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"Abbiamo portato a casa la pellaccia", riassume Fausto Bertinotti

Publie le giovedì 13 aprile 2006 par Open-Publishing

«Abbiamo il voto per governare.» Intervista a Fausto Bertinotti

di Cosimo Rossi

«Abbiamo portato a casa la pelle», commenta Fausto Bertinotti soddisfatto per il piazzamento del suo partito e della sinistra in generale. E ora: «Con un voto in più si governa», avverte il leader del Prc bocciando ogni ipotesi di larga intesa ma ravvisando l’esigenza di allargare la base del consenso nel paese.

«Abbiamo portato a casa la pellaccia», riassume Fausto Bertinotti all’indomani di una notte trascorsa nell’attesa che lo scrutinio delle ultime sezioni confermasse il millimetrico vantaggio dell’Unione alla camera. Per quanto minima, pur sempre la differenza algebrica secondo cui «in primo luogo Berlusconi perde» e in grazia della quale «con un voto in più in parlamento si governa». Con l’Unione. Sola. «Basta avere il coraggio di farlo». Respingendo quindi qualsiasi ipotesi di «larghe intese», intorno alle quali secondo il leader del Prc è invece in corso «il vero conflitto politico», a cominciare dall’offensiva del «premier sconfitto».

Certo che alla vigilia non si pronosticava che sarebbe stata così dura per l’Unione portare a casa la pelle...

Ma l’abbiamo portata a casa. Evitiamo abbagli: abbiamo vinto noi, non Berlusconi. Noi, la sinistra, un po’ più di altri: un bel risultato che contribuisce anche a salvare la pelle di tutti. Una volta tanto mi pare onesto riconoscere che c’è un risultato lusinghiero di Rifondazione. E complessivamente dentro un andamento della sinistra di alternativa che mi pare relativamente migliore rispetto a quello delle forze riformiste.

In effetti si può dire che la sinistra ha fatto la propria parte meglio dei moderati...

Anche se il processo di avvicinamento al partito democratico, che ancora non so se risulterà praticabile, secondo me subirà ugualmente un’accelerazione sia oggettiva che soggettiva: l’Ulivo mostra una capacità di attrazione che i singoli partiti da soli non hanno. Al sanato mi pare che vadano francamente peggio.

I Ds in particolare, che invece sembravano potere beneficiare della generosità dimostrata verso gli alleati e verso Prodi.

Francamente anch’io davo credito all’idea che i Ds fossero in crescita: vedevo una presenza e e un radicamento sul territorio. Il che mi porta a rilevare quello che è un problema per tutti, che riguarda questa Italia divisa in due. E non si tratta semplicemente della divisione tra destra e sinistra, bensì del fatto che questa prima divisione si interseca con una divisione tra l’alto e il basso della società. Viene ben in luce per le forze riformiste, ma non è un problema solo loro: riguarda la capacità di penetrare in profondità nella società, specie in aree che hanno subito processi di spoliazione delle politica e ridotte al silenzio. E’ qui che il discorso riformista mostra la corda: tiene nelle aree di opinione organizzata, ma non si rivela in grado di di interloquire con le aree cupe di disagio e di afasia sociale. Rivela in trasparenza una crisi della politica in cui è evidente il maggior affanno delle aree riformiste rispetto a quelle radicali che, per quanto in modo incompiuto, hanno invece cercato di addentrarsi più in profondità nelle contraddizioni, in primo luogo attraverso i movimenti.

Almeno altrettanto, però, è Berlusconi ad essersi rivelato per l’ennesima volta capace di andare a cogliere certi umori profondi e controversi...

Intendiamoci. Berlusconi in primo luogo perde, poi viene anche il suo tentativo straordinario di resistenza. Ma non facciamoci abbagliare: in primo luogo perde. Il sistema di governo di destra, che in Italia ha preso la forma di un ambizioso incrocio tra liberismo e populismo inventato e guidato da Berlusconi, intanto ha perso. Lo dico essendo tra quelli che non si sono mai fatti illusioni, che non hanno mai ritenuto Berlusconi solo fenomeno mediatico bensì la narrazione di un’Italia profonda. Risicato fin che vogliamo, ma il risultato del voto dice che l’era del governo Berlusconi è finita. Lo ammette lui stesso nel momento in cui evoca larghe intese. E’ così vero che perde che, prima della sconfitta elettorale, intraprende la via d’uscita disperata e solitaria del leader che salta fuori dal quadro di governo: gioca la carta estrema di spogliarsi del doppiopetto governativo per assumere le vesti di forza antisistema, dell’antipolitica populista, agitando ad esempio la clava della rivolta fiscale come se gli altri fossero già al governo. Ma perde, di misura ma perde. E secondo me perde perché, malgrado tutto, l’Italia tra il 2001 e oggi è cambiata. E’ stata l’Italia dei movimenti, della pace, dei metalmeccanici, di Scansano, della Val di Susa; e anche delle mille imprese, dall’editoria alle comunità ai vignaioli. Certo che ne vien fuori un’Italia duale. Ma Berlusconi perde e quest’altra Italia c’è, esiste, è viva.

Ma quella di Berlusconi e del berlusconismo non si è rivelata da meno...

Certo, Berlusconi è stato anche fortissimo. E’ fortissimo perché non si fa imprigionare nello schema politicista. Mentre tutti, a cominciare dai suoi alleati, gli chiedevano moderazione, lui invece ha fatto il contrario: ha fatto come Bush, ha estremizzato la contesa, l’ha sovraccarica e gli ha dato un impianto populista, costruendo anche un linguaggio ad hoc. Lo scandalo sui «coglioni» elettori del centrosinistra ha oscurato il fatto che aveva messo benzina nel suo motore: aveva cioè reso coerente anche sul piano lessicale la rottura politica, in modo da esaltare il proprio carattere populista. «Coglioni» rovescia il gergo di un’offensiva dall’alto verso il basso. E al solito la forza di Berlusconi sta nel cementare il nocciolo duro di un aggregato: come nelle scorse elezioni fu l’asse padano con la Lega in queste è stato l’assolo populista contro il mondo: io in nome di voi contro il mondo. In grazia a questo ha reso incerto il risultato.

E portato tutti a votare...

Portato milioni di persone a votare per lui ma anche contro di lui: tanto mobilita tanto spaventa. E infatti perde. Insisto: non dimentichiamocelo.
Veniamo al sodo, però: pensate davvero di poter governare con il margine millimetrico che ha l’Unione?

Basta avere il coraggio di farlo: certo che si può. Con un voto in parlamento si governa, contrariamente a molte tesi e vizi che ci portiamo dietro dagli anni Settanta. Il problema è che con il 51 per cento si governa ma non si fa una politica di riforme nel paese: nel paese ci vuole un’alleanza sociale in grado di costituire - per usare un termine antico - un blocco sociale. Infatti penso che il governo dell’Unione debba porsi da subito il problema di farsi anche «costituente di popolo», edificatore di una grande riforma sociale. Ma non bisogna in nessun modo confondersi.
Sarà, ma veramente Berlusconi già suona sirene bipartisan trovando eco in numerose voci del centrosinistra.

Ci mancherebbe. In politica un progetto riformatore deve porsi l’obiettivo di rompere i confini per andare oltre. Ma per fare questo secondo me c’è proprio bisogno dell’autosufficienza dell’Unione nella sede istituzionale. E dico di più: penso che questo sia il vero conflitto politico in corso.

Larghe intese oppure no? Il governissimo, come si sarebbe detto nella scorsa repubblica?

Il governissimo è una formula troppo ridondante e impegnativa per il giorno d’oggi. La cosa più pericolosa, perché più alla portata, è appunto quella delle larghe intese. Cioè un governo che non può sfuggire a essere quello dell’Unione, ma che sul piano delle relazioni sia con la minoranza parlamentare che con i poteri cosiddetti forti autorizzi a pensare e praticare una grande coalizione di fatto. Questo non è solo un pericolo: è un’opzione fortissima, che penso vada contrastata con altrettanta forza. Per questo noi, che siamo sempre stati per il concetto dell’alternativa versus quello dell’alternanza, oggi dobbiamo realizzare un’alternanza «verso l’alternativa».

il manifesto