principio-cardine dell’azione politica di Gandhi sempre e’ stato quello di
"raggiungere dei buoni compromessi", non mi impedisce tuttavia di sostenere
le mie opinioni sul quid agendum con la passione con cui le opinioni - non
quelle accademiche, quelle sui fatti concreti, e relative quindi
all’assunzione di responsabilita’ per le sorti del mondo - vanno sostenute:
le opinioni politiche che non appassionano valgono poco).
*
Ieri e oggi
Se su questo foglio tanto si parla della posizione che prendera’ Lidia non
e’ perche’ lei possieda la bacchetta magica e possa chissa’ cosa, ma e’
perche’ tutte e tutti quelli che questo foglio variamente condividiamo le
vogliamo bene, come a una savia, sapiente compagna e una maestra molto
ascoltata. Se ci permettiamo di pregarla di ascoltare adesso lei noi, noi
che sempre ci siamo disposti all’ascolto delle sue parole - e che, come ha
scritto una volta Luisa Muraro parlando di Simone Weil, quando le nostre
opinioni divergono siamo istintivamente portati a pensare che lei abbia
ragione e noi torto - non e’ per metterla in conflitto con se stessa e col
sentimento di lealta’ verso i suoi colleghi parlamentari insieme a cui
giustamente vuol discutere e decidere (nobile sentimento: ma sappiamo tutti
fin troppo bene che i malfattori, i soverchiatori, i ricattatori
strumentalizzano proprio i nobili sentimenti altrui quando vogliono
vulnerare le persone buone), ma e’ in primo luogo perche’ ci sembra che lei
stessa abbia saputo e voluto mantenere un atteggiamento di apertura in
questa vicenda, e pur esprimendo un orientamento, non si e’ preclusa la
possibilita’ di approfondire e sviluppare la sua posizione, ed io che scrivo
queste righe confido che voglia farlo, e che voglia farsi promotrice di
un’iniziativa parlamentare che sposti posizioni, che apra varchi alla pace,
che contrasti l’accettazione supina della sottomissione alla guerra - la
cosiddetta "mediazione" raggiunta nel Consiglio dei ministri essendo dal mio
punto di vista nient’altro che la prosecuzione della partecipazione militare
italiana alla guerra afgana condita da un po’ di chiacchiere (quelle di cui
il poeta disse che "il tanto sospirar nulla rileva") e da quattro baiocchi
con cui cercar di comprare la complicita’ degli sprovveduti o dei sedicenti
pacifisti parastatali arruolati come truppe di complemento, cosi’ come i
conquistadores si portavano dietro i missionari affinche’ la croce
legittimasse la spada.
Tre mesi fa scrissi poche righe che diedero origine a una valanga di
pronunciamenti di tante persone a favore dell’idea che Lidia, donna,
partigiana, femminista, amica della nonviolenza, sarebbe un’ottima
presidente della Repubblica: le riscriverei oggi tali e quali.
E qui mi fermo, perche’ non vorrei che questo articolo sembrasse una lettera
d’amore: sono felicemente sposato e adoro mia moglie.
*
Gigi
Conosco da tanti, tanti anni anche Gigi Malabarba, e gli voglio un bene
dell’anima. Posso talvolta non esser d’accordo con lui, ma sulla sua
sincerita’ e generosita’ ci metto la mano sul fuoco. Trovo scandaloso che
per essersi pronunciato secondo legge e secondo coscienza, in difesa della
Costituzione e contro le uccisioni, per la pace e contro la guerra, per la
verita’ e contro l’ipocrisia, in questi giorni sia stato con procedimento
classicamente totalitario messo sotto accusa come lunatico e mestatore: da
quando fare il bene e’ diventata una colpa? Da quando difendere la
Costituzione e’ un crimine? Da quando opporsi alla guerra e’ una follia?
*
Un’ultima premessa in guisa di baruffa
Vorrei sgombrare il campo dalle petizioni di principio e dagli argumenta ad
personam perche’ vorrei discutere dei fatti, dei duri, nudi fatti.
Ma prima, ancora una premessa, per liberarci dell’ultimo equivoco: io non
appartengo ai "senza se e senza ma", formula che ritengo totalitaria e
sintomatica sia di una visione del mondo che mi spaventa, sia di quella
"assenza di pensiero" che con stupenda lucidita’ denunciava Hannah Arendt.
Io non appartengo neppure al sedicente pacifismo squadrista (o agli
squadristi ammiccante) che pensa che la violenza americana sia cattiva e
quella antiamericana sia buona, che i manganelli della polizia facciano male
e le mazze dei teppisti facciano bene, che l’omicidio commesso dal soldato
dell’esercito regolare sia un crimine e quello commesso dal miliziano delle
guerriglie sia una benedizione, che il terrorismo degli stati sia male e
quello delle bande sia bene. Tutte le vittime hanno il volto di Abele: lo
sapeva e ce lo disse Heinrich Boell, ora lo sappiamo tutti.
E non appartengo neppure all’equivoca "sinistra radicale" che un giorno
proclama - non si capisce bene a nome di chi - che "siamo tutti sovversivi"
e il giorno dopo diventa punta di lancia della "guerra umanitaria".
E non appartengo neanche al mondo delle onlus e delle ong che dopo tanto
cicalare corrono col cappello in mano a mungere prebende dagli amici al
potere, dal Comune a Palazzo Chigi, da Bruxelles a New York.
Io sono oggi lo stesso di ieri: un militante della sinistra degli oppressi,
e un amico della nonviolenza - non per fideismo, ma per analisi razionale,
per scelta di rigore intellettuale e morale, e per esigenza di realismo
nell’agire politico. Dopo i gulag e i lager, dopo Auschwitz e dopo
Hiroshima, la scelta della nonviolenza e’ l’unica scelta realistica per
l’umanita’.
Oggi l’alternativa non e’ piu’ solo tra socialismo (socialismo, non
totalitarismo) o barbarie, oggi essa e’ anche, e ancor prima, tra disarmo o
apocalisse, tra scelta della nonviolenza che consente la prosecuzione
dell’umana vicenda, o continuazione della guerra che - allo stadio attuale
delle risorse tecnologiche a fini di distruzione - la civilta’ umana
inabissa nel nulla.
*
In medias res
E qui finiscono le premesse ed entriamo nel cuore delle cose.
Tra pochi giorni il parlamento sara’ chiamato a votare il rifinanziamento
della partecipazione militare italiana alla guerra afgana. Il governo in
carica ha gia’ decretato tale prosecuzione, ed alcuni ministri hanno persino
tuonato contro i reprobi che non si genuflettono in adorazione dinanzi al
dio Ares (altri ministri, piu’ ipocriti e piu’ navigati a tutte le malizie
della scuola di Talleyrand, hanno tenuto ben altro profilo, ma condiviso le
stesse decisioni, sanguinarie decisioni, magari sorridendo, del sorriso di
Franti).
E’ opinione di chi scrive queste righe che il parlamento debba votare contro
i crediti di guerra, per due precise ragioni, una de jure e una de facto.
Quella de jure: la Costituzione italiana proibisce la partecipazione
italiana a a quella guerra. E sulla fedelta’ alla Costituzione a nessuno
dovrebbe essere permesso di transigere, meno che mai a chi in forza di
quella Costituzione esercita la funzione legislativa.
Quella de facto: la guerra e’ un crimine sempre, uccide, uccide e uccide
esseri umani; e la guerra afgana si prolunga da decenni ormai: quanto ci
vorra’ per capire che occorre metter fine alle stragi e che per metter fine
alle stragi occorre fermare la guerra, avviare il disarmo di tutte le parti,
investire risorse su una politica del tutto alternativa, quella della
nonviolenza?
Perche’ questo e’ il punto, e questo e’ cio’ che differenzia le persone
amiche della nonviolenza dai cialtroni di tutte le risme: che noi non
diciamo, come quella vocetta assassina del sonetto del Belli, "Avanti alo’,
chi more more"; noi diciamo invece: basta con la guerra, basta con le armi,
basta con gli eserciti, ed al loro posto aiuti umanitari, Corpi civili di
pace, interposizione nonviolenta, azione nonviolenta, ricostruzione civile e
democratica nonviolenta, sostegno alle donne afgane contro il fascismo
patriarcale, sostegno ai contadini per sostituire le colture dell’oppio con
colture per l’alimentazione e la manifattura, infrastrutture sanitarie,
assistenziali, educative, di promozione di un sviluppo autocentrato con
tecnologie appropriate: la politica internazionale della nonviolenza, la
politica della nonviolenza giuriscostituente.
*
L’alternativa
Ai parlamentari sensibili al valore della legalita’ costituzionale e alla
scelta della pace (ovvero: ai parlamentari che non vogliono commettere
reati, ai parlamentari che non vogliono essere complici delle stragi)
chiediamo di votare non solo secondo coscienza, ma con realismo politico: se
essi divengono oggi complici della guerra e della violazione della
Costituzione, domani potranno essere ancor piu’ agevolmente ricattati dai
malfattori che li hanno resi loro complici.
Ai parlamentari sensibili al valore della legalita’ costituzionale e alla
scelta della pace (ovvero: ai parlamentari che non vogliono commettere
reati, ai parlamentari che non vogliono essere complici delle stragi)
chiediamo di difendere la civilta’ giuridica e la norma morale, ma anche di
proporre loro - di contro alla sciagurata attuale scelta governativa - una
politica internazionale degna di questo nome: e alla proposta insana
formulata dal governo contrapporre una proposta ragionevole che si incardini
su due principi: cessazione della partecipazione italiana alla guerra, avvio
di un grande piano di intervento nonviolento e di aiuti umanitari
accompagnato da un’azione diplomatica in sede Onu e in sede Ue per il
disarmo, il disarmo, il disarmo.
Solo la nonviolenza puo’ salvare l’umanita’.
Che tutte e tutti si esca dall’apatia, dalla rassegnazione, dalla
subalternita’: la nonviolenza e’ in cammino.
Messaggi
1. > ALEX, LIDIA, GIGI E LE LACRIME DELLE COSE, 6 luglio 2006, 17:19
TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: "E LE BOMBE ESPLODONO IN ARIA"
"E i razzi risplendono rossi, le bombe esplodono in aria, assicurandoci nel mezzo della notte che la nostra bandiera e’ ancora la’. Oh, di’ che la bandiera stellata ancora sventola sulla terra dei liberi e la patria dei coraggiosi"
(Star-spangled banner, inno nazionale Usa)
La bandiera stellata e’ stata spesso sui giornali ultimamente. Alcuni
senatori "coraggiosi", fra cui una dei senatori del mio collegio, Dianne
Feinstein, e la prediletta dell’ala liberal Hillary Clinton, si sono
arditamente esposti per sostenere un emendamento che rendera’ illegale
bruciare una bandiera statunitense in determinate circostanze.
Ma il cielo non voglia che qualche pusillanime parlamentare introduca, o
sostenga, la richiesta dell’immediata fine dell’occupazione dell’Iraq,
oppure chieda che il presidente fissi una data per il ritiro delle truppe
dalla palude mortale dell’occupazione, mentre gli assegnano ancor piu’
denaro per compiere crimini di guerra in Iraq.
Intanto i figli della nostra nazione stanno tentando di sopravvivere nelle
peggiori circostanze immaginabili, e nel sopravvivere stanno commettendo
terribili atrocita’ a danno di un popolo innocente (specialmente a Ramadi,
proprio in questo momento) attorno a cui "le bombe esplodono in aria", e in
tale contesto il nostro Senato sta dibattendo se sottrarre il Primo
emendamento agli americani: tutto questo e’ di una sciagurata ironia.
Chiamatemi ingenua, ma io ho sempre pensato che eleggessimo dei
rappresentanti affinche’ proteggessero i nostri diritti, non perche’ ce li
portassero via.
*
Quando guardo la bandiera stellata, penso a mio figlio, che ha indossato
un’uniforme con quella bandiera sopra gia’ quando entro’ negli scout a 6
anni. Penso anche all’ultima foto di Casey, presa mentre stava aspettando di
essere trasferito dal Kuwait in Iraq. E’ in piedi in una tenda, con una
bottiglia d’acqua in mano, e indossa l’uniforme da deserto con una toppa a
forma di bandiera sul petto. Quando lo seppellimmo, poche settimane dopo che
quella fotografia era stata scattata, io reggevo una bandiera ripiegata, che
mi ricordava il lenzuolino in cui lo fasciai prima di portarlo a casa
dall’ospedale in cui era nato, circa 25 anni prima.
La bandiera stellata, che ora vedo mossa dal vento fuori dal terminal
dell’aeroporto in cui sto scrivendo queste righe, non mi riempie di
orgoglio: mi riempie di vergogna, e quella bandiera per me simboleggia
dolore e corruzione, in questo momento.
Rappresenta cosi’ tante menzogne, elezioni truccate, profitto dalla macchina
della guerra, alti prezzi del gas, spionaggio sugli americani, rapida
erosione delle nostre liberta’, mentre Bush e compagnia letteralmente si
lanciano a commettere omicidi, a perpetrare torture e detenzioni in
condizioni estreme, a contaminare il mondo con l’uranio impoverito e guerre
illegali ed immorali che sono responsabili della morte di tante persone. Un
simbolo che era solito rappresentare la speranza ora riempie di disgusto.
Quando guardo a quel pezzo rettangolare di stoffa con le strisce rosse e
bianche e le stelle in campo blu, mi chiedo cosa pensano gli iracheni quando
vedono i carri armati e gli altri veicoli, decorati di tale blasone,
impazzare per le loro strade. O cosa tale bandiera possa rappresentare per
essi, quando le donne vengono stuprate e poi bruciate per nascondere il
crimine, ed intere famiglie sono assassinate da soldati la cui uniforme reca
quel simbolo. Sono sicura che per loro quella bandiera e’ un simbolo di
morte e distruzione, cose che spero non vengano confuse con la liberta’ e la
democrazia.
*
Mi si dice spesso che dovrei "amare l’America o lasciarla". Questa logica e’
ridicola, e’ vuota retorica. Io amo il paese in cui sono nata, e amo gli
americani. Sono americana, e sono americani i miei figli. Casey e’ nato e
morto da buon americano, vittima degli stessi leader che stanno abusando del
mondo intero mentre io scrivo. Potrei andarmene, se volessi, e in effetti ho
ricevuto numerose offerte di restare come espatriata in diversi amichevoli
paesi. Tuttavia, io voglio restare e lottare per il mio paese. Voglio che il
mio paese e la bandiera che ne e’ il simbolo significhino, in tutto il
mondo, qualcosa per cui essere di nuovo orgogliosi.
Bush e il regime neo-con si sono imbarcati in questa disastrosa impresa, in
Iraq, per testimoniare al mondo quanto forte e virile sia la Pax Americana.
Hanno abiettamente fallito la missione, che era malvagia e corrotta sin
dall’inizio, e non ha provato quanto forte sia la nostra nazione ma, al
contrario, quanto essa sia debole. I neo-con sono riusciti a dimostrare che
persino avendo la piu’ potente macchina da guerra al mondo, l’insorgenza in
un paese piu’ piccolo della California puo’ tenere a bada la loro falsa
liberta’ e la loro mortale democrazia. Un’altra cosa che i neo-con hanno
dimostrato e’ che l’America non e’ piu’ la pietra miliare morale del mondo,
ma una nazione che commette torture e crimini contro l’umanita’ con il
sigillo presidenziale di approvazione. Bush e compagnia hanno distrutto ogni
credibilita’ che la nostra nazione aveva al mondo, e tutti noi dobbiamo
lottare per riottenerla, e persino per redimere le nostre stesse anime.
*
Io vi imploro, mentre vi state godendo l’insalata di patate e i fuochi
d’artificio del 4 di luglio, di riflettere su cio’ che la bandiera stellata
significa per voi. Se la nostra bandiera simboleggia per voi le stesse cose
di cui e’ simbolo per i neo-con, allora arruolatevi e andate in Iraq, cosi’
da permettere ad alcuni dei nostri soldati, stanchi di soffrire e di
commettere crimini di guerra per l’Halliburton, Cheney e Rumsfeld, di
tornare a casa.
Se invece capite che la bandiera non sventola piu’ "sopra la terra dei
liberi", e vorreste che lo facesse di nuovo, vi invitiamo a venire a Camp
Casey durante quest’estate, ad aiutarci a lottare per il cuore e l’anima
della nostra nazione. Se mentre vi profondete in esclamazioni sui bei fuochi
d’artificio, capite che ci sono vere bombe che stanno scoppiando sugli
iracheni, che li stanno uccidendo e distruggono il loro paese per
nessun’altra ragione se non che Dick Cheney lo vuole, allora dovete digerire
il barbecue del 4 luglio e venire via, per mostrare a Cheney e al mondo che
non stiamo scherzando quando diciamo che vogliamo il ritiro delle truppe per
salvare i nostri soldati e i nostri fratelli e le nostre sorelle in Iraq.
Migliaia di membri della razza umana che amano la pace e odiano la guerra,
provenienti da tutto il mondo, stanno pianificando il proprio arrivo a
Crawford, in Texas, a Camp Casey, durante quest’estate: per fronteggiare, in
piedi o seduti o campeggiando, la macchina della guerra neo-con, e
dimostrare che ci sono americani che con coraggio parleranno per il popolo
iracheno e per i nostri soldati, che non hanno voce, ma che vorrebbero
essere lasciati in pace.
Venite a Camp Casey. Abbiamo posto per tutti, e ognuno e’ il benvenuto.