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Alta velocità: I no Tav a Palazzo Chigi

Publie le sabato 15 luglio 2006 par Open-Publishing

di Cinzia Gubbini Roma

Erano loro in persona, quelli di Venaus, di Bussoleno, il popolo della valle che ha fatto vedere i sorci verdi al governo Berlusconi e pure al governo regionale dei Ds. Ieri se ne stavano sotto Palazzo Chigi, col carretto «non ruberete il nostro futuro», le magliette e le bandiere «no tav», le chitarre pizzicate per ore, dai canti di montagna a «el pueblo unido» e «bella ciao».

Con l’ultima tappa della marcia «A passo d’uomo», sono stati ricevuti al parlamento, prima dal vicepresidente della Camera poi dal vicepresidente del Senato. «Per noi è già importante che dei semplici cittadini possano parlare con le istituzioni», dice Valentina, una delle portavoce dei no tav. Con loro hanno portato la richiesta di abolire la legge Obiettivo e un bel malloppo di documenti tecnici che verranno girati alle competenti commissioni parlamentari. «Ma gli abbiamo anche detto di guardarsi dallo scollamento sempre più forte tra società civile e politica istituzionale. E che in giro per l’Italia sta crescendo una nuova coscienza che si oppone a un modello di sviluppo basato esclusivamente su crescita e sviluppo forsennato».

I vicepresidenti - Bertinotti, presidente della Camera, ieri non era a Roma, Franco Marini, presidente del Senato, lo hanno mancato per un soffio essendo arrivati in ritardo - li hanno ascoltati «con attenzione» e li hanno incitati «a non mollare» perché «la politica istituzionale ha bisogno della spinta della società civile per funzionare». Insomma, che il clima sia un po’ cambiato è evidente, ma il popolo no tav lo dice con chiarezza: «Non faremo sconti a nessuno».

Ma non c’erano solo i valsusini a varcare le porte del Palazzo. La marcia è servita a mettere in collegamento e a unire le tantissime battaglie territoriali che mobilitano «semplici» cittadini contro piccoli e grandi opere varate senza ascoltare il territorio. Il Lazio, da questo punto di vista, ha un ampio ventaglio di questioni: a partire dalla tav Roma-Napoli, per arrivare all’inceneritore di Malagrotta (proprio in questi giorni è in corso uno sciopero della fame) e alla famosa centrale a carbone di Civitavecchia, che oppone il colosso Enel al battagliero movimento «no coke». C’erano poi i «no Pav» di Umbria e Marche, che si oppongono alla costruzione di un’opera che il solo nome mette paura: asse viario di penetrazione interna. Che dire poi del rigassificatore di Livorno, o del Mose e del Ponte di Messina e del terzo valico Milano-Genova.

E non chiamateli popolo del «no»: «Noi di sì ne abbiamo parecchi - dice Maurizio Melandri, del comitato di Malagrotta - ma chiediamo un radicale cambiamento sulla questione ambientale. E ci stupiamo che le nostre proposte, sempre percorribili e qualificate, non trovino mai un orecchio attento in sede politica». I cittadini la vedono così: dietro un modello basato sulle grandi opere si nascondono gli interessi delle lobby. «Non sarà un caso che, girando per l’Italia, abbiamo ritrovato spesso gli stessi nomi, come Cmc e Impregilo», dice ancora Valentina dei no tav. E il ministro dello Sviluppo Pierluigi Bersani? Quello che si batte contro le lobby?

Intanto, il suo disegno di legge sulla liberalizzazione dell’energia è bocciato dal movimento. «Eccentrico rispetto al programma», lo definisce Mirko Lombardi, responsabile ambientale del Prc, che chiede almeno una conferenza nazionale. Da queste parti non si sentono grandi urli di battaglia. Questo movimento non abbaia, ma morde se ce n’è bisogno. Oggi pomeriggio si riunisce in assemblea all’ex Rialto occupato. Ordine del giorno: grandi opere e beni comuni. Perché non finisce qui.

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/14-Luglio-2006/art38.html