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Alitalia, quel posto di lavoro più importante di un appuntamento a Milano

Publie le giovedì 13 novembre 2008 par Open-Publishing

Alitalia, quel posto di lavoro più importante di un appuntamento a Milano

di Alessandro Cardulli

Periferia di Roma. Un bar. In molti a fare colazione. Uno sbotta: “ Doveva andare a Milano, ma il volo è stato cancellato. Ho perso un appuntamento. Questa gente dell’Alitalia si dovrebbe vergognare”. Mormorio di assenso. Uno, a voce più alta: “ Tu hai perso un appuntamento, pensa a chi non sa se domani avrà ancora un lavoro o se lo perderà. Forse il suo posto di lavoro è più importante del tuo appuntamento”. Cessa il mormorio. Si fa silenzio. Gelo.

Il dramma dell’Alitalia, perché di questo si tratta, è stato raccontato in poche parole. A Roma, in un bar di un quartiere periferico e popolare. E’ un dramma di dimensioni nazionali. Una cartina di tornasole che fa ben capire che in questo Paese le regole democratiche sono sempre più calpestate. Un Paese in cui le donne e gli uomini che lavorano sono considerati solo dei numeri. Possono lavorare, però possono essere impunemente licenziati, mandati a casa e non essere ri-assunti solo perché madri di un bambino o parenti di un disabile che deve essere assistito. I precari diventano invisibili, non esistono, diventano fantasmi. Migliaia di lavoratori di Alitalia restano disoccupati, cassa integrati e senza alcuna prospettiva. Altri lavoratori, migliaia di persone di aziende romane e del Lazio, che gravitavano attorno ad Alitalia, si parla di venti-trenta mila persone, privi di uno straccio di futuro. Le imprese di appalto e quelle di subappalto chiudono i battenti. Non hanno più il committente. Le banche non fanno credito.

Titoloni sui giornali di scioperi selvaggi. Dal pilota, all’assistente di volo, al personale di terra, maledetti perché ti lasciano a terra. Loro, gente che vive di privilegi, conservatori incalliti che non vogliono cedere neppure un grammo del loro potere. Ecco i ministri spregevoli con le ancor più spregevoli dichiarazioni, come quelle di Bossi che dice “andate a lavorare!” facendo finta di non sapere che proprio il governo di cui fa parte non vuole farli più lavorare. I giornali amplificano. Linciaggio mediatico. Berlusconi e i suoi ministri di cartapesta hanno trovato la soluzione: tutti precettati e, se non basta, azioni di carattere penale, illegalità non tollerabile. Chi pensa che una dramma nazionale come questo si possa risolvere con iniziative giudiziarie dovrebbe ricorrere ad uno psichiatra. Così come non serve la solidarietà pelosa di chi dice che “capiamo la rabbia dei lavoratori, ma la legalità va salvaguardata”.

Allora vediamo chi ha violato le regole democratiche. Noi individuiamo in ordine decrescente: il governo e la Cai, i media, i sindacati confederali. I primi due si sono autosponsorizzati, una specie di santa alleanza fra padroni e Berlusconi. Hanno partorito un piano che di industriale ha solo il nome. Si tratta di un mostriciattolo che non ha le gambe, o meglio le ali, per volare. Hanno detto ai sindacati: prendere o lasciare. Una vera trattativa non c’è mai stata. Cisl e Uil hanno subito fatto buon viso a cattiva sorte. Ormai ai sindacati di Bonanni e Angeletti, come mostra la cronaca di questi giorni, basta un piatto di lenticchie per chinare il capo davanti al padrone. La Cgil ha resistito più a lungo ricompattando anche i sindacati aziendali, quelli che rappresentano circa l’80% dei piloti, degli assistenti di volo, del personale di terra.

Tutti hanno firmato. Ma Cai e governo di quel protocollo hanno fatto carta straccia, hanno imbrogliato, giocando sporco. Se ne sono accorti i sindacati aziendali. Trucchetti da pagliaccio di un circo di basso livello. Per esempio il riferimento ai contratti dei piloti di Air One riguardava l’ultimo contratto, ma Cai e governo invece hanno preso a modello quello precedente, quello più sfavorevole ai lavoratori. Cgil, Cisl e Uil hanno fatto finta di niente ed hanno firmato, lasciando soli i sindacati aziendali, fornendo al governo e a Cai un paravento. I media? Hanno dato un’immagine falsa di migliaia e migliaia di lavoratori, delle loro famiglie, dei loro problemi, hanno creato una figura “antipatica”. Qui siamo. Riaprire la trattativa è il minimo che si possa fare. Non solo per difendere i lavoratori. Ma le regole democratiche. Che non possono in alcun modo saltare.