Home > Afghanistan, pacifisti e dissidenti dicono "no"
Afghanistan, pacifisti e dissidenti dicono "no"
Publie le domenica 16 luglio 2006 par Open-Publishing«Non ci aspettavamo così tanta gente in un’assemblea autoconvocata, saremo sicuramente più di seicento». Salvatore Cannavò non nasconde un sorriso soddisfatto per l’esito dell’assemblea dei pacifisti, organizzata insieme agli otto senatori dissidenti della sinistra radicale, in cui ufficialmente in un documento approvato all’unanimità si è ribadito «il no alla guerra senza se e senza ma e la fuoriuscita dall’Iraq e dall’Afghanistan». Se nei giorni scorsi si erano aperti spiragli per un possibile rientro dei parlamentari dissidenti, oggi invece gli stessi otto senatori hanno ritrovato unità nel riaffermare il no alla missione in Afghanistan, specificando però «che fino all’ultimo si cercherà una mediazione per modificare in modo positivo il disegno di legge».
Una posizione che non corrisponde alla linea di Rifondazione comunista, precisa il segretario di Prc Franco Giordano pur sottolineandone la legittimità. Il leader di Rifondazione va oltre, non solo chiedendo ai dissenzienti di rispettare il vincolo politico della coalizione ma cogliendo anche una «soggettività politica» nelle manifestazioni dei pacisfisti che si traduce nella contrarietà a un governo «alternativo a Berlusconi». Anche Nello Formisano, dell’Italia dei Valori, rimarca la «legittimità» del dissenso ma poi chiede ai suoi colleghi pacifisti di giungere comunque «ad un voto compatto sul ddl per il rifinanziamento delle missioni».
«Sorpresa» viene invece espressa dall’esponente della Margherita Franco Monaco verso i parlamentari «in sofferenza sull’Afghanistan» perché non «danno mostra di apprezzare la discontinuità nei complessivi indirizzi di politica estera» del governo. Più dura Marina Sereni, dei Ds, che parla, riferendosi all’assemblea di oggi, di una «area di movimento contro il governo "tout court".
Dal palco dell’assemblea si sono alternati esponenti politici e rappresentanti del mondo sindacale, dei movimenti per la pace e del mondo culturale. Chi non ha potuto essere fisicamente presente all’iniziativa ha cercato di mandare comunque un segnale di solidarietà attraverso lettere (Giulietto Chiesa e Paolo Cento) oppure raggiungere i pacifisti tramite collegamento telefonico. Prima Beppe Grillo, che ha definito la guerra «un’operazione di marketing» e poi Gino Strada che senza giri di parole ha messo in evidenza «il servilismo dell’Italia nei confronti degli Stati Uniti». Il fondatore di Emergency si è rivolto idealmente al mondo politico dicendo che «il no alla guerra non è trattabile e soprattutto che la popolazione afghana non può sentir dire che la guerra deve continuare perché altrimenti vacillerebbero le poltrone». Non era previsto tra gli interventi ma ha deciso comunque di dare il suo contributo, anche un pacifista "doc" come Dario Fo, che arrivato insieme alla moglie, Franca Rame, senatrice dell’Idv, ha giudicato »i soldi spesi per le missioni militari come una cosa da far venire il vomito«.
L’attenzione però era tutta rivolta agli esponenti della sinistra radicale che da giorni manifestano il loro dissenso al rifinanziamento della missione. Salvatore Cannavò, esponente di «sinistra critica», ha sottolineato come «la riduzione del danno non può essere applicata alla guerra», ed ha definito come «meno-peggista» la linea politica assunta ribadendo il fatto che «sulla guerra non può esserci mediazione, ecco perché gli emendamenti al disegno di legge saranno presentati sia alla Camera che al Senato». Pur con toni diversi, anche Franco Russo sempre di Rifondazione, ha spiegato che «bisogna trovare una soluzione perché tra sei mesi ci ritroveremo di nuovo con lo stesso problema». Esprime solidarietà all’assemblea dei pacifisti anche Cesare Salvi, senatore della sinistra Ds, che chiama in causa direttamente il governo Prodi: «È un caso da manuale - spiega Salvi -, se il governo ritiene vitale il consenso della maggioranza per andare avanti e opportuno mettere la fiducia».
Tra le critiche più accese nei confronti del governo ed in particolare del ministro degli Esteri Massimo D’Alema, c’è quella di Claudio Grassi, altro senatore dissidente di Rifondazione, che accusa lo stesso titolare della Farnesina di «dare lezioni di coscienza agli altri quando lui ha autorizzato i bombardamenti in Serbia e a Belgrado». «D’Alema - aggiunge Grassi - non può pensare di offendere i suoi interlocutori: non accetto di essere offeso su un voto così sofferto come quello sulla guerra».
Per i parlamentari di Rifondazione il capitolo Afghanistan sarà ripreso lunedì nella direzione in cui, stando alle voci, potrebbe anche essere presa in esame l’ipotesi di esclusione dal partito per chi non rispetta il vincolo di mandato scelto una volta eletto. Interpellato sulla questione, però, è lo stesso Grassi a sottolineare come «Rifondazione non arriverà a questo, avendo votato otto volte contro la guerra», dello stesso avviso è anche l’altro esponente della minoranza di Rifondazione, Salvatore Cannavò.
Mantengono il loro riserbo, sia sulla mozione che sul disegno di legge, anche Loredana De Petris e Mauro Bulgarelli dei Verdi. «La mozione contiene dei passi avanti, ma occorre che il governo faccia una presa di posizione importante nella relazione tecnica», è il giudizio della De Petris, mentre il collega Bulgarelli va giù duro: «Sono sempre stato coerente, ho votato contro otto volte, non capisco perché adesso dovrei cambiare idea». Fa un appello al Governo anche il capogruppo al Senato dei Verdi-Pdci, Manuela Palermi, che si riserva di attendere «quello che l’Esecutivo dirà in aula perché la mozione è un atto parlamentare ma occorre da parte dello stesso governo un qualcosa di scritto che segni una discontinuità».