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Al G8 si mangia bene
di Roberto Zanini
Capolavoro d’ipocrisia l’accordo finale del vertice a Toyako: Cina e India non vogliono impegni, gli Usa neanche a parlarne, di clima e emergenza cibo si parlerà un’altra volta. E avanti con le 8 portate e i 19 piatti del superchef Nakamura
«Noi, i leader delle principali economie mondiali, sia sviluppate che in via di sviluppo, ci impegnamo a combattere il cambiamento climatico secondo le nostre comuni ma differenti responsabilità». Seguono firme: gli otto Grandi e i nove grandicelli (Cina, India, Brasile, Australia, Canada, Indonesia, Corea, Messico e Sudafrica, invitati per meriti produttivi o commerciali). Non c’è una cifra. Non c’è una data.
E’ un capolavoro di ipocrisia la conclusione del G8 che si è tenuto a Toyako, in Giappone. Per la prima volta tutti i paesi che producono gas serra sono seduti intorno a un tavolo, gongola la delegazione americana, e gongola quel George Bush che fino all’anno scorso negava persino che il riscaldamento del pianeta esistesse o che avesse una componente umana. E’ vero, i grandi produttori (e quindi grandi inquinatori) del pianeta sono tutti seduti al tavolo.
Ma sopra il tavolo non c’è niente, o forse peggio che niente. Non c’è nemmeno quella data del futuro remoto in cui dimezzare i gas serra, il 2050, data indicata giusto il giorno precedente e spazzata via dal documento finale non da un soprassalto di decenza (per quel giorno i nipotini di Bush andranno in pensione, e il pianeta si sarà nel frattempo biscottato) ma dall’indisponibilità di Cina e India a essere messi sul banco degli imputati, e prendere impegni anti-inquinamento e quindi anti-sviluppo mentre il re degli inquinatori - Washington - si guarda bene dal fare lo stesso.
Il solo tavolo imbandito è stato quello dell’ultima cena giapponese dei Grandi e dei loro invitati più o meno recalcitranti. Dopo due giorni passati a dibattere l’emergenza cibo, che sta affamando centinaia di milioni di persone e provocando rivolte in mezzo mondo, i diciannove piatti divisi in otto portate cucinati dal super-chef giapponese e stella michelin Katsuhiro Nakamura e innaffiati da champagne, borgogna francese, cabertet californiano e saké giapponese sono parsi fuori luogo persino a qualche capo di governo.
Uno per tutti Zapatero, a conferma che di questi tempi basta essere una persona perbene per diventare uno statista: «Credo che con due portate si mangi bene», ha detto Zap, che si è augurato «una risposta più forte e attiva alla crisi alimentare, perchè ci sono in ballo vite umane». Sulla tavola del Windsor Hotel Toya che ha ospitato summit e mangiata, invece, c’erano in ballo focaccine di mais ripiene di caviale, tortino caldo di cipolle, shabu-shabu di manzo e crema di asparagi, zuppetta di molluschi, anguilla marinata in soia e aceto, gamberi scottati, ghiozzo fritto dolce, agnellino di latte alle erbette e senape, agnello al tartufo eccetera eccetera.
Disgraziatamente la Spagna di Zapatero non fa parte dei Grandi e nemmeno dei grandicelli, come alcuni dei più sinistri protagonisti degli ultimi G8. «Peccato che sia l’ultimo vertice di Bush», ha commentato Berlusconi. Meno male, invece, che l’anno prossimo alla Maddalena - ammesso che si riesca a arrivare in sardegna: il premier ha comunicato che i lavori sono indietro, che esiste un piano B ma che nutre fiducia di farcela - gli Stati uniti saranno rappresentati da McCain o da Obama, un repubblicano atipico o un democratico che almeno pare di nuovo conio. L’uomo che vuole trivellare l’Alaska oppure spegnere la Cina farà certamente dell’altro.
Il G8 giapponese è riuscito nella difficile impresa di far rimpiangere i precedenti vertici, in cui i Grandi avevano almeno provato a darsi qualche obiettivo nominale su alcuni dei principali problemi che incombono sul pianeta. Problemi che sembrano immutabili come una foresta pietrificata: il riscaldamento del pianeta, (e dopo il vertice della Maddalena ci sarà quello ambientale di Copenhagen, un «dopo-Kyoto» vincolante per i governi), l’emergenza alimentare mondiale e quella dei prezzi del petrolio, l’Africa che agonizza, la Palestina che non c’è e non ci sarà tanto presto...
Qualche altro «successo» del genere e il G8 riuscirà ad arrivare all’assoluta inutilità, traguardo a cui si sta avvicinando a grandi falcate.
su Il Manifesto del 10/07/2008