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Amnesty: i paesi del G8 cedono armi e morte al sud del mondo

Publie le martedì 28 giugno 2005 par Open-Publishing

28.06.2005
Amnesty: i paesi del G8 cedono armi e morte al sud del mondo
di red

L’Italia fa grandi affari con la Colombia, la Repubblica del Congo e la Cina, la Francia invece con il Myanmar e il Sudan. La Russia vende bene in Etiopia, Algeria e Uganda. È il mercato globale, direbbe qualcuno. Peccato però che per il nostro paese si stia parlando del vantaggioso business delle armi leggere, di cui siamo i secondi esportatori mondiali (vi dice qualcosa il nome Beretta?) mentre i nostri cugini transalpini vendono a notori regimi dittatoriali bombe, granate e mine. Le industrie russe invece esportano aerei da combattimento verso paesi che ormai hanno ben poco da distruggere.

Sono alcuni degli esempi esposti nel rapporto G8: esportatori globali di armi appena pubblicato a cura di Amnesty International, Oxfam e Iansa (International Action network on Small Arms). Sei degli otto paesi più industrializzati del mondo rappresentano anche i maggiori produttori di armi del pianeta. Dalle loro fabbriche proviene l’80% degli strumenti di morte che circolano nei teatri di guerra. A comprare sono i soliti noti: i paesi del terzo mondo, che dissanguano le casse statali in armi e munizioni lasciando affamata la popolazione. Come se non bastasse, il 90% dei morti in guerre dichiarate o guerriglie striscianti sono proprio i civili. Una contraddizione se si considera la grande rilevanza data a giugno dal premier britannico Blair allo sbandierato taglio del debito dei paesi più poveri del mondo. Un taglio soltanto parziale, che però sembra la restituzione con una mano di cio che si prende con l’altra.

La denuncia non è nuova ma arriva alla vigilia della riunione del G8 dal 6 all’8 luglio. La campagna denominata Control Arms, lanciata nell’ottobre del 2003 in tutto il mondo, si batte contro la proliferazione e il cattivo uso delle armi. In Italia ha ottenuto l’appoggio, tra gli altri, dalla Rete italiana per il disarmo, Pax Christi e Rete Lilliput. L’obiettivo da raggiungere entro il 2006 è quello di convincere i governi a firmare un trattato che limiti il commercio di armi, laddove non sia possibile fermarlo. La campagna ha anche un evento collegato: si chiama 1 million faces e da marzo sta raccogliendo un milione di facce. Ai sostenitori dell’iniziativa infatti non viene chiesto di mettere una firma ma la propria faccia, attraverso le foto che verranno scattate in tutti gli stand sparsi per il mondo.

Ci sarebbe quindi da discutere al G8 scozzese, quello che il premier britannico Tony Blair vuole diventi un appuntamento per discutere soprattutto di povertà. «Ogni anno centinaia di migliaia di persone sono uccise, torturate, stuprate, allontanate dalle proprie terre grazie al cattivo uso delle armi. Come è possibile prendere sul serio gli impegni del G8 a eliminare la povertà e l’ingiustizia, se alcuni di quegli stessi governi stanno mettendo a rischio la pace e la stabilità autorizzando consapevolmente trasferimenti di armi verso regimi repressivi, regioni di estremo conflitto e paesi che non possono permettersi di rifiutarle?» si chiede Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty International. Bisogna quindi appoggiare la richiesta del governo britannico e di altri dieci paesi per una moratoria internazionale e un trattato condiviso. Per questo Barbara Stocking, direttrice di Oxfam, si augura che il convegno dei potenti possa essere un’occasione di confronto per «avviare un percorso che porterà alla sua adozione».

Siamo quindi giunti alla prova del fuoco: forte dell’adesione alla campagna di venti premi Nobel per la pace, oltre a 15 paesi, tra cui Brasile, Cambogia, Costarica, Finlandia, Kenia e Gran Bretagna, il ministro degli Esteri britannico Jack Straw aveva promesso a suo tempo che avrebbe sostenuto la causa davanti ai suoi omologhi quando si sarebbe presentata l’occasione. Questo è il momento.

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