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Agguato al Senato a Lidia Menapace. Esclusa da fascisti, militari e un dipietrista
Publie le venerdì 9 giugno 2006 par Open-Publishingdi Checchino Antonini
Maschio, militarista e anche un po’ di destra. L’identikit del presidente della commissione Difesa di Palazzo Madama muta bruscamente nella notte e, al terzo scrutinio, poco prima delle 10, Sergio De Gregorio fa le scarpe a Lidia Menapace, la donna, partigiana e pacifista, che era stata indicata dall’Unione. Il colpo di scena è che De Gregorio sarebbe un uomo del centrosinistra, leader di un movimento, “Italiani nel mondo”, federato all’Italia dei Valori. Quarantaseienne napoletano, giornalista e imprenditore, ex forzista ed ex neodemocristiano, De Gregorio ri-balza così agli onori delle cronache per essersi votato assieme ai colleghi del centrodestra.
Ri-balza perché già un paio di settimane fa, in sede di negoziati per il varo del nuovo esecutivo, aveva puntato i piedi per ottenere l’assegnazione del ministero degli Italiani all’estero. Sennò niente fiducia. Lui proprio lui che dirige “Italiani nel mondo channel”, tv satellitare per promuovere il made in Italy. Cosa c’è di più made in Italy delle armi leggere, si sarà detto, accordandosi con quell’arco di forze che - per carità - di controllo delle nascite non vuol sentir parlare ma non trova nulla di strano se poi i bambini zompano sulle mine anti-uomo made in Italy.
La sua prima dichiarazione stritola l’articolo 11: «La forza d’urto non è un optional». Uno dopo l’altro il generale Ramponi, ex altissimo ufficiale poi senatore di An e antagonista nel ballottaggio con Menapace, e via via altri nomi dello stato maggiore della Cdl da Fini a Castelli a Giovanardi, si beano dei risultati ottenuti. Primo: aver impedito che la commissione Difesa non fosse più il luogo del sottogoverno clientelare con l’apparato mlitar-industriale e i vertici della Forze armate. Secondo: «aver prodotto una piccola frana nell’Unione, per rovesciare i conti qui al Senato, dov’è più facile», spiega Lidia Menapace, tutt’altro che intimidita dalla manovra. Qualcuno vi scorge il preavviso di sfratto per Prodi. E La Russa, ex fascista (ma quanto ex?) invita la partigiana e pacifista a tornare dai nipotini. Ma lei resta lì, in quarta commissione, proprio dove aveva chiesto di andare. «Questa situazione non colpisce né la mia onorabilità, né la mia fama, né la mia salute».
Pronta la reazione dell’Unione. Con un gesto nobilissimo, la senatrice diessina Silvana Pisa le cederà il posto di segretaria della commissione e Zanone, liberale nell’Ulivo, accetterà con riserva la sua elezione alla vicepresidenza. «Non credo che Di Pietro si adirerà», dichiara alle agenzie De Gregorio in mattinata. Ma il leader dell’Idv e ministro delle Infrastrutture s’è già adirato e ha chiesto le sue dimissioni. Sennò esca dall’Unione. Verso l’una inizia un vertice con tutti gli eletti dipietristi con l’ex simbolo di Mani pulite che avrebbe detto più o meno: «Guaglio’, sto perdendo la faccia!». Ma De Gregorio non c’era e, poco dopo, entrando nell’aula della “sua” commissione dichiara alla selva di microfoni che di dimissioni, «non se ne parla proprio!». Allora passa al centrodestra? «No», almeno per ora.
La narrazione ufficiale si divide, a questo punto, tra chi sostiene, come il forzista Guzzanti, che le trattative siano iniziate nella notte con una telefonata di Schifani, capogruppo azzurro al Senato e chi, come De Gregorio, sostiene di essere stato chiamato al telefono da tantissimi generali preoccupati dall’intervista della senatrice Prc al Corriere della Sera. «Se davvero fosse andata così sarebbe gravissimo, significherebbe che un giornale è più importante del potere legislativo», commenta ancora Lidia Menapace a cui arrivano un mare di messaggi di solidarietà anche da insospettabili ambienti di militari e poliziotti democratici. E poi cosa avrebbe detto di così grave? «Che le frecce tricolori inquinano e fanno baccano. In cosa viene meno la difesa dell’Italia?». E se le domandi come si sente, risponde: «Sono un buon bersaglio per un’operazione politica più generale e molto limpida nella sua oscurità». Un’analisi precisa al millimetro se fosse vero, come riferiscono fonti autorevoli a Liberazione, che De Gregorio sul palco della sfilata, il 2 giugno, avrebbe confidato, a un ex parlamentare e al presidente di un importante ordine professionale di Napoli, che stava per fare «un bel colpo: sarò il presidente di una commissione parlamentare».
Comunque sia andata, il bel colpo «è un volgare mercimonio», commenta duro Giovanni Russo Spena, capogruppo Prc al senato. «Un volgare esempio di trasformismo», osserva anche Franco Giordano, segretario di Rifondazione mentre, nel pomeriggio, Di Pietro riesce ad avere un faccia a faccia con De Gregorio. «Ha sbagliato ma siamo contenti che abbia deciso di restare nel centrosinistra», spiega il ministro dimenticando l’ultimatum del mattino. «Pur agendo in modo discutibile, l’ha fatto perché ai vertici di quella commissione andasse qualcuno più moderato e più vicino ai valori delle Forze armate». Dulcis in fundo, l’invito dell’Idv alla coalizione a dare segnali rassicuranti all’elettorato moderato e, a Rifondazione, a saper stare dalla parte delle istituzioni, delle forze armate e delle forze dell’ordine. E a dare prova di maggiore capacità di concertazione. Come si fosse trattato di un disguido. «Di Pietro sembra non essere in buona fede - replica da Montecitorio, Gennaro Migliore - i suoi capigruppo c’erano alle riunioni nelle quali sono state decise le candidature». Quanto al senso delle istituzioni, «Lidia è un sottotenente dell’esercito della Resistenza e una fondatrice della Repubblica», ricorda Russo Spena. Ma forse è proprio per quello che i generali non la vogliono.