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ANGELI SENZA ALI NE’ PARACADUTE

Publie le venerdì 9 novembre 2007 par Open-Publishing

Precari, assolutamente precari anche gli angeli custodi dell’Italia del Terzo Millennio. Si spera di non finirci mai in quel pulmino bianco con la Croce Rossa e le sirene assordanti che schizza a folle velocità o resta maledettamente intrappolato in mezzo al traffico. Si spera di non finirci distesi. Gli angeli custodi che ci sono finiti, iniziando come volontari per un moto del cuore e una grande voglia di solidarietà, si ritrovano dopo anni di lavoro precari come e più di altre categorie che oggi hanno scioperato. ‘‘Perché non sono previste assunzioni ma solo contratti rinnovati anno dopo anno – affermano Bruno Trevisani e Massimo Raccuia, 42 e 36 anni, chi da otto chi da dodici con addosso quella divisa arancio fosforescente –. Tanto tempo in Croce Rossa ma senza sicurezza per il futuro. L’ultima sanatoria riguardante assunzioni a tempo indeterminato, aperta per giunta solo al personale militare, fu fatta nel ’99 poi il nulla. Inoltre in questi anni s’è sempre più rafforzata la linea dell’instabilità lavorativa con tanto di legislazione a garantire e incentivare la precarietà. Un istituto pur così importante come il nostro, che si occupa del soccorso e che già faceva un ampio uso di volontari, ha ulteriormente incrementato il lavoro precario e usa addirittura figure interinali. Che costano maggiormente perché l’agenzia che le fornisce deve lucrarci su e non hanno esperienza professionale visto che fino a ieri hanno fatto chessò i magazzinieri, i pony express’’.

Bruno e Massimo vivono a Torino, sono venuti a manifestare a Roma mentre altri colleghi vengono da Foggia. Nel raccontare il vissuto lavorativo trovano il comune denominatore nelle vite precarie, come in tanti altri settori, ma questo che li vede angeli senza ali fa più scalpore. Anche certi numeri li legano: 35 su 40 sono i precari delle ambulanze torinesi, 38 su 42 del foggiano. C’è da restare allibiti quando s’apprende che una provincia di oltre due milioni di abitanti come Torino dispone solo di undici ambulanze che assolvono a 200.000 interventi annui. Lavorano con turni di otto ore, che possono tranquillamente scivolare a dieci-undici perché quando si è per strada non si può certo timbrare il cartellino e staccare. Un impiego di altissima tensione, usurante alla stregua dell’altoforno o della miniera. La voglia di mollar tutto l’avrebbero, specie quando li fanno lavorare in due anziché in tre come prevede un protocollo in Italia quasi sempre disatteso. Protocollo che altri paesi della Comunità Europea rispettano alla lettera. Addirittura nella Romania ultimamente tanto bistratta. Certi operatori che ci son stati insistono nel dire che lì le norme vengono rispettate maggiormente, proprio dove non l’aspetteresti mai. E da un contratto precario all’altro sei in bilico magari con moglie e figlio ai quali portare dai 900 ai 1.300 euro, dipende dalle notti e domeniche non li hai visti accumulando servizi.

Il Belpaese della legge 30 la professionalità la vuole ma non la paga né la riconosce. Promette e non mantiene un po’ come i governi. Dall’attuale dell’Unione Bruno, Massimo ma anche Lucia che fa la hostess di terra per Alitalia Service e Paola impiegata, naturalmente precaria nonostante l’età, in una Asl s’aspettavano molto, molto di più. “Prodi e gli alleati li abbiamo sostenuti col voto del 2006 credendo nelle promesse del programma – dicono – e tra queste spiccavano il lavoro, la lotta all’imbarbarimento prodotto dalla precarietà, l’abolizione o la trasformazione della legge 30. Invece nulla. Certo che non rivoteremmo per una Sinistra che non ci difende, e la cosa ci addolora ancor più perché ideologicamente non votiamo a destra ma ci sentiamo ulteriormente traditi e usurpati”. Il politichese del militante d’un pezzo - vecchio o nuovo che sia, giovane speranzoso o coriaceo di lungo corso, verde pielle e non più rosso sbiadito – recitando la litania della corte dei miracoli dei commentatori parapartito li bollerebbe tutti quali antipolitici e qualunquistelli di ritorno. Loro, i precari di tutte le categorie, insistono. Non possono che vendere cara la pelle perché una vita normale anche i fautori del “Paese normale” non gliela concedono affatto.

Enrico Campofreda, 9 novembre 2007