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Arci e sindacati di base di fronte al fragile cambiamento politico: eliminare la precarietà del lavoro
Publie le giovedì 13 aprile 2006 par Open-PublishingBattere il liberismo per battere le paure
di Francesco Piccioni
Movimenti e sindacati di base hanno in genere vissuto con apprensione la giornata di lunedì. Troppo forte era l’esperienza della «sordità» del governo Berlusconi alle istanze di queste parti sociali per non sperare ed agire per il cambio. La debolezza politica del centrosinistra, però, appare altrettanto chiara, soprattutto per quanto riguarda la capacità di «leggere» il paese reale e agire per conquistarne il consenso. Nella frattura elettorale Paolo Beni, presidente dell’Arci, vede «lo specchio della crisi della società europea di fronte alle trasformazioni di questi anni», con «il liberismo che provoca squilibri» cui la società risponde con «senso di insicurezza, paura del nuovo, chiusura corporativa in difesa dei propri interessi».
Qualcosa di simile vede anche Piero Bernocchi, leader dei Cobas della scuola, secondo cui Berlusconi è stato capace di portare a votare «il popolo dei condoni», che «non è la ’borghesia’ (quella casomai sta con l’Unione)», ma strati di «abusivismo popolare», di «mentalità da piccoli proprietari che convive con i problemi della precarietà del lavoro proprio o dei figli». Strati che hanno visto nel berlusconismo uno «scudo protettivo» e che non possono essere affrontati solo con la minaccia «non vi faremo più fare come prima», senza «offrir loro un’alternativa» in termini di stabilità occupazionale e welfare. Ha tirato un notturno sospiro di sollievo anche Fabrizio Tomaselli, coordinatore del Sult del trasporto aereo.
Ma si chiede se il governo Prodi sarà capace di «dare subito risposte» su temi come «la precarietà e la legge 30». Il timore è che il centrosinistra possa cadere, come già dopo il ’96, «nella logica per cui, se ci sono problemi politici, questi vengono scaricati sulla contrattazione, vedi la legge sulla rappresentanza che ancora non c’è o sul diritto di sciopero». E poi la questione della «riduzione del 5% del cuneo fiscale» promessa da Prodi. «Chi lo paga?», chiede Tomaselli, perché «non possono essere i lavoratori a finanziare le aziende». Di fronte ale alternative «concertazione o conflitto», però, i punti di vista non sono ancora definiti per tutti. Beni si limita per ora a chiedere che il centrosinistra applichi il suo programma, senza indulgere alla prospettiva di «improbabili e ambigue grandi intese».
Per Pierpaolo Leonardi, coordinatore delle RdB, «il mondo del lavoro non ha bisogno di una nuova stagione di concertazione, ma di una forte inversione di tendenza che ridia valore al lavoro». Bernocchi, sul «che fare», vede la necessità di «attivare il conflitto sociale». Non per il gusto della lotta, ma come occasione - anche per i partiti della sinistra radicale - di «uscire dalla trappola paralizzante» costruita da una maggioranza risicata e da «tutti i tentativi di inciucio che ora andranno avanti, sospinti dai poteri forti». Sul tema centrale da affrontare, invece, il coro unanime: «La precarietà del lavoro, specie giovanile».
E la Francia anti-Cpe fa finalmente capolino come esempio di dialettica politica tra movimenti e istituzioni. In un paese, è chiaro, dove «lo stato» è parola dotata di un senso condiviso.
il manifesto