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Angelo Frammartino: l’odio contro cui si batteva e il grido strozzato in gola

Publie le lunedì 14 agosto 2006 par Open-Publishing

Pacifista, comunista e nonviolento il suo e il nostro cammino

di Giovanni Russo Spena

A Gerusalemme, vicino alla Porta di Damasco, il più importante villaggio
del meticciato globale, è morto Angelo Frammartino, un nostro ragazzo,
uno di noi. Faceva cooperazione, costruiva ponti tra i popoli, gettava
semi di vita, come i nostri figli.

Sono addolorato; un giovane comunista muore per mano di un figlio del
popolo da lui più amato. E’ il paradosso della gerra globale, forse. E’
certo la materialità di un grido strozzato: liberazione o barbarie,
degrado di civiltà, corrompimento di rapporti sociali.

Sento ciò anche come una nostra sconfitta: non siamo stati in grado
fermare la guerra, di dare a ogni popolo il suo Stato. Non siamo
riusciti a evitare che la violenza dell’aggressore sfregiasse il viso
anche dell’aggredito.

Angelo lo aveva compreso e scritto: «La violenza che c’è nel mondo non
ne consente altra. La nonviolenza, come il comunismo, è a un tempo una
finalità, una metafora, un pecorso». Questo giovane ci insegna il
futuro. La sua vita, stroncata troppo presto, e le sue riflessioni ci
indicano la strada del pacifismo contemporaneo.

Quella strada non passa solo per la riaffermazione della convivenza e
del dialogo contro le culture dell’intolleranza e dell’odio. Ci impone
anche di ripensare dalle fondamenta la concezione della politica: non
più un qualcosa che si distingue dalla guerra solo per i diversi mezzi
che adopera, ma una pratica che con la guerra è sempre e comunque
inconciliabile. Una cultura e una concezione del mondo opposte a quelle
dei bombardieri israeliani che devastano il Libano o dei terroristi che,
a Londra, progettavano una nuova orrenda strage di civili.

Questo era il senso dell’impegno politico di Angelo, e del nostro, della
sua nonviolenza e della nostra. Se è giusto definirlo una vittima
innocente, non lo è fingere che sia morto per caso, come un passante
capitato per coincidenza in mezzo a una rissa. Angelo è morto per la
scelta di operare concretamente e coraggiosamente per la pace,
nonostante i rischi che sempre comporta l’impegno non violento dove la
violenza è ancora sovrana.

Oggi non posso fare a meno di ripensare agli sguardi di odio che avevo
colto, qualche mese fa, a Gerusalemme, negli occhi dei giovanissimi
israeliani e palestinesi, gli adulti di domani. Nati dalla violenza e
dalla distruzione, dall’occupazione, dalle bombe, dagli attentati.

Quegli sguardi promettevano nuova violenza e nuova distruzione, nuove
stragi.

Contro quell’odio si batteva Angelo. Fermare quella spirale è il nostro
dovere. Ed è anche il solo modo per ricordare Angelo Frammartino, nostro
compagno, e per difenderne la memoria contro gli sciacalli che
vorrebbero usare la sua morte per combattere quello in cui credeva, per
capovolgere cinicamente il senso della sua intera vita.

Non lo permetteremo.

Liberazione 12.08.06