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Tito Lapo Pescheri
«Collaborazionista» (lo dice persino Bifo), «venduto», addirittura «trasandato», scrive una lettrice chic appena uscita dalla boutique di Prada col manifesto sotto il braccio.
Contro Sansonetti si rincorrono nel web epiteti e improperi pieni di livore dopo la sua partecipazione alla puntata di Porta a porta con Berlusconi protagonista, boicottata dall’opposizione Repubblica in testa e tutti gli altri dietro. I più scatenati sono però i lettori del manifesto. Otto pagine d’insulti a corredo di un’invettiva di Tommaso Di Francesco e una vignetta del laido Vauro sul Sansonetto di peluche.
Ma Vauro l’ha mai fatta una vignetta contro Di Pietro?
E come ha fatto a frequentare Anno zero senza aver mai detto una parola su un personaggio come Travaglio? «Barbuto e capelluto (troppo capelluto)», aggiunge un altro lettore che forse vuole insinuare una complicità tricologia (di trapianti) tra Berlusconi e Sansonetti.
Più sotto, «A questo punto nessuno mi toglie dalla testa che Piero per fare il suo L’Altro si sia fatto aiutare da quell’altro», e vai con il comprato più ancora del venduto.
E poi «Comunista civilizzato», «salottiero», «spalla di Berlusconi», «disertore», «trasformista», «voltagabbana». Dulcis in fundo: «Affossatore dell’Unità e di Liberazione» (sic).
Ma non basta, il povero Piero è da esecrare perché ha osato attaccare «Ballarò di Floris, trasmissione del Pd». Capito?
Leggono il manifesto, guardano Ballarò, ascoltano Sabina Guzzanti, adorano Anno zero, ridono con Vauro, votano Di Pietro e pensano d’essere pure comunisti.
Tutto si tiene nonostante le stridenti contraddizioni.
Ma chi sono i lettori del manifesto?
La domanda è molto seria perché in genere uno compra il giornale nel quale si riconosce. Insomma se questo tipo di lettori si rispecchia nel manifesto, che cosa è mai quel giornale che ancora porta sotto la testata quotidiano comunista?
Ma a pensarci bene la domanda va estesa a tutta la sinistra cosiddetta radicale, insomma quella a sinistra del Pd, perché contraddizioni del genere si registrano tranquillamente tra i lettori di Liberazione e anche de L’Altro.
Anzi, su queste stesse pagine capita di leggere interventi di Maurizio Zipponi (entrato nell’Idv) e commenti, ultimo quello di Nanni Riccobono, che delineano positivamente la svolta «operista di Di Pietro» (così è stata definita), come se non si trattasse dell’ultimo e forse definitivo colpo mortale inferto a quel che resta dei ruderi della sinistra.
Il populismo penale, la ferocia sicuritaria dell’Idv, si concilierebbero con un discorso attento ai ceti sociali più deboli, anzi ne rappresenterebbero la svolta progressista.
Nemmeno ci si accorge dell’impasto peronista che una linea politica del genere riassume. Una specie di leghismo di sinistra. Quello che altrove chiamano l’alleanza rouge-brun.
Siamo al grado zero della chiarezza ideologica. Lasciamo stare la teoria sociale e politica che ormai trovano cittadinanza solo nei tink tank della destra. Siamo al patchwork insulso, ad una melassa confusa. Ci si scanna reciprocamente travolti da risentimenti, alla ricerca di un colpevole, di un capro espiatorio su cui far ricadere la colpa, il tradimento della causa, senza accorgersi che alla fine questo popolo diviso, e sempre più residuo, s’assomiglia terribilmente.
Quanto a Sansonetti, forse ha sbagliato ad andare a Porta a porta sopravvalutando le sue forze. Cosa mai poteva fare in un programma dove sono ammessi due soli brevi interventi, quando al premier veniva concessa la parola per ore?
Forse togliersi le scarpe e tirargliele, come qualcuno ha suggerito. Ma a parte che era in collegamento, ognuno ha il suo stile. E quello di Piero – chi lo conosce lo sa – è da scuola del vecchio Pci. Compassato ed elegante.
Tuttavia questo tipo di perplessità non va confusa con le accuse di collaborazionismo lanciate nei suoi confronti. Possibile che non si riesca a concepire un’azione autonoma della sinistra, ma si debba sempre finire col rincorre gli ordini che vengono da certi salotti della borghesia ostili al blocco di potere berlusconiano?
Non si va a Porta a porta perché l’hanno deciso loro?
E chi se ne frega! Chi parla di alleanze è velleitario, in realtà la sua è solo sudditanza.
Oggi che la sinistra è invisibile, appiattirsi vuol dire scomparire definitivamente. Ci si allea quando si è forti e si ha potere di condizionamento, altrimenti ci si accoda soltanto.
Sansonetti ha agito facendo leva su un’idea forte di autonomia politica e culturale che nella sinistra è smarrita. Autonomia, ricerca indipendente di una via che non passi per De Benedetti, Agnelli e compagnia. I quotidiani della sinistra comunista e radicale sono morti quando sono diventati degli inserti di Repubblica.
da .. http://orestescalzone.over-blog.com/
Messaggi
1. Al manifesto vestono Prada. , 27 settembre 2009, 22:32
D’accordo con Oreste per quanto dice su "Il Manifesto" e su Travaglio.
Ma Sansonetti rimane un cialtrone della peggiore specie .....
K.
1. Al manifesto vestono Prada. , 27 settembre 2009, 22:43
A proposito di Sansonetti e del suo quotidiano "L’Altro"
Questo giornale è troppo nero
di Luciano Ummarino e Claudio Marotta
Ci vergogniamo è dura ammetterlo, ma è così. Doveva essere per noi un’avventura nuova, appassionante e a tratti lo è stata. Ma ora ci vergogniamo di essere nella redazione dell’Altro. Ci siamo stati fin dall’inizio, fin da quando a un manipolo di donne e uomini è venuta in mente un’idea pazza e quasi impossibile. Fare un quotidiano libero, alieno da ideologie, disobbediente e figlio di nessun partito o organizzazione politica. Uno strumento di sinistra capace di contribuire alla ricostruzione di immaginario e linguaggio della politica. Un’impresa difficile, ma ambiziosa. Un giornale irriverente che sapesse rimettere in moto idee e pensieri, che mescolasse culture e identità, che non desse per scontato niente e che fosse in grado di assaltare all’arma bianca i tabù che ancora tengono prigioniera del secolo passato molta parte della sinistra istituzionale e non.
Non avremmo mai immaginato però di finire in un giornale che parteggiasse per i pochi e poco interessanti fascisti che rimangono a calcare le scene militanti metropolitane.
Perché l’Altro questo fa. Non investe nell’autorevolezza necessaria che spetterebbe all’impresa epocale a cui tutta la sinistra è chiamata. Non si assume la responsabilità di mettere in discussione il senso dell’antifascismo a dieci anni dall’alba del nuovo millennio. Non apre un dibattito tra gli attori di oggi, non interloquisce con i pochi movimenti su questo tema. Semplicemente sceglie di stare dalla parte dei fascisti senza se e senza ma. Sceglie di chiedere interventi sul tema a un cantautore fascista, a Valerio Morucci (la cui posizione è nota dalla sua apparizione a Casa Pound) e a Miro Renzaglia. Sceglie quindi una linea precisa senza alcun tentennamento. Un approccio originale per affrontare la questione dell’antifascismo, della memoria. Una scelta editoriale chiara: quella di assumere quel punto di vista come il punto di vista dell’Altro.
Del resto è dai primi numeri di questo giornale che questa storia va avanti. Non ricordiamo bene l’ordine degli articoli: 2 pagine “simpatetiche” dedicate agli sproloqui del fascista Iannone, l’unico articolo sulla Resistenza (ad esclusione dei “numeri zero”) affidato a un’ intervista a Giampaolo Pansa autore di quel “memorabile lavoro storico e storiografico” che è Il sangue dei vinti, un articolo del sempre simpatetico Tassinari sulle aggressioni a Casa Pound, un interessantissimo contributo di Renzaglia sul futurismo fino ad arrivare agli ultimi interventi. L’ultimo proprio ieri: entrambe le pagine Queer – spazio caratterizzante del quotidiano, cartina al tornasole della politica editoriale messa in campo dalla redazione - interamente dedicate al sempre presente Miro Renzaglia.
Noi non veniamo dal mondo del giornalismo e ce ne scusiamo perché probabilmente non riusciamo a cogliere fino in fondo il senso di queste decisioni. O meglio, abbiamo provato, ce l’abbiamo messa tutta, ma la verità è assai più semplice di quanto pensassimo. L’Altro è un giornale che parteggia e strizza l’occhio ai fascisti del nuovo millennio. Ne è affascinato forse perché trova in quegli ambienti del credito personale che altrove non trova. O forse è solo un problema di distanza dal mondo, quello vero, dove ci sono “simpatetici fascisti” - non proprio così belli e ribelli - che usano coltelli per uccidere. Così è morto Dax, così è morto Renato. E vi rassicuriamo, senza che mettiate in ballo le stronzate degli opposti estremismi e dell’odio antifascista, che nessuno ha mai pensato di reagire violentemente a quegli assassinii ben prima che l’Altro mettesse in campo questo interessantissimo e inutile dibattito.
Permetteteci di sfogarci un po’, tanto in fondo è questo l’esercizio più praticato su queste pagine: “daje giù” a Repubblica, al Manifesto, al Corriere, all’Unità, a Liberazione, al Fatto, a Santoro, a Ballarò, al Pd, a SeL, ai cibi biologici, a Rifondazione e l’elenco potrebbe continuare. Una campagna continua contro tutto e tutti che dà la misura della supponenza con cui in cinque mesi abbiamo dato vita a un giornale gossipparo e provinciale. Per carità molte volte abbiamo polemizzato a ragione, ma chi produce una tale quantità di critiche deve anche avere il senso del limite. E invece nulla, mai un momento di autocritica, sempre così sicuri delle nostre ragioni, sempre dalla parte della “verità”. Alla faccia del post-ideologismo e della rottura dei tabù. E in questo quadro naturalmente i fascisti no… quelli non si toccano. Guai a farlo.
Stare all’Altro per noi non era solo un lavoro, era la condivisione di un progetto e di una bella sfida. Quel progetto sembra non esserci più, quella sfida s’è persa per strada. Soprattutto non c’è mai stata la volontà di trovare una sintesi fra le varie anime e sensibilità che avrebbero dovuto collettivamente lavorare a questa impresa. Responsabilità da imputare in primis al direttore che non si è fatto garante dell’orizzontalità e collegialità del lavoro in redazione. La democrazia, quella vera, è una cosa complicata e faticosa, comporta passi indietro e in avanti, cessione di sovranità e contaminazioni, la messa in discussione di ogni dogma, la capacità di dare a ogni parola la stessa importanza. Vale per una redazione come per ogni tentativo di costruzione democratica. Vale sempre. Non è stato così. C’è chi ha imposto, con il più classico esercizio del potere formale e informale, le proprie convinzioni. Ancora alla faccia di un’idea non violenta della vita. Tutte chiacchere e distintivo. “I fascifuturisti santi subito!” punto e basta, c’è chi la pensa così e così deve essere. Un po’ troppo, almeno per noi.
Ci dispiace non averlo capito prima. Ci dispiace perché lavorare gomito a gomito con molti di voi è stata una bella esperienza anche e soprattutto dal punto di vista umano. Ma c’è un’insopportabile ombra nera sull’Altro. A voi piace e a noi fa vergognare. C’è poco altro da dire se non che per queste ragioni siamo poco fiduciosi nella possibilità di tornare a lavorare serenamente in quella redazione. A meno che alcune questioni non vengano affrontate collettivamente e pubblicamente come mai è stato fino a ora. In fondo, noi all’Altro ci teniamo e per questo siamo determinati a cancellare quell’ombra infamante e a vincere questa battaglia. Intanto, da oggi siamo in sciopero. Probabilmente non sarà una grande perdita, ma ognuno è quel che è. Non ci resta che chiedere scusa alle Mamme per Roma città aperta: nella vostra lettera avevate ragione l’Altro è veramente troppo nero.
La risposta, di Sansonetti:
Questo giornale è l’Altro. L’altro è anche l’altro non siamo solo noi...
di Piero Sansonetti
Questa lettera mi è arrivata ieri pomeriggio, un paio d’ore prima della chiusura. L’ho letta con grande stupore, ho sentito la sensazione del pugno nello stomaco e poi - dopo un breve scambio di opinioni con la redazione - ho deciso di pubblicarla immediatamente e di provare a scrivere qualche riga di risposta. Di conseguenza la mia è una risposta un po’ affrettata: mi riservo poi, nei prossimi giorni, di tornare sull’argomento (e di farlo anche martedì prossimo, quando si riunisce l’assemblea dei collaboratori e degli amici del giornale).
Abbiamo deciso di pubblicare subito questa lettera, senza tentare mediazioni, aggiustamenti, senza muovere le diplomazie, perché quello dell’estrema trasparenza e della totale franchezza è il nostro metodo. E’ una delle ragioni di fondo per le quali siamo nati. Negli altri giornali, lo so, non è così. Se si pone un problema che riguarda il giornale si discute, si media, si rinvia, si aggiusta, si tenta una soluzione. Noi siamo convinti che se si vuole davvero riformare la politica e la vita intellettuale di questo paese bisogna cambiare metodo. Scegliere il confronto diretto, completo e pubblico.
Un’altra delle ragioni di fondo di questo giornale è "l’altro". Lo abbiamo detto molte volte, lo abbiamo spiegato nei primi articoli, quando siamo nati, 5 mesi fa. Chi è l’altro?
L’Altro è l’altro, non siamo noi. E’ un concetto che può sembrare facile, ma non lo è. E’ difficilissimo convincersi di questo, convincersi che vale la pena fare una cosa che non ha "Noi" come punto di riferimento. L’altro è lo straniero, il diverso, il povero, il dissidente, il ribelle, l’isolato, ma l’altro è anche il borghese, il ricco, il conservatore, l’altro è il nero, l’altro è il bianco, e soprattutto l’altro è anche il nemico, che noi non chiamiamo nemico - lo chiamiamo amico - e con il quale ci interessa parlare, del quale vogliamo sapere le ragioni, gli umori, i sentimenti i progetti. E vogliamo provare a dirgli i nostri.
Non abbiamo fatto questo giornale per tirar su una bandiera. Per chiedere e proporre e impugnare una nuova appartenenza. Ci sono tanti giornali di sinistra che questo lavoro lo fanno benissimo, molto meglio di noi, che esercitano in modo eccellente la funzione, rispettabilissima, di vessilli. Non c’era bisogno davvero di fare un altro giornale se l’obiettivo era quello.
Abbiamo scritto molte volte: non abbiamo tabù, lavoreremo per piegare i tabù. Che vuol dire? Semplicemente che siamo convinti che per far risorgere la politica, per ridare un qualche spessore e una prospettiva alla sinistra, dobbiamo avere il coraggio e l’umiltà di ricominciare daccapo, di riprendere a pensare, di non godere più delle risposte in automatico, fornite dalle tradizioni e dai testi già scritti. Ma ricercare le risposte una ad una, verificarle, e su ogni tema, su ogni scoglio, su ogni dramma, scoprire se quello che abbiamo sempre detto era giusto o va modificato. Sicuramente scopriremo che molte cose erano giuste. Sicuramente scopriremo che molte erano sbagliare. E poi scopriremo che la gran parte delle cose erano giuste ma ormai sono passate, e la gran parte delle verità non hanno più valore.
E i dogmi? Ne abbiamo solo tre, antichissimi: la libertà, l’eguaglianza e la fraternità. La certezza che tutti dobbiamo avere gli stessi diritti, in ogni campo, e tutti la piena libertà. E che purtroppo non è così, e che su questi due terreni si deve svolgere una grande battaglia politica, perché oggi la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica e del mondo politico - di sinistra e di destra - contesta questi valori e propende per una società gerarchizzata e competitiva e meno libera.
Cari Claudio e Luciano, vi risponderò un’altra volta sul perché questo giornale non è gossipparo ed è assai poco provinciale. Non mi sembrano, francamente, accuse solidissime. Vi dico però che la propensione di andare contro tutti è vera, fa parte del nostro programma, e non nasce dalla supponenza ma dalla convinzione che il compito di un giornale sia essenzialmente quello della critica, e la critica non deve essere preconcetta e non deve essere guidata dalla partigianeria o dall’appartenenza o da limiti - di schieramento - non valicabili.
Si può fare un giornale senza appartenenza? Senza tifosi? Andando contro tutti?
E’ chiaro che non è facile, che è rischioso. Ma non è questo rischio, la voglia di correrlo, che ci ha mosso quando abbiamo deciso di mettere su questa impresa, in un paio di mesi, col sostegno solo di pochi imprenditori disinteressati e coraggiosi, e con l’ostilità di mezzo mondo?
Dell’accusa di filo-fascismo ne parleremo meglio in seguito. Cos’è, un modo per offendere? Per dire: traditore?
Io, personalmente, sono abituato da tempo a questa accusa. Mi fa sempre sobbalzare, perché riporta il ricordo a tempi antichi, ma non mi indigna più. Nelle ultime settimane me la sono sentita ripetere tante volte, anche da giornali amici, come il manifesto.
Lo so che per tutti noi è difficilissimo immaginare la lotta politica senza la violenza dell’attacco diretto. Anche per me spesso lo è.
Oppure vogliamo discutere del valore, oggi, per la sinistra italiana, dell’antifascismo? E’ una bella discussione. In parte l’abbiamo fatta, su questo giornale, proprio nella serie sulla "memoria o l’oblio". E’ contenuta nello stesso articolo di Miro Renzaglia, pubblicato ieri, e che credo sia l’articolo che ha provocato la vostra ira.
Nelle due righe che mi sono rimaste dico solo questo: se l’antifascismo è antiautoritarismo, credo che sia utile ancora, attualissimo. Se è solo un modo per chiamare la tradizione, e i nostri padri valorosi, a riempire un vuoto di valori e di idee, se cioè è solo ricordo, retorica, resistenzialità, ve lo dico francamente: credo sia dannoso.
2. Al manifesto vestono Prada. , 28 settembre 2009, 08:52, di pietro ancona
Non condivido questi gratuiti e sprezzanti giudizi sul Manifesto. Certamente Sansonetti è oramai un cavallo imbizzarrito e non mi riferisco soltanto alla partecipazione a Porta a Porta ma anche al dibattito sulla storia condivisa fascismo antifascismo aperta su "L’Altro".
Ci sono cose del Manifesto che non condivido. Sulla questione palestinese è meno schierato di quanto io lo vorrei ed anche sulla CGIL ho molto da ridire sul modo come Campetti ed altri non vogliono prendere atto di uno smottamento a destra del maggiore sindacato italiano. Ma il Manifesto è di gran lunga il più serio giornale non di partito della sinistra e dei democratici italiani.
3. Al manifesto vestono Prada. , 28 settembre 2009, 10:27
"Ma il Manifesto è di gran lunga il più serio giornale non di partito della sinistra e dei democratici italiani."
Quello che dice Pietro è senz’altro vero, ma è anche vero che ci vuole veramente poco ad essere il giornale "meno peggio" ....
Al di là della Palestina e della CGIL, è innegabile che "Il Manifesto" sponsorizza l’ipotesi politica di un nuovo centrosinistra, magari sperando nella vittoria di Bersani nel congresso del PD ...
E che, sia pure con stile e sobrietà, il "quotidiano comunista" sponsorizza l’operazione liquidatoria di ogni ipotesi comunista rappresentata da Vendola che infatti punta ad un nuovo centrosinistra, alquanto "liberal" in economia e sostanzialmente filoimperialista in politica internazionale.
Cioè qualcosa di largamentepeggiore risptto purea Prodi.
Raf
2. Al manifesto vestono Prada. , 28 settembre 2009, 11:18, di Mirko
Scusate ma attacchiamo il Manifesto e Vauro per difendere Sansonetti?
Mi sembra assurdo! Ora non voglio parlare di idee politiche ecc. ma Sansonetti è quello che inneggiava alla vittoria di Luxuria sull’Isola dei famosi (prima pagina di Liberazione) come una grande vittoria della sinistra. Personalmente da ventenne dico che Liberazione di Sansonetti era un brutto giornale, tant’è che oramai non aveva più lettori, non lo compravano più nemmeno gli iscritti al partito. Inoltre Vauro lo reputo un grandissimo vignettista, che ha idee differenti da Travaglio, che è un ottimo giornalista di destra. Mi spiace ma quest’articolo è delirante e senza il minimo senso.
1. Al manifesto vestono Prada. , 28 settembre 2009, 13:56
Sansonetti è indifendibile .... ma lavora allo stesso preciso progetto del "Manifesto" con la differenza che è notoriamente un istrione arrogante ed incapace.
Per "fare notizia" è capace di inventarsi di tutto, dalla storia di Luxuria all’ Isola dei Famosi ai paginoni dati in appalto a Casa Pound o a Miro Renzaglia ....
Ma, come dicevo, il progetto è decisamente lo stesso del "Manifesto".
Unificare, in nome del sempre facile slogan dell’ "unità a sinistra" ( unità del tutto slegata dai contenuti ) tutto un nuovo centrosinistra sotto l’ombrello del Pd, magari di un Pd più tradizionalmente socialdemocratico ( e quindi "liberista temperato" in economia e completamente filo - Usa in politica estera ) diretto da Bersani.
La differenza è nello stile ..... mai "Il Manifesto" parlerebbe di superamento dell’antifascismo ......
Ma la sostanza non cambia ...
Raf
2. Al manifesto vestono Prada. , 28 settembre 2009, 17:47
Raf ha ragione nel giudizio sul Manifesto.
Ma Vauro - pesantemente chiamato in causa da Scalzone - non c’entra niente, non credo sia stato casuale il suo ritirarsi dalla collaborazione quotidiana a questo giornale proprio nel momento il quotidiano si faceva sponsor della famigerata e fallimentare operazione della Sinistra Arcobaleno.
Del resto, se Vauro è iscritto al PDCI, è evidente che è fuori del progetto vendoliano.
K.
3. Al manifesto vestono Prada. , 28 settembre 2009, 18:18, di fausto
C’è per caso, qui in giro, qualcuno in grado di fare un giornale migliore del Manifesto?
Non sgomitate per farvi avanti, alfieri della rivoluzione: la domanda è ovviamente retorica.
Condivido quando Pescheri difende il direttore dell’ Altro.
Sansonetti non è, probabilmente, un fulmine di guerra.
Ma almeno ci prova a mettere in discussione una sinistra che, visti i risultati, ha un gran bisogno proprio di questo.
Magari qualche volta lo fa in modo maldestro.
O magari commette l’ errore (fatale) di sopravvalutare chi lo legge.
Ma almeno ci prova.
Altri non ci provano neppure!
Arroccati nelle loro verità emettono le loro fatwa a carico di chi sbaglia, di chi tradisce. Fino a prendersela (e qui il Pescheri non mi trova affatto d’accordo) con i lettori del Manifesto.
Ah, che borghesi che devono essere, quei finti compagni! Noi, invece...
Già, ma quelli veri, quelli che hanno capito tutto chi sarebbero?
Dove erano, che hanno fatto, finora, queste vecchie talpe, sempre pronte ad ergersi con il ditino alzato?
La sinistra è a pezzi: questo è un dato di fatto.
Di fronte a questa realtà abbiamo bisogno di rimettere tutto in discussione, coraggiosamente e accettando la possibilità di commettere errori?
O abbiamo bisogno di affermare la nostra verità sulla pelle altrui, a colpi di insulti e delegittimazioni?
La mia opinione è che si debba ridiscutere un sacco di cose, con l’ umiltà di chi sa che di certi errori si è responsabili tutti.
Non questo o quel dirigente. Non questo o quel pezzo di sinistra.
Tutti.
E allora i giornali come il Manifesto e l’ Altro sono -entrambi- una risorsa importante. Proprio perchè questa discussione la stimolano.
E se nel farlo cadono in qualche contraddizione pazienza: chi, fra noi, non c’è mai caduto?
4. Al manifesto vestono Prada. , 28 settembre 2009, 19:37
Rimettere in discussione, rifondare, bla bla bla ....
A parte che è tutta roba già sentita mille volte, figuriamoci - da comunista "eretico" e libertario da quasi 40 anni - se non sono d’accordo ...
Ma se, per rimettermi in discussione e rifondarmi, devo poi discutere beatamente con Berluskoni, come ha fatto Sansonetti a "Porta a Porta", peritandomi di dire pure - letterale ! - che "Il Giornale SI DICE (!?!) sia di sua proprietà ....".
Oppure offrire interi paginoni ai peggiori fascisti che esistono su piazza ...
Il caso del Manifesto, è stato già detto, è certo come stile assai diverso, più sobrio, meno sguaiato ed anche effettivamente un tantinello "snob", anche se mi pare esagerato confonderlo con i clienti di Prada ...
Ma pure Il Manifesto, con la scusa di favorire "la sinistra unita" ( unita ma su che ? che c’ho io a che spartire con Franceschini e Binetti ? o con Unipol ? o con certi palazzinari romani di riferimento ?) di fatto lavora allo stesso progetto "normalizzante" ......
E allora rimettiamoci in discussione, rifondiamoci, facciamo quello che vi pare .... ma rimanendo anticapitalisti ....
Altrimenti è un’altra storia ... è REVISIONISMO ... e non rifondazione .... ed allora, se l’obiettivo era quello, mi domando perchè non si è data direttamente ragione ad Occhetto nel 1989 e si è fatto tutto sto casino ....
K.
5. Al manifesto vestono Prada. , 29 settembre 2009, 21:04
Il reduce Morucci e il cane rosso
da infoaut.org
Il crollo e la crisi terminale delle sinistre alternative italiane, l’affondare veloce a suon di urne e di tessere di partito del discorso bertinottiano ha avuto diversi effetti, visti e annotati da quaggiù, dal basso, lo scomposto fuggi-fuggi di quel ceto politico a volte mi fa sbadigliare, altre crepare dal ridere, altre ancora mi lascia annichilito specialmente quando verifico che certa sinistra pasciuta nei dorati anni ’90, ha perso il potere ed influenza ma non il narcisismo e l’impertinenza. All’urlo del si salvi chi può, c’è chi ha girato il poster del Che dietro la scrivania dell’ufficio, chi si è affrettato a manifestare la propria svolta politica per assicurarsi posizioni nelle amministrazioni pubbliche e in certi nodi di potere bassi e periferici e chi si è costruito una scialuppa, e nel mare in burrasca della crisi della rappresentanza e della sinistra tenta di sopravvivere non senza affogare qualche vecchio compagno di lotta o raccattare qualche scarto che galleggiava da anni aspettando una scialuppa che ascoltasse il suo grido, la sua affermazione di esistenza, la sua voglia di riaffermare il proprio ego di reduce sconfitto. Una delle scialuppe è la redazione de L’Altro, giornale della sedicente sinistra quotidiana, la ciurma di decadenti narcisi rossi è capitanata dal cipiglio volteriano del Signor Sansonetti (l’unico giornalista a sinistra ad essere ammesso nei salotti televisivi del Papi d’Italia) e in questo caso il reduce raccattato a bordo è il Signor Morucci.
Quest’ultimo è da un anno e poco più che tenta in tutti i modi di tornare alla ribalta e ricevere l’attenzione di qualche flash ed editoriale. Sembra voler dire: "Ooooh c’è qualcuno? Sono io, sono Valerio Morucci e sto parlando a CasaPound vicino ad Adinolfi, ma insomma, neanche un flash? Neanche un’intervista? Uno speciale su pinocchio? Che ingiustizia...".
La figura del reduce è una forma delle passioni e dei sentimenti tristi, non è una figura dell’intelligenza antagonista e delle critica radicale, si muove seguendo il ritmo dei rimpianti, dei rimorsi, dell’insoddisfazione, è una figura braccata dal passato, dal suo stesso soggettivo passato. Penso a quel bellissimo episodio "Il Tunnel" della raccolta di cortometraggi chiamata "Sogni" di Akira Kurosawa, in cui un reduce tornando a casa attraversa un tunnel e appena ne esce trova dietro di se un esercito di zombie, suoi vecchi commilitoni morti in battaglia di cui lui è il solo superstit: gli zombie senza sapere cosa fare gli chiedono ordini, e lui preso nel tormento ordina loro di tornare indietro. Una volta spariti i soldati zombie nell’oscurità del tunnel, esce un cane rosso inferocito che gli ringhia alle calcagna. L’episodio finisce così con il reduce incalzato dal ringhiare furioso del cane rosso. Quei soldati-zombie sono la coscienza del reduce, la coscienza etica e politica del reduce che in Akira Kurosawa fa la cosa giusta, li rimanda indietro, li silenzia ed ammutolisce, intima loro il dietro-front e li lascia andare al passato, per tornare a marcire della sua solitudine a casa. A consigliarlo il ringhio inferocito del cane rosso, pronto a mordere il reduce nel caso questo avesse gridato avanti march.
Non voglio entrare nel merito delle considerazioni scritte dal Signor Morucci nell’articolo pubblicato da l’Altro "Se la nostra è la memoria dei vincitori" Che è un testo utile al discorso che il signor Adinolfi ha confezionato in questi anni per rincoglionire le nuove generazioni di camerati terzoposizionisti e uscire con loro dalle fogne, un testo di autoformazione per la base dei fascisti del Terzo Millennio.
Detto ciò, quello che mi interessa ringhiargli in faccia, al signor Morucci, è che non ha nessuna legittimità di usare questo plurale maiestatis. Questo "noi" se lo deve togliere dalla bocca e dalla penna. Non è parte della nostra storia! Vi è uscito da tempo! E tutti, compresa l’opinione pubblica e i camerati (magari quelli più attenti e meno rincoglioniti dalle favole di Adinolfi) sanno anche come! Se un quotidiano così volteriano gli dà spazio si assume le sue responsabilità rispetto ai suoi lettori che della parte più intelligente ne faranno cartastraccia. Daltronde si è già vista nelle urne dove va a finire quell’alternativa di sinistra, nello 0,00001% di consensi. Ne aspettiamo la definitiva deriva e prossima scomparsa nel tricolore del partito democratico.
L’ego del reduce se proprio non la vuole smettere di manifestarsi e continuare a scrivere articoli, rilasciare interviste e partecipare a tavole rotonde dovrebbe almeno dichiararsi pubblicamente come attivo protagonista della parte che ha scelto di servire: il fascismo terzoposizionista italiano. Sarebbe un atto di rigorosa coerenza, indubbiamente scomodo e difficile, ma sicuramente onesto. Ma le cose vanno così! Avere un reduce penitente tra le mani è un’occasione troppo ghiotta sia per soddisfare il narcisismo di certo ceto intellettuale minoritarissimo dell’ormai defunta sinistra alternativa che per la parte neofascista italiana. L’una a vantarsi di quanti muri delle ideologie ha abbattuto (senza ancora capire che l’unica cosa ad essere abbattuta è proprio lei e il suo progetto politico) e l’altra fiera di sbandierare lo zombie di un reduce davanti ai suoi camerati (per far quadrare certe argomenti utili ai ducetti per arringare i neo-adepti) e parte dell’opinione pubblica.ù Un reduce penitente non dovrebbe chiedersi "se la nostra è memoria dei vincitori" perché la risposta ce l’ha già scritta nella sua identità di perdente, di sconfitto, di figura triste per niente interna alla gioia dei movimenti rivoluzionari e antagonisti. La nostra memoria (e qui vi accontento tutti: Morucci, Adinolfi, Sansonetti e soci) è memoria dei vincitori in sé, perché (fatevene una ragione) sta nel campo di battaglia di chi da almeno un paio di secoli si è schierato dalla parte giusta, quella della dignità e della libertà. Prendere la parte che si batte contro i barbari, contro la reazione è già una vittoria, antropologica, etica e politica. E’ una vittoria che non conosce il Signor Morucci, vi è escluso, perché sta nel pugno chiuso di centinaia e centinaia di compagni e compagne che mai reduci sono ancora oggi nelle lotte con al fianco nuovi partigiani, che creano conflitti, che creano partigiani, che creano conflitti... Se certi discorsi e deboli identità politiche (siano quelle del reduce, del L’Altro, o della terza posizione) non sanno per loro natura "confrontarsi" con il punto di vista antagonista sono fatti loro e dovrebbero almeno mollarla di darne attestato pubblico, magari evitando per buon gusto, di scomodare finanche Virgilio e l’Eneide. Meglio si addice il cinema di Alberto Sordi, (bisogna darne atto alla cultura cinematografica del reduce qualunque), e per l’occasione consiglierei la visione di "Polvere di stelle", e considerare il suo triste e mesto epilogo, quando la nave degli americani è ormai salpata e il pubblico fascista di una volta non c’è più a godere di certe pagliacciate da avanspettacolo.
Infine il signor Morucci ci è riuscito, si è conquistato la nostra attenzione e ci ha fatto perdere del tempo per scrivere delle ovvietà, ci ha fatto parlare di argomenti scontati per chiunque ha la forza di prendere una parte, nel nostro caso quella giusta. Avrei preferito dedicare queste pagine a discutere dei segnali di riemersione dei movimenti antagonisti sul terreno della crisi internazionale, un argomento molto più urgente da considerare e approfondire e invece la lagna vittimistica dei terzo posizionisti, l’ego del reduce, e il narcisismo volteriano del L’altro mi ha costretto a trattare argomenti che si leggono nella prima pagina di un manuale qualsiasi di scienze politiche. Ma va bene, avete avuto bisogno di un ripasso e qualcuno che vi rinfrescasse la memoria, avete avuto bisogno di un cane rosso che vi ringhiasse in faccia la verità, adesso vogliamo vedere se ci sarà un intelligente dietro-front o un ostinato avanti-march. Per noi del resto "...il nemico attuale è sempre ancora eguale...".
Yuri Daltetto
6. promemoria, 1 ottobre 2009, 00:25, di incidenze
Valerio Morucci, l’antifascismo non è un western