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Ancora "L’altro" e i fasciofuturisti

Publie le venerdì 4 settembre 2009 par Open-Publishing
12 commenti

Il giornale “L’altro. La sinistra quotidiana” (ma sarebbe meglio dire il “radical-chic quotidiano”) continua con i sofismi anti-antifascisti proprio mentre ogni giorno aumenta la violenza della destra di governo e dei fascisti di strada. E continua a strizzar l’occhio ai “ragazzi di CasaPound”.

Non è un mistero che in tempi di crisi economica le élite dominanti abbiano sempre promosso politiche autoritarie, razziste, familiste, sessiste e omofobe. Non è un mistero che Fascismo e Nazismo siano regimi nati dalla crisi del 1929. Né si può dubitare che oggi stia avvenendo qualcosa di analogo sotto i nostri occhi. Cioè che la fascistizzazione e il disciplinamento sociale siano una risposta preventiva alla crisi economica.

Basta leggere quei vecchi libri passati di moda che non piacciono più ai sinistri giornalisti radical-chic. Un esempio a caso:

«Tutti i governi della repubblica tedesca dopo il settembre 1930 rappresentavano un regime presidenziale piuttosto che un governo parlamentare. Essi governavano con decreti d’emergenza invece che con la normale procedura parlamentare. Questo enorme aumento del potere d’emergenza era naturalmente in flagrante contraddizione con lo spirito della Costituzione benché forse non andasse contro la sua lettera. Nel suo primo periodo esso servì principalmente per investire le autorità esistenti di poteri straordinari per sopprimere quella che a torto o a ragione era considerata una minaccia o un pericolo per l’ordine repubblicano» (Karl Korsch, Scritti Politici, Bari, Laterza, 1975).

Eppure Andrea Colombo, ex dirigente di Potere Operaio, ex politico rampante, ex portavoce di Rifondazione comunista al Senato quando il pacifista Bertinotti era il numero tre dello Stato e benediva i militari della Folgore, non si riesce a capacitare e scrive su “L’altro”:

«In ultima analisi, l’origine materiale dell’ideologia che fa dell’odio antifascista il dovere primo del buon credente di sinistra è proprio nella memoria storica (fondata) che identificava nei fascisti le guardie nere del capitalismo. Dubito tuttavia che questa immagine, senz’altro in buona parte valida fino alla metà degli anni ’70, e certamente in alcuni casi anche oggi, si possa applicare universalmente, ignorando i percorsi e le sterzate profonde della cultura dell’estrema destra a partire dalla fine dei ’70».

Notare la frase un po’ contorta e contraddittoria. Quali sterzate? Colombo non lo dice, lo accredita come un dato di fatto. Ma forse, da vari anni, la sterzata è la sua. Ci sarebbe dunque un fascismo buono e anticapitalistico?

Forse invece c’è chi ha attraversato gli anni Settanta senza capirne molto. C’è chi credeva di far parte di un movimento religioso e di essere un “buon credente”. Poi ha scoperto che i neofascisti non hanno sei occhi o le branchie. E ora dubita della sua stupidissima “fede”.

Come si sa, l’ideologia del Fascismo è nata storicamente da una rete di scambi e ibridazioni tra “destra” e “sinistra”, combinando lotta di classe e nazionalismo, dittatura del proletariato e stirpe eletta, socialismo e razzismo.

L’ideologia fascista da sempre si è alimentata di discorsi rivoluzionari e libertari per virarli verso l’autoritarismo. Per questo la resistibile ascesa del fascismo porta sempre con sé persistenti fenomeni di collaborazionismo e mimetismo politico. Per questo i neofascisti sono tanto interessati a fare discorsi “di sinistra”, “anticapitalisti”, “rivoluzionari”, “antimperialisti”. Non da oggi è la loro strategia.

AAP - Bologna

Messaggi

  • Veramente la marcia su Roma e la presa del potere di Mussolini sono del ’22, qualche anno prima della crisi del ’29.

    • se è per questo il Fascismo nasce nel 1919 del tutto.
      Ma è evidente che sono stati i fascisti a provocare la crisi del ’29, affamando miliardi di proletari di tutto il mondo e gettando nella rivona e nella disperazione (razzisticamente) milioni di popoli oppressi del Terzo Mondo, in modo che la crisi stessa, retroattivamente, li creasse, in un circolo vizioso spazio-temporale che fluttua tra P.K. Dick e Nathan Never.
      Chi non ci crede è un fascista, ed ucciderlo non è reato

    • Vabbè, è evidente che nel comunicato c’è scritta una cazzata.

      Il discorso sulle crisi economiche come concausa della nascita di dittature di destra è senzaltro vero in generale .... è vero, anche se solo in parte, per l’avvento al potere di Hitler .... non c’entra nulla con l’avvento invece al potere di Mussolini ...

      Anche se certo non è che le condizioni economico/sociali dell’Italia uscita dalla prima guerra mondiale ( anche se formalmente tra le nazioni "vincenti" ) fossero poco disastrose e che ciò non abbia influito negli avvenimenti ....

      Una volta detto questo, però, mi sembra che su questa cazzata si cerchi di costruire una non credibilità più generale del discorso ... che c’entra poi tutto questo con lo stupido slogan sull’ "uccidere un fascista non è reato" proprio non lo capisco.

      Se quindi vogliamo fare i precisini va detto che quello slogan - senz’altro stupido, lo ribadisco, anche volendo era difficile ammazzare qualche milione di persone ... - nasce non come "programma generale" ma da un fatto ben specifico, avvenuto nel 1972 a Salerno.

      Dove un gruppo di anarchici locali fu aggredito da un gruppo di fascistelli locali ma alla fine, tra vari feriti, compreso il maestro Francesco Mastrogiovanni, morto ad agosto scorso dopo un cosiddetto "trattamento sanitario obbligatorio" sempre in quel di Salerno, per terra ci rimase senza vita uno dei fascistelli aggressori, Carlo Falvella.

      Per questa storia fu arrestato e condannato un altro degli anarchici, Giovanni Marini, pure lui ferito, e quello slogan, ribadisco assai stupido e politicamente controproducente, divenne la "sigla" delle manifestazioni - che si protrassero per anni - in sua difesa.

      Ho già detto spesso, anche su queste pagine, che la guerra privata tra "fascisti" e "comunisti" degli anni settanta, condotta in una logica da "ragazzi della Via Paal" per il controllo del territorio ( comunque cosa ben distinta e storicamente precedente i cosiddetti "anni di piombo"), fu una cazzata madornale.

      Ma voler tirare per forza questo clima fino ai giorni nostri ... o comunque voler dimenticare il fatto che i morti "di sinistra" di quella guerra furono almeno quattro volte di più di quelli "di destra" .... mi sembra uno dei tanti lati del dilagante revisionismo storico .....

      K.

    • Post Scriptum

      A dimostrazione di come nel tempo le cose cambiano notevolmente, sapete chi era il principale avvocato difensore dell’anarchico Marini in quel processo ?

      Gaetano Pecorella .....

      E sapete chi c’era tra i fermati per una violenta manifestazione in difesa di Marini in quel di Napoli ?

      Paolo Liguori e Gianfranco Miccichè ...

      K.

    • Comunque Fascismo e Nazismo sono nati dalla crisi economica degli anni Venti che portò al crollo del 1929, e dopo il 1929 si imposero come regimi compiutamente totalitari. E anche negli USA vi fu negli anni Trenta una forma di autoritarismo violento per disciplinare la società e gli scioperi dei lavoratori. Alla crisi economica il capitalismo risponde mettendo nel cassetto lo smoking democratico-liberale e indossando la divisa militare.

      Se poi questa crisi sia passeggera oppure strutturale, nessuno possiede la sfera di cristallo. Ma i segnali economici, sociali, politici, culturali, ecosistemici sono abbastanza indicativi di una crisi complessiva.

      Che Liguori o Micciché o Maroni abbiano trascorsi di estrema sinistra, non fa che confermare il discorso. Il fascismo è la lotta di classe rovesciata dei potenti contro i senza potere. E chi può condurre questa lotta di classe rovesciata se non chi ha esperienza di come si lotta. Mussolini veniva dal socialismo rivoluzionario. Una volta c’erano le ronde proletarie e ora le ronde leghiste. Eccetera.

      Quanto all’odio verso i fascisti, mi pare che oggi in Italia ci sia solo la cultura dell’odio che i fascisti spandono a piene mani: aggressioni a migranti, gay, lesbiche, compagni, leggi xenofobe, respingimenti, ecc. L’odio non serve, ma nemmeno coccolare dei picchiatori sperando di rabbonirli, oppure offrire agli stragisti dei NAR una patente d’innocenza.

      L’altro è un giornale penoso di sé, inutile e servile. Finiranno tutti a fare gli intellettuali snob nelle file del prossimo regime. Tipo Marinetti.

    • In verità il fascismo si impose come "regime compiutamente totalitario" già nel 1925, dopo la crisi politica legata all’uccisione di Matteotti.

      E nel 1925, almeno in Italia, segnali che annunciassero la crisi del 1929 proprio non ce n’erano ... c’era sì una miseria endemica, al limite della fame più nera in molte zone del paese, l’intero meridione ma anche importanti zone del nord come il Veneto.

      E sicuramente questo, come dicevo, non fu certo ininfluente ... ma era un qualcosa che durava da decenni se non da sempre .... e certo questa miseria non era quindi un elemento di novità ....

      Quindi, se è senz’altro vero che le crisi economico/finanziarie coi loro drammatici risvolti sociali favoriscono pressochè regolarmente l’instaurarsi di regimi di destra ... questo non toglie che nel comunicato, immagino redatto da compagni molto giovani, ci sia scritta storicamente una significativa cazzata ...

      E cercare di negarlo è una cazzata ancora più grossa ....

      K.

    • Guarda, parlavo ieri con un elettore fanatico di Berlusconi che sosteneva che oggi non c’è affatto crisi economica e che questa della crisi è l’ennesima balla architettata dal catastrofismo antipatriottico della sinistra.

      La povertà stabile è qualcosa di differente dalla crisi economica. Tant’è vero che per secoli c’è stata povertà in Italia, ma solo nel 1919-1920 ci sono stati, dal nord al sud, nelle città e nelle campagne, tumulti operai e contadini contro l’aumento dei prezzi e la mancanza di lavoro.

      “Il Biennio Rosso (1919-1920) è la locuzione con cui alcuni storici chiamano il periodo della storia italiana immediatamente successivo alla prima guerra mondiale in cui si verificarono soprattutto al nord mobilitazioni contadine, tumulti annonari, manifestazioni operaie, occupazioni di terreni e fabbriche con in alcuni casi tentativi di autogestione. [...] L’evento che segnò con forza l’apertura del biennio fu l’ondata di moti contro il caroviveri [...]”

      http://it.wikipedia.org/wiki/Biennio_rosso

    • Ma infatti il fascismo nasce come diretta reazione borghese al "biennio rosso".

      Il nazismo invece prende il potere quando i "rossi" tedeschi sono già stati annientati dai socialdemocratici della Repubblica di Weimar.

      Il primo quindi, anche se bisogna pure considerare il gran casino creato nelle coscienze ed in particolare nella sinistra di allora dalle questioni inerenti la prima guerra mondiale ( neutralismo o interventismo), è direttamente uno strumento del padronato da lanciare come "forza bruta" contro le lotte operaie e popolari.

      Il nazismo, invece, a lotte operaie e popolari già pesantemente sconfitte in Germania, è indubbiamente più direttamente figlio della crisi economico/finanziaria, anche se pure in quel caso le conseguenze della prima guerra mondiale ( particolarmente umilianti per la Germania sconfitta) ebbero un peso non indifferente.

      Raf

    • Ma mi sembra che, una volta notata l’imprecisione, sarebbe stato il caso di trattare il problema posto dall’articolo: il revisionismo che nasce da figure che si presentano come alternative e anticonformiste.
      E’ un filone lungo, nato ben prima delle uscite di Colombo, che è stato spesso tollerato, o sottovalutato.
      Per questo discuterne è scomodo per molt*, e ogni espediente per spostare il discorso viene colto al volo.

    • Credo sinceramente che Colombo, rispetto alla querelle sulla responsabilità di Fioravanti e c. per la strage di Bologna, abbia sostanzialmente ragione.

      Quel processo, del quale ho pure studiato gli atti, non convince nemmeno me.

      Certamente però poi Colombo è andato ben oltre la semplice constatazione su un processo assai poco convincente e come già altri personaggi di sinistra che si sono cimentati sullo "studio" dei fascisti ha finito per farla, come si suol dire, "fuori dal vaso" .... ma era già successo precedentemente con Provvisionato, Tassinari, Luca Telese .....

      In tutti i casi malafede ? Non mi sento di essere così netto e categorico. Ma nemmeno il tutto si può spiegare, come fa Tassinari, con la cosiddetta "sindrome di Stoccolma", cioè con l’oggettivo rischio di innamoramento dello studioso per l’oggetto dei suoi studi.

      Il caso di Sansonetti e del suo giornaletto invece non mi crea il minimo dubbio, la sua è malafede totale ed è legata alla sua dichiarata volontà - già dai tempi della direzione di "Liberazione" - di "distruggere" i miti del novecento, antifascismo compreso.

      Oltre che alla maledetta mania di stupire gli interlocutori tipica di personaggi autoreferenziali ed esibizionisti come lui.

      Ma mi sembra innegabile che, per il caso di Sansonetti, di fatto eletto a figura paradigmatica di Sinistra e Libertà ( la sua sacrosanta cacciata da "Liberazione" è stata addirittura la scusa formale di Vendola e c. per fare la scissione ), le responsabilità politiche vanno ben oltre il suo pittoresco ed ineffabile personaggio ...

      Raf

    • da l’Altro del 6/9

      di Massimiliano Smeriglio

      Confesso un limite, sono antifascista e faccio fatica a seguire la discussione sulla memoria condivisa. Sarà perché ogni 24 marzo mi ritrovo alle Fosse ardeatine per portare un fiore a mio nonno e agli altri 334, sarà perché continuo a fare politica per le strade di una città, Roma, attraversata da una ondata di violenze quotidiane contro ogni forma di diversità, sarà perché l’assassino di Renato Biagetti ha una bella celtica tatuata sul braccio, sarà perché Carla Rina Verbano mi ricorda ogni volta che sono trenta anni che aspettiamo verità e giustizia per Valerio.

      Non condivido l’articolo di Casamassima: è sempre strumentale e sbagliato comparare le peggiori pratiche dei neofascisti alla Gianni Guido con le nostre migliori intenzioni.

      Ma non capisco neanche il lancio di Andrea Colombo colto al volo dal fascista (per sua definizione) Mancinelli. Non capisco a che serve e a chi serve questa discussione. L’Altro è un giornale curioso. Il giorno in cui apre una discussione seria e letteralmente spiazzante con l’intervista a Sabino Acquaviva che ci spiega in maniera efficace quanto sia stata grande la tragedia dell’unità d’Italia, contestualmente e contraddittoriamente rilancia la discussione sulla memoria condivisa.
      Acquaviva riprende un dibattito antico, che io condivido, tra l’organizzazione municipale del pubblico e la vulgata dello Stato nazionale. In fondo il nostro Paese ha funzionato meglio durante l’esperienza straordinaria delle città-stato nel medio Evo e del Rinascimento che non dentro la costruzione lenta, elitaria e controriformata dello Stato nazionale, costruzione risoltasi con un colpo di mano militare contro le comunità popolari e contadine del nostro Paese.

      La straordinaria modernità della repubblica di Firenze e di quella di Venezia hanno molto da insegnarci, così come tutte le altre esperienze di governo di prossimità, compresa la repubblica del Carnaro. I Comuni medievali sono il precedente cronologico della repubblica di Rousseau e i Municipi antichi sono il precedente cronologico dei Comuni medievali. Ben oltre Acquaviva c’è da imparare e scavare anche dalla esperienza repubblicana romana alla base della quale vi era la centralità della rete delle città.

      Lo scontro tra statalisti e municipalisti - comunitari si è sviluppato nei secoli in tutta Europa: la federazione comunale di Poitiers del 1137 contro Luigi VII, la Lega lombarda che nel 1176 contro l’imperatore Federico I, la lega renana del 1254, la lega anseatica del 1241, la confederazione elvetica nel 1291, l’esperienza del tribuno Cola di Rienzo a Roma, il movimento dei comuneros del 1521 contro Carlo V in Spagna, la Costituzione francese del 1793 democratica e municipalista. Si potrebbe continuare. Ho fatto questi esempi per dire che esiste un pista di ricerca interessante, eterodossa e trasversale per provare a ripensare le derive e gli approdi della nostra discussione e delle nostre memorie.

      Le domande in fondo sono semplici: quali memorie? E condivise tra chi?

      Il dibattito sulla memoria condivisa si è aperto e consumato una quindicina di anni fa intorno alla costruzione ideologica della seconda Repubblica dei "post fascisti" e dei "post comunisti" alle prese con il tanto agognato accesso alla sala dei bottoni. Una fiammata consumata in un nulla di fatto. Anche in quel caso giocata tutta sul piano tattico del riconoscimento reciproco. Il perché del fallimento di una operazione spericolata di ridefinizione del pantheon repubblicano appunto lo dobbiamo cercare nella pista interpretativa aperta da Acquaviva.

      Esclusi il presidente della Repubblica e quello della Camera nessuno sembra essere interessato ad una operazione culturale di rafforzamento dello Stato nazionale. Non mi sembra che i preparativi per le celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia godano di ottima salute. E ne sono felice, anche se questa traiettoria si è imboccata non per consapevolezza delle comunità locali spinte verso la centralità della dimensione europea, ma per sfinimento e per sciatteria di una classe politica che non rivendica memorie.

      Quale è la memoria della Pdl, quale il suo disegno culturale da proporre al Paese? Boh chi lo sa, non pare essere questo l’assillo di Berlusconi.

      Quale è la memoria del Pd, quale la sua rielaborazione della vicenda storica nazionale? Tranne le parole di circostanza sul primo e secondo Risorgimento (e quindi la solita menata sulla Resistenza come lotta di liberazione dallo straniero con relativo occultamento della guerra civile e delle aspirazioni di classe) null’altro è dato sapere.

      Di Pietro vive alla giornata, della Sinistra non parliamo per carità di patria, bastano le parole della Rossanda di venerdì sul Manifesto: chi non ha testa e parole (Rossana) come fa ad avere memoria (aggiungo io)?

      Solo la Lega ha investito sulla costruzione a tavolino di una memoria padana che pare funzionare almeno per il consenso low cost.

      Ma allora quando si parla di condividere memoria di cosa stiamo parlando?

      Se non esiste più un progetto di Paese, se la edificazione della seconda Repubblica è divenuta guerra per bande per l’occupazione dei poteri, se non esistono più luoghi in grado di prefigurare pensieri lunghi e coinvolgenti, non può esistere memoria e quindi non può darsi condivisione.

      Sono le forze politiche in campo e i relativi blocchi sociali a non disporre di memorie di parte consolidate, le hanno messe in palio nella lotteria delle compatibilità e le hanno perse.

      Se poi una discussione così ambiziosa e impossibile si deve ridurre, per mezzo de L’Altro, alle stilettate o alle pacche sulle spalle tra gli ex combattenti e reduci degli anni settanta, tra ex pistoleri marxisti ed ex squadristi, a me pare davvero inchiostro sprecato.

      Se Colombo e Mancinelli quella discussione l’avessero fatta che so nel ’78 forse sarebbe stata utile e magari avrebbe evitato un po’ di sangue e di morti. Non l’hanno fatta né loro né i loro compagni e camerati e forse ci saranno state ragioni profonde per il mancato incontro tra il Lambro e gli Hobbit.

      Oggi è una discussione che non c’entra più nulla con il Paese reale e con la sua ricerca di leggera smemoratezza. E francamente non c’entra nulla con la violenza razzista e omofoba che attraversa
      le periferie urbane.
      Se proprio ci dobbiamo impegnare in una ricostruzione culturale e nella riproposizione di memorie meglio seguire Acquaviva nella sua opera di disarticolazione di ideologie giustapposte rilanciando la vicenda dei luoghi e delle comunità locali nello spazio pubblico europeo piuttosto che ascoltare le canzonette di un fascista del terzo millennio. Che ad un orecchio profano come il mio sembrano persino brutte.

      http://www.altronline.it/dibattito-memoria

    • Sì, una boiata pazzesca, ma andiamo oltre.

      A mio avviso la questione è se è vero che vi siano analogie tra il nostro presente e gli anni che hanno preceduto le grandi dittature europee degli anni Trenta. Perché anche negli anni Venti c’era chi, a sinistra, parlava di equidistanza, serenità e pacificazione con i fascisti, prima e dopo il delitto Matteotti. Erano discorsi che mascheravano l’ansia di contare qualcosa e la volontà di saltare "con dignità" sul carro del vincitore. E furono in tanti.

      Se vi sono analogie, l’antifascismo (che non è una forma di ginnastica, né un rito sacro) NON risulta un residuo inservibile da buttar via, ma da reinventare in modi nuovi e adeguati alle sfide attuali. E chi pronuncia la parola "sinistra" mentre fraternizza con i picchiatori fascisti e non con chi viene picchiato, è una persona che sta altrove e forse venderebbe la mamma per avere quel che rincorre. "Chi pecca nelle piccole cose, peccherà anche nelle grandi" (Vangelo di Luca, 11 o 16, non ricordo).

      Quanto alla strage del 2 agosto, non si può dimostrare quale persona abbia trasportato negli ultimi cento metri la bomba, ma è provato che l’azione fu condotta dai NAR per alcuni elementi accertati (Sparti, l’appunto di Cavallini e qualcos’altro). La pista palestinese agitata da Colombo (e da Cossiga) non è basata su alcun elemento, su alcuna prova, su alcun indizio, pretesto o remota verosimiglianza. La pista CIA-Mossad avanzata da Carlos non ha alcun riscontro né verosimiglianza.

      D’altro canto, perché lo Stato libera Fioravanti proprio nella ricorrenza del 2 agosto (e non, mettiamo, una settimana dopo quando non se ne sarebbe accorto nessuno) se non per rivendicare allusivamente il proprio operato (depistaggi continui e altre implicazioni...)? C’è un libro abbastanza grigio, ma almeno non disonesto e mistificatorio come quello di Andrea Colombo (altro che sindrome di Stoccolma!), che s’intitola "Tutta un’altra strage" edito dalla Rizzoli, credo nel 2007.

      E non mi si dica che qualcuno si è letto gli atti dell’inchiesta perché si tratta di centinaia di metri cubi di carta. È stato un processo quanto possibile onesto, in cui gli imputati hanno cambiato versione mille volte, hanno beneficiato di depistaggi ad opera dei vertici dei servizi segreti e della P2, hanno goduto di trattamenti di favore rispetto a tanti altri assassini.

      Gli anni dello yuppismo hanno abituato alla creatività arbitraria e alla trasgressione gratuita. Bastava dire l’esatto contrario di ciò che è accertato (ad es. "L’isola di Sumatra si trova su Giove") per fare un discorso interessante. "La fine della storia", "la fine del lavoro", "la scomparsa degli operai", "il lavoro immateriale", "il cognitariato", "la new economy", "la fine delle ideologie", "l’uscita dal Novecento", "e se fossero innocenti?"...

      Colombo non fa eccezione. Ha ripetutamente paragonato l’antifascismo a una forma di razzismo. Che è un modo per dare legittimità "democratica" a chi, come i "fascisti del terzo millennio", propaganda sotto forma di nazionalismo sociale un’ideologia xenofoba e razzista.