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Afghanistan: cercare un accordo è meglio che evocare la rottura
Publie le domenica 2 luglio 2006 par Open-PublishingGli atti del governo stanno andando nella giusta direzione
In questi giorni si discute in Parlamento, e sulle pagine dei giornali, di politica internazionale e, in particolare, di “missioni all’estero”. Ci siamo schierati da subito, assieme a molti altri, per il no alla guerra, convinti che la democrazia, la libertà, il miglioramento delle condizioni di vita delle donne e degli uomini non possono essere imposte con le armi.
Da subito abbiamo chiesto, assieme molti altri, il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq e da tutti i luoghi del conflitto. Non abbiamo cambiato idea: continuiamo a credere nell’articolo 11 della Costituzione e a lavorare perché si affermi la pace come diritto universale.
Nella recente campagna elettorale ci siamo spesi perché si affermasse un governo alternativo a quello di centro destra, non solo perché convinti della necessità di una politica economica e del lavoro di segno completamente diverso ma, anche, dell’urgenza di una politica estera che promuovesse distensione e disarmo.
Per tutti questi motivi, stiamo in questi giorni valutando se nelle prime mosse del governo esistano i segnali di una nuova impostazione nella gestione dei rapporti internazionali. Il ritiro dell’intero contingente militare italiano dall’Iraq; il no alla richiesta di aumentare la presenza militare in Afghanistan; la scelta di promuovere un osservatorio permanente sulle missioni all’estero; la richiesta avanzata dal ministro degli esteri di chiudere il centro di tortura di Guantanamo; il cambio di atteggiamento rispetto all’escalation di morte che sta insanguinando il Medioriente: certo, si tratta di scelte mediate, ma ci pare che questi atti delineino un percorso che va nella giusta direzione.
Facciamo i sindacalisti di mestiere e sappiamo che in alcune situazioni è preferibile cercare di raggiungere un accordo, il più avanzato possibile, piuttosto che evocare la rottura.
Siamo convinti della necessità di mobilitarsi, sulle questioni del lavoro così come per affermare le ragioni della pace, perché le scelte del governo vadano sempre più nella direzione della difesa dei diritti: diritto a un lavoro sicuro, a un salario dignitoso, diritto a vivere senza paura e senza violenza, senza eserciti invasori.
Siamo convinti anche che non è rischiando di far cadere questo governo che i lavoratori staranno meglio e che la vicenda afghana avrà una soluzione positiva.
La segreteria della Fiom di Milano