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APPELLO DELLA TAVOLA DELLA PACE

Publie le mercoledì 19 luglio 2006 par Open-Publishing
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"La lunga guerra del Medio Oriente è entrata in una nuova fase
drammatica. Essa segna l’ennesimo fallimento della politica e delle
guerre degli Stati Uniti, che avrebbero dovuto dare avvio ad una
nuova era di pace e prosperità per il Medio Oriente, e costringe
l’Europa a fare i conti con le tragiche e ravvicinate conseguenze
dell’assenza di una sua politica autonoma, equilibrata e lungimirante.

Il fallimento del vertice del G8 di San Pietroburgo e della pretesa,
illegale e irragionevole, di alcune potenze di sostituirsi all’Onu
deve spingere la diplomazia italiana ad agire con alcuni chiari
obiettivi.

Primo. L’Italia deve chiedere, in modo chiaro e forte, in tutte le
sedi, il cessate il fuoco. Senza condizioni. Si devono fermare subito
tutte le azioni militari. Salvare la vita degli innocenti ed evitare
che l’incendio dilaghi sono obiettivi assolutamente prioritari.

Secondo. L’Italia deve chiedere il rispetto del diritto
internazionale dei diritti umani, della legalità internazionale e di
tutte le risoluzioni dell’Onu mettendo fine alla politica dei due
pesi e delle due misure.

Terzo. L’Italia deve chiedere l’invio immediato di una forza di
interposizione dell’Onu nella striscia di Gaza e nel sud del Libano
dotata dei poteri e degli strumenti necessari per adempiere al
proprio mandato: protezione delle popolazioni civili e prevenzione di
nuove azioni armate. Qualora il Consiglio di Sicurezza dovesse essere
paralizzato dal veto di uno dei membri permanenti, l’iniziativa dovrà
essere assunta dall’Assemblea generale.

Quarto. L’Italia deve esprimere incondizionata solidarietà e
vicinanza alle popolazioni colpite dalla guerra e dai bombardamenti e
predisporre immediatamente tutte le iniziative necessarie per
alleviare le loro sofferenze. L’Italia deve inoltre sostenere le
forze che da ogni parte continuano ad alzare la loro voce contro la
guerra e il terrorismo e ad operare per la pace, il dialogo e la
riconciliazione.

Quinto. L’Italia e l’Unione Europea, consapevoli delle responsabilità
che incombono quali difensori della legalità internazionale, dei
diritti umani e dei principi democratici, devono mobilitare tutte le
risorse della diplomazia per dialogare con tutte le parti coinvolte,
inclusa l’Autorità Nazionale Palestinese e riaprire la strada al
negoziato politico, sola via di pace e sicurezza.

Sesto. L’Italia proponga il trasferimento della sede principale delle
Nazioni Unite a Gerusalemme, città aperta ai due popoli che la
abitano e all’umanità intera che la riconosce come capitale morale
del mondo, quale segno tangibile dell’impegno definitivo della
comunità internazionale a mettere fine alle guerre che insanguinano
il Medio Oriente e a costruire una pace giusta per tutti all’insegna
del motto "tutti i diritti umani per tutti".

Flavio Lotti e Grazia Bellini
Coordinatori Nazionali della Tavola della pace

Messaggi

  • "LA CULTURA DELLA PACE
    Il superamento della deumanizzazione dell’altro

    di LAURA TUSSI

    Per fondare una cultura della pace è indispensabile contrastare il processo di deumanizzazione, ossia di inserimento dell’altro in una categoria non umana che va quindi contrastata, ostacolata e annientata. Il pregiudizio rappresenta un mezzo di propagazione del processo di deumanizzazione. Un’educazione per la pace a tutti i livelli sociali e nei rapporti interpersonali deve compiere progressi a favore dell’identificazione con l’altro, il riconoscimento degli altri come uguali a sé che diviene ancora più necessario e auspicabile quando gli altri si oppongono a noi. La tendenza a demonizzare il nemico, l’altro da noi, come spesso fanno colpevolmente i mezzi di comunicazione di massa, allargando le distanze che separano noi dagli altri, aumenta il rischio di aggressività e distruttività sempre più intense e radicate nel costume quotidiano.

    Il terrificante interiore e la demonizzazione dell’altro

    E’ davvero evidente che la demonizzazione del nemico costituisce un meccanismo di difesa rispetto al negativo che rifiutiamo dentro di noi, come persone, ma anche come gruppi sociali, in quanto l’altro e gli altri si configurano come una realtà separata di deumanizzazione e distruttività. Anche la scuola ha dato inconsapevolmente, forse, il proprio contributo al processo di deumanizzazione quando ha esaltato il concetto di “identità nazionale”, dimenticando che siamo tutti cosmopoliti, cittadini del mondo. Il riconoscimento dell’altro come simile a sé transita attraverso la condivisione, lo scambio, la comunicazione delle emozioni e dei sentimenti. Per esempio all’interno del gruppo classe è possibile aiutare il bambino a riconoscere nel compagno, con cui spesso litiga, il proprio stesso vissuto, come questa comunicazione deve essere facilitata tra i gruppi sociali, soprattutto i contesti che il bambino vive come nuovi, diversi e pericolosi. Per combattere il processo di deumanizzazione occorre facilitare le occasioni di condivisione, di scambio, di incontro, sottolineando tutte le cose che uniscono, anziché ciò che divide. I mezzi di comunicazione di massa negano implicitamente per i loro messaggi l’umanità dei singoli e dei gruppi sociali, facilitando ostacoli che si frappongono all’incontro tra i bambini, tra gli uomini, tra i gruppi sociali. Un’educazione alla pace si deve proporre di facilitare l’acquisizione di atteggiamenti cooperativi e non competitivi, oltre a favorire le condizioni per un uso non lesivo, ma adattivo dell’aggressività nella sicurezza, la possibilità di affermazione di sé, l’identificazione con l’altro. Gli studi sull’acquisizione dei comportamenti cooperativi e non competitivi e sulla genesi di atteggiamenti costruttivi indicano che queste caratteristiche non lesive della relazione sono strettamente correlate con la capacità di allontanarsi, sia emotivamente, sia cognitivamente, dall’impellenza delle situazioni frustranti e conflittuali, al fine di trovare una risoluzione complessa e mediata, tenendo presente l’esistenza e le esigenze dell’alterità.

    Il decentramento emotivo e cognitivo

    La ricerca di una soluzione pacifica, cooperativa e collaborativa comporta un impegno di decentramento cognitivo dalla situazione emotiva che deve essere analizzata in un’ottica decentrata, appunto dall’esterno, per ritrovare soluzioni ulteriori, più complesse e mature che richiedono una ristrutturazione del campo cognitivo, ossia una rivalutazione degli elementi complessivi della situazione, in una prospettiva globale, dove emergano connessioni e collegamenti innovativi. La rapidità con cui si intuiscono queste risoluzioni non deve trarre in inganno sulla complessità del processo di ristrutturazione cognitiva e di distanziamento e decentramento emotivo richiesto. Sussiste un diretto collegamento tra capacità collaborativa e facoltà di simbolizzazione, attraverso cui il bambino realizza il distacco dall’immediatezza della realtà, rendendo possibile la ristrutturazione cognitiva. Collaborare significa trovare un percorso comune complesso e difficile, che tenga conto delle esigenze complessive nella soluzione di situazioni di opposizione. Educare alla pace significa anche stimolare la capacità di simbolizzazione del bambino. Una delle più importanti manifestazioni della capacità simbolica è il linguaggio, per cui il primo compito della scuola consisterà nell’aiutare i bambini ad esprimere personali emozioni, sentimenti e stati d’animo come l’aggressività, in forma verbale, tramite lo scambio verbale e la discussione, tramite cui risulta attuabile un processo di pattualità e negoziazione che consente di vagliare ed esaminare i punti di vista altrui, fino a giungere ad una soluzione cooperativa e collaborativa. La scuola deve porsi l’obiettivo di insegnare a dialogare anche quando sorge il conflitto, sostando in esso come un valore, una risorsa che può giungere ad una pattualità collaborativa"