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Ankara, tanta voglia d’Unione
Le ambizioni europee del governo turco che minimizza le accuse per le sue violazioni
di ORSOLA CASAGRANDE
Il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha negato che nel suo paese esista la tortura. Tanta è la smania di entrare nell’Unione Europea («non posso nemmeno pensare all’eventualità che la Ue non avvii i negoziati per il nostro ingresso - ha detto il primo ministro - sarebbe una catastrofe») che Erdogan si è spinto addirittura a negare le sistematiche violazioni dei diritti umani più elementari. «Chi dichiara che la tortura esiste - ha detto in un’intervista al tedesco Der Tagesspiegel - è accecato dall’ideologia». Il rapporto che la Ue pubblicherà oggi parlerà di «tortura non più sistematica anche se numerose sono le denunce di abusi e gli sforzi per sradicare tali pratiche devono continuare», ma per Erdogan «in tutti questi rapporti sulle torture mancano le prove». E forse è anche per questo costante negare che i kurdi sostengono che l’ingresso nella Ue potrebbe portare finalmente alla luce gli abusi e le violenze, oltre che dare una spinta verso una soluzione negoziata della questione kurda.
Ma al momento sembra più un’illusione che una concreta possibilità.Il partito islamico dell’Akp (il partito della giustizia e dello sviluppo) ha esercitato un incredibile pressing in queste ultime settimane per convincere anche i più scettici membri della Ue che finalmente è arrivato il momento giusto per aprire alla Turchia. Erdogan si è speso in prima persona in tal senso, andando in giro per mezza Europa a rilasciare interviste ed incontrare capi di stato.
Non c’è dubbio che l’interesse dell’Akp a ricevere un sì dalla Ue non è solo una questione di facciata. La Turchia ha sempre guardato ad ovest per motivi economici e politici. L’occidentalizzazione è sempre stata il fattore legittimante del sistema turco, della sua ideologia ufficiale, del kemalismo. E’ vista insomma come la via verso la modernizzazione. Inoltre non è un mistero che quella che l’economista Haluk Gerger chiama la «sottosviluppata e per questo insicura borghesia turca» ha bisogno di una sorta di cappa di protezione dall’Europa. «In generale però - ricorda Gerger - i turchi non vedono la Ue come un progetto culturale e nemmeno condividono la visione di una ricchezza comune basata su alcuni valori. Lo sciovinismo e il militarismo turco impediscono tale identificazione con la personalità, cultura, valori europei».
Erdogan ha riposto nella Ue grandi ambizioni. Spera che entrare in Europa gli conferisca uno status politico particolare e pesante, cioè influente. Oltre naturalmente a far confluire denari nelle casse tuttora a secco del paese: in fondo la Ue è vista come il modo per entrare in contatto con l’economia internazionale e con il capitale. Ma i progetti e le ambizioni di Erdogan vanno a cozzare non tanto contro le resistenze (fiacche) dell’Europa, quanto piuttosto con le difficoltà interne al paese. L’Akp infatti non è il partito islamico moderato che tanto decanta Erdogan, almeno non in tutte le sue componenti.
Non è un caso che il parlamento abbia negato agli Stati uniti (che hanno dovuto usare percorsi alternativi per l’invasione) l’uso delle basi militari per attaccare l’Iraq e non abbia inviato truppe. E non è nemmeno un caso che Erdogan abbia fatto la voce grossa con Israele, condannando gli omicidi «mirati» per quello che sono, cioè omicidi di stato. Il premier deve sempre stare attento a tenere buona l’ala più integralista del suo partito.
Inoltre ci sono le forti critiche della sinistra. L’Unione europea infatti propone un programma economico che non si discosta poi troppo da quello del Fondo monetario internazionale, imponendo privatizzazioni, tagli nei salari, innalzamento dell’età pensionabile. Per la Ue è importante invece (oltre a quello economico) il ruolo strategico e militare della Turchia. Questo ruolo militaristico, dice Haluk Gerger, «aumenterà il potere dell’establishment militare». Con due conseguenze opposte, «la spesa militare aumenterà a scapito dello sviluppo economico e andrà quindi contro la democratizzazione grazie al rafforzamento dell’esercito e del militarismo intesi come ideologia e valore culturale».
Alla fine le flebili resistenze dell’Europa cadranno. Mentre continua a consumarsi nell’indifferenza totale dell’occidente la tragedia dei detenuti politici che nelle carceri turche continuano a lasciarsi morire di fame (sono già 117 le vittime). Protestano contro la politica di isolamento, le torture (pratica diffusa, checché ne dica Erdogan), le scomparse, la guerra. Già, perché in Turchia è ricominciata la guerra. Di un esercito contro gruppi di guerriglieri (o spesso inermi abitanti di villaggi, pastori) del Kongra-Gel (ex Pkk) e della formazione comunista del Dhkp-C. Contro questi guerriglieri il governo turco non lesina certo la forza. Ma anche il ricorso a pratiche che ricordano tristemente quelle americane ad Abu Ghraib. Guerriglieri con la testa mozzata ed esibita dai soldati come trofeo. Mutilazioni sui corpi ormai esanimi dei guerriglieri, spesso trascinati nei villaggi perché la gente «impari la lezione». Di questo l’Europa tace.
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/06-Ottobre-2004/art36.html




