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Abbasso la scuola in un governo di omari

Publie le domenica 7 febbraio 2010 par Open-Publishing

La scuola e la ricerca dovrebbero essere il punto di eccellenza di uno stato moderno, l’investimento che lo prepara a un futuro migliore e più competitivo.

Al contrario, la scuola pubblica italiana, che un tempo era vanto ed onore, è stata scaricata da politiche dissennate di questo Governo e oggi declina nell’abbandono sotto la gestione di ministri improvvisati e abborracciati, scelti solo per cedere senza esitazione ai tagli progressivi decisi per motivi puramente economici dal Ministro delle Finanze.

Intanto che questo scempio procede, per accattivarsi le autorità ecclesiali, il Governo rende stabili i professori di religione, aumenta il loro stipendio di 220 €, allarga le concessioni alle scuole private, e nel contempo riduce i diritti degli insegnanti laici, li rende ancor più precari, riduce le supplenze e opera tagli insensati alla scuola pubblica che già versa in condizioni di estreme difficoltà. Siamo arrivati ai tagli a personale e materiale delle pulizie, quando sono già molti anni che in tante scuole i ragazzi portano in classe carta igienica, detersivi o gessetti. Arriveremo alla scuola di Mussolini quando i ragazzi portavano a scuola un pezzo di legno per scaldarsi.

Moratti e Gelmini, su linee direttive completamente opposte, non hanno fatto altro che accelerare il degrado, aumentando il disagio dei ragazzi e delle famiglie e abbassando il livello di scolarità e di formazione.

La dispersione scolastica ha continuato a crescere. La Conferenza di Lisbona aveva posto tra i suoi obiettivi entro il 2010 una riduzione della dispersione scolastica al 10% . Malgrado ciò, in Italia, il fenomeno dell’abbandono scolastico aumenta, mentre nei riguardi della scuola pubblica successive riforme e leggi integrative hanno prodotto progressivi peggioramenti, su una istituzione già povera di strutture e laboratori e debole anche dal punto di vista edilizio, nello scadere della qualità dell’insegnamento e della verifica, al punto che i diplomati oggi devono essere scremati all’università da un esame su nozioni minime di cultura generale, grammatica e ortografia. Così continuiamo ad abbassarci nelle classifiche europee.

E per chi ha conseguito un titolo di studio, il valore dei diplomi è calato e quello delle lauree si è nullificato. Un terzo degli italiani fa un lavoro per cui non serve una laurea, un altro terzo fa un lavoro diverso dalla propria laurea.

Nessuna Università italiana rientra tra le prime 150 nel mondo e per trovarne una occorre scorrere la graduatoria fino al 174° posto (Bologna) e al 205° (Roma La Sapienza). Nella speciale graduatoria degli atenei tecnici il Politecnico di Milano sta un po’ meglio (intorno alla 50° posizione, dato per ora ufficioso), ma nella classifica generale anch’esso sprofonda nella mediocrità (280° posto).
Dunque menti geniali e, di riscontro, scuole che continuano a peggiorare sotto l’urto dei peggiori ministri degli ultimi 150 anni!

Totalmente ignorata dai nostri supponenti al Governo, la fuga dei cervelli continua a tutto vantaggio di quei paesi dove la scuola e la ricerca sono valori riconosciuti anche in politica e che accolgono bene chi è stato preparato in Italia ma rende e produce altrove. Per i nostri Governi non esiste merito e non esiste eccellenza e ormai anche i migliori sono costretti ad andarsene e a portare capacità, brevetti e scoperte nei laboratori di tutto il mondo, alimentando altre economie.

E’ come coltivare un campo e poi buttare via i frutti. Nell’Italia della partitocrazia e della casta, solo chi appartiene alla politica esiste e viene protetto e ampiamente remunerato. Il rimanente la Casta lo calpesta.

In Italia chi entra nel mondo della ricerca parte da stipendi di 800-1200 € al mese, contro i 4000 che negli USA vengono dati a uno semplice “studente” o ai 6000 francesi, e anche i ricercatori migliori, i più geniali, sono votati a un precariato offensivo e avvilente, mentre i soldi del Ministero bastano appena per le bollette, e i pochi centri di ricerca stanno aperti solo grazie ai fondi europei.

Quest’anno il 33,6% dei posti del CNR francese sono stati assegnati a ricercatori italiani.

I giovani ricercatori italiani partecipanti allo Staring Grant 2009, l’ambitissimo bando dello European Research Council (un bando da 325 milioni di euro con borse per ricerca che vanno da 500 mila a 2 milioni di euro, mentre da noi i finanziamenti si attestano, quando va bene, al massimo intorno ai 100 mila euro), sono riusciti nella riguardevole impresa di aggiudicarsi il maggior numero di finanziamenti e risultare primi, insieme ai loro coetanei tedeschi, nella graduatoria relativa alla distribuzione dei fondi. Dopo di noi i giovani ricercatori francesi, belgi e olandesi. Soltanto al 6° posto gli studiosi britannici, molto più indietro quelli statunitensi.

Malgrado questi risultati, gli investimenti nella ricerca langono, mentre aumentano le spese abnormi del carrozzone statale e si continua a delirare su centrali nucleari o opere faraoniche. La Pubblica Amministrazione in un anno ha avuto uno sfondamento della spesa ordinaria di 35 miliardi, con una differenza sull’anno prima di 27 miliardi su cui nessuno, né tanto meno Brunetta o Tremonti ha dato spiegazioni.

Ma questo sfondamento di spese per la baracca organizzativa non ha portato alcun vantaggio alla scuola o alla ricerca. Si ha la netta impressione che l’aumento del deficit di bilancio sia dovuto solo agli incrementi di una casta parassitaria ed elefantiaca, che non solo non produce efficienza e progresso ma stronca e avvilisce tutti i settori da cui ci potremmo aspettare ripresa e lotta alla crisi. Evidentemente il dettato programmatico di Obama, Sarkozy o Merkel di combattere la crisi aumentando gli investimenti in scuola e ricerca qui va totalmente deserto.

Se uno Stato non capisce che il suo patrimonio maggiore sono le persone, se non valorizza le proprie risorse umane, se crede di consistere solo nella congerie di truffatori o parassiti che lo governa, è destinato a involgere verso il peggio.

Noi siamo perduti se questo Governo crede veramente che l’Italia possa presentarsi sul piano mondiale offrendo solo manodopera non specializzata, e contrapponendola alla concorrenza schiavistica della Cina o dei paesi del Terzo Mondo, se non riesce a capire che è su un piano ben diverso di creatività, ricerca, ingegno, ideazioni e scoperte che possiamo competere, e che questo patrimonio inestimabile di intelligenze viene buttato via se la scuola è in abbandono e la ricerca muore ed esse valgono come albero da tagliare per far legna.

In Italia non c’è attenzione nemmeno al fenomeno gravissimo dell’abbandono della scuola dell’obbligo. Si è stimato che l’abbandono scolastico colpisca il 20-22% degli scolari. Va meglio in Emilia-Romagna dove è al 6%. E’ un numero enorme di ragazzi che non va a scuola né impara un lavoro, semplicemente sparisce. Oggi un’allucinante disposizione della Gelmini equipara l’ultimo anno della scuola dell’obbligo al lavoro, legittimando una riduzione ulteriore della presenza scolastica e un’offerta ulteriore di avventizi all’impresa.

E produce la bella pensata di ridurre in modo generalizzato il monte ore ai licei a egli istituti tecnici e professionali, senza alcuna riforma razionale, ma solo per licenziare altre migliaia di insegnanti, dopo aver tagliato supplenze e cattedre. Oltre tutto si modificano o si aboliscono percorsi didattici già scelti ad hoc, che un minimo di correttezza istituzionale avrebbe dovuto rispettare e si eliminano ad arbitrio materie ritenuto superflue come la geografia.

E la Gelmini offende la nostra intelligenza, quando fa raffronti con altre scuole europee, dimenticando che in esse non sono conteggiate come ore scolastiche laboratori, teatri e altre attività che da noi semplicemente non esistono.

Spariscono anche i corsi professionali o serali gestiti dagli enti locali.
Per Berlusconi la scuola è una spesa a fondo perduto da cui si traggono soldi a piacere con tagli decisi indiscriminatamente ogni qual voglia Tremonti ha bisogno di soldi.

Assolutamente ridicolo poi il paragone tra Moratti e Gelmini, che, pur essendo elogiate entrambi, marciano per linee opposte. La Moratti si espandeva nella proliferazione incontrollata dagli indirizzi di studio e nella creazione abnorme di sedi universitarie talmente capillari che spesso i docenti erano in numero superiore agli allievi o di lauree prese su internet o in profusione di fondi per università cattoliche spesso nemmeno esistenti. La Gelmini procede in senso opposto alla massima contrazione della scelta scolastica: dai 400 indirizzi sperimentali, oggi esistenti, a soli 6 licei. Dai 10 settori e 39 indirizzi di istituti tecnici, ad appena 2 settori e 11 indirizzi. Mentre i 5 settori e 27 indirizzi dei professionali saranno asciugati in 2 macro-settori, a cui corrisponderanno 6 indirizzi. E intanto in questi movimenti avanti e indietro ad organetto, dove il primo ignora il secondo e tutto è fatto senza logica o coerenza, se ne vanno migliaia di euro e cresce un caos senza costrutto che prova solo la stupidità e l’inefficienza di un governo, per cui conta solo l’appiattimento televisivo e il mantenimento della società a un livello tanto più basso quanto più facilmente governabile.

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