Home > Al mercato degli eroi
La parola «eroe» è fatta di chewingum e ognuno se la tira e se la stira come gli pare. Del resto è 
così con molte parole che rimbalzano di questi tempi: tipo «mercenario», per esempio. «Soldato al 
soldo», secondo il vocabolario, dunque ben diverso dall’esercito di 30mila persone che in Iraq 
fanno la «security», che è un’altra cosa, più accettabile, meno immorale, più digeribile. E’ una 
faccenda di cinismo, alla fine: tentare di trasformare una débacle politica, militare, diplomatica, in 
uno spottone patriottico. Chi guida il paese stava in Sardegna a far quadrare scuola pubblica e 
taglio delle tasse, l’altro era a Porta a Porta a far decollare l’audience, l’altro era nel Mar 
Rosso, o alla festa del carciofo, alla sagra della salama, non lo so. Prima che uno faccia in tempo a 
chiedersi «ma in che mani siamo?», ecco che si agitano i fumogeni, si tira in ballo l’eroismo e il 
gioco è fatto: è difficile essere cattivi, o anche solo critici, con gli eroi. E va bene.
Se è 
questo che si vuole, sono pronto. Considerare eroi i nostri ostaggi, perché no? Uno che muore sparato 
alla nuca è, almeno in quel momento, un eroe, ci sono momenti in cui la pietà non si mette a 
bisticciare col vocabolario. Uno però si aspetta che dopo questo riconoscimento morale ne arrivino 
degli altri, un po’ più materiali. La pensione? L’assicurazione? Il riordino del settore con diritti 
sanciti da regole, e sanzioni per chi non le rispetta? Qualche dato su quanti siano questi eroi, su 
chi li assume e per fare cosa? Qui troviamo nei nostri indignati speciali della destra 
armiamoci-e-partite - ancora col fumogeno tricolore in mano - una sorta di resistenza. Indignati sì, ma col 
freno a mano tirato. La e-mail di «assunzione» in una delle tante security irachene pubblicata ieri 
da Repubblica è illuminante e decisiva. Non tanto per l’agghiacciante burocraticità del fare la 
guerra, ma perché ricalca paro-paro le attuali modalità del mercato del lavoro. Si dice 
all’aspirante bodyguard il tipo di incarico (vagamente). Si parla di soldi per il salario, ma si fa balenare 
la possibilità di incarichi meglio retribuiti, in futuro, chissà.
Poi si glissa alla grande su garanzie e diritti. Magistrale il passaggio sulla copertura 
assicurativa: «E’ a tua discrezione e ci stiamo muovendo per poterci assicurare...». Insomma, vedremo, 
faremo, chissà, uhm... ehm... tutto vago, tutto in nero, tutto molto precario e flessibile. 
Nell’allontanare con orrore e indignazione la parola «mercenario» - e dopo aver sgridato come uno scolaretto 
impudente il manifesto - la destra governativa e le sue falangi mediatiche hanno spostato il tiro: 
trattasi di lavoratori italiani all’estero, gente che andava armata in Iraq per mandare avanti la 
baracca, per campare. «Persone semplici», come dice anche l’appello delle famiglie. E come tali 
trattate: gente che casca dalle impalcature, che prende il cancro per l’amianto, che lascia le dita 
sotto le presse, che muore lavorando senza che al governo italiano - sia esso da Vespa, in 
Sardegna, in immersione - gliene freghi qualcosa meno di niente. Migliaia di casi all’anno per cui 
nessuno si sogna di usare la parola «eroe», e per i quali bisognerebbe forse rivendicarla.
Fino alla 
beffa indecente di far sapere alle famiglie dei caduti la notizia dalla tivù. Per gli edili in nero 
che restano sotto i crolli improvvisi, a volte, si scrivono in tutta fretta i contratti nella 
notte, in modo che siano in regola prima del funerale. E per questi qui, invece? Per questi «eroi» 
italiani? E’ davvero paradossale: per non dire che sono mercenari, o che svolgono ruoli poco chiari e 
forse anche un po’ nefasti, vengono promossi sul campo a «lavoratori». Ma questo - l’essere 
lavoratori - infine li declassa e li normalizza: ecco un altro morto sul lavoro trattato dallo Stato con 
lo stesso riguardo di tutti i morti sul lavoro, cioè nessuno. Un po’ di cortina fumogena, 
bandiere, nazionalismo, lacrime di coccodrillo.
Il fatto è che se si ricalca la guerra, la sua privatizzazione, le sue dinamiche, si ottiene con 
precisione quasi assoluta un disegno del mercato, del liberismo sfrenato e imperante, dell’assenza 
di regole, della dittatura assoluta del profitto su ogni altra considerazione. Il mercato e la 
guerra, ecco il problema, che se ne stanno abbracciati stretti stretti, stritolando chiunque si trovi 
in mezzo, «eroe» o «lavoratore» che sia.
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