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Arcobaleno in pezzi È fuori dal parlamento
Publie le mercoledì 16 aprile 2008 par Open-Publishing3 commenti
Arcobaleno in pezzi È fuori dal parlamento
Sara Menafra
Roma
«Facciamo un conto semplice. Sommiamo i dati delle elezioni del 2006 e dividiamoli per tre: rifondazione prendeva il 7,2, comunisti italiani e verdi il 4,2 e siamo all’11,4. Siamo pessimisti e diciamo che Fabio Mussi avrebbe preso lo 0,5, siamo al 12%. Ecco due elettori su tre non ci votano più». La stima del dirigente di Rifondazione che chiede l’anonimato è ottimista.
Perché, ieri, a metà pomeriggio, Sinistra arcobaleno s’è svegliata cancellata dal parlamento e con una percentuale ben lontana dal 4%. .
Un risultato peggiore della peggiore delle previsioni, quella interna, che li dava al 6 per cento e quindi con un dato già molto negativo rispetto al passato. E invece, le proiezioni di mezzanotte, a scrutinio quasi ultimato, vedono, per il senato, Sinistra arcobaleno al 3,217%, con 1.037.126 voti assoluti, stando ai dati del Viminale. Alla Camera va ancora peggio: 3,084% e 1.032.345 schede.
Dunque siamo al milione o poco più, il che vuol dire che per ogni elettore tornato a sinistra tre sono andati altrove, o rimasti a casa, se ricordiamo che alle elezioni del 2006 i partiti iridati avevano ottenuto 3 milioni e 8 centomila voti. Fausto Bertinotti ha accolto la mazzata con un discorso addolorato e un annuncio di dimissioni: «Il mio ruolo di direzione termina qui, questa sera. La mia attività continua, continuerò a dare una mano ma la mia stagione si conclude qui». Si sa già che il Pdci ha brindato e che Rinascita, il giornale del partito stamattina aprirà col titolo «Bye bye Bertinotti», cinica sintesi di un matrimonio nato sognando il divorzio.
«Eppure questa sconfitta non è nostalgia della falce e martello, perché i due partitini che portavano il simbolo hanno preso percentuali da prefisso telefonico», spiega un dirigente del Prc: «Piuttosto, ragionando a spanne, si può già dire che la sinistra perde due voti su tre e che uno va al pd e l’altro all’astensione». Tutto vero: alla camera, il Partito comunista dei lavoratori, di Marco Ferrando, prende lo 0,599% con 111.424 voti, Sinistra critica, che candidava premier Flavia D’Angeli è ancora sotto, allo 0,467%, (86.740).
E’ andata male ovunque, ma soprattutto è andata malissimo negli storici bacini della sinistra. La Toscana, ad esempio. Qui, nel 2006, al senato la sola Rifondazione comunista prese l’11,1% (258.196 voti), Insieme con l’Unione, la lista che riuniva Pdci e Verdi, arrivava al 4,9 (114.215 voti). Oggi sembra un’altra regione: l’intera sinistra arcobaleno è al 5,1% (104.573 voti).
Altro bacino importante era la Campania, dove la sinistra interna ai Ds era determinante (Antonio Bassolino ne ha fatto parte per anni) e Rifondazione comunista aveva numeri di tutto rispetto. Al senato, l’intera alleanza pare aver preso il 2,8% con 65.775 preferenze. Nel 2006, Rifondazione comunista era al 6,6, con 202.083 voti, Insieme con l’Unione al 3,7 con 113.686 e anche se è difficilmente quantificabile lo spostamento da parte a parte, i Democratici di sinistra tutti assieme prendevano il 14,1% (429.898 voti).
Infine, va molto male in Puglia, la regione del miracolo Nichi Vendola, candidato mancato e sospirato leader della sinistra unita. Certo, c’è stata la mazzata dell’indagine sul capolista alla camera, il verde Alfonso Pecoraro Scanio, ma non risolve l’enigma. Sinistra arcobaleno si ferma al 2,9%, (59.086). Nel 2006, il Prc con 149.252 preferenze era al 6,7%, Insieme per l’Unione con 59.535 al 2,7%. Indubbiamente l’apice per il Prc che persino alle regionali del 2005, quelle dell’elezione di Nichi Vendola, s’era fermata al 5,11% (109.267).
Lui, il governatore ha detto subito la sua: «E’ del tutto evidente che non ci sia mai stato un voto così omogeneo come quello negativo per la Sinistra arcobaleno. Non c’è enclave che tenga, si sono rotti gli argini e siamo stati percepiti come un residuo, privi di profilo programmatico rispetto al bipolarismo. Non ci siamo accorti che sotto i nostri piedi si stava consumando un terremoto». Un rilancio per il congresso che ormai invocano tutti, o l’ammissione dell’irrimiediabile.
Messaggi
1. Arcobaleno in pezzi È fuori dal parlamento, 17 aprile 2008, 00:31, di PP
"Io ho votato PD, il solo argine a Berlusconi che purtroppo non ha retto.
La sinistra massimalista è scomparsa dal Parlamento, questo perché si è dimostrata presuntuosa ed inconcludente. Vi ricordo la pugnalata di Bertinottia a Prodi a costo di una scissione interna e più recentemente la sciagurata corsa a scavalcare i sindacati sull’accordo con il governo sul welfare.
L’ultima goccia la versò Mastella, ma gran parte del secchio lo riempì quella che poi divenne la Sinistra Arcobaleno..
Io votavo PCI, fino a quando c’era, ammirai Cossutta quando se ne andò dal PDS ma non lo seguii. In seguito capii che sbagliò, lo si vide con la scissione della caduta del governo Prodi quando il PRC subì gli ordini del Parolaio Rosso.
L’Arcobaleno è la caricatura burlesca di quello che era il PCI.
Nonostante la sconfitta elettorale, la colpa è sempre degli altri, senza un minimo senso pratico i dirigenti fanno interminabili riunioni per spaccare il capello in 4.
Alla fine si scindono perché il compagno non condivide una parte dell’analisi, è d’oggi la dichiarazione di Diliberto che pur apprezzavo quando era ministro della giustizia.
La Toscana oggi sembra un’altra regione? (l’intera sinistra arcobaleno è al 5,1% (104.573 voti).).
La Toscana è un’altra regione, qui il PD lo abbiamo fatto salire al 50% e potrà governare da solo.
La società è complessa, la classe operaia, la popolazione in genere, hanno interessi ed aspettative diverse da quelle di soli 20 anni fa, chi non lo capisce arretra fino a scomparire.
La storia è inclemente con i relitti, il 13/4/2008 è soffiato il suo vento.
PP"
Vedi on line : Oggi sembra un’altra regione:
1. Arcobaleno in pezzi È fuori dal parlamento, 17 aprile 2008, 03:53
Perchè invece il progetto del PD è risultato vincente .....
E’ riuscito solo a rubare buona parte dei voti alla SA col ricatto del "voto utile" ( peraltro dimostratosi del tutto inutile), a provocare l’astensione di molti altri e non ha preso un voto che è uno al centrodestra.
Il risultato della controriforma di pensioni e welfare poi l’abbiamo visto : la classe operaia che aveva rifiutato quell’accordo nelle fabbriche del nord ha poi votato per protesta in massa la Lega.
Bel cazzo di risultato anche per il PD, c’è proprio da andarne fieri ....
Che poi il gruppo dirigente della Sinistra Arcobaleno, colpevole di essere stato del tutto subalterno al PD ed al governo Prodi, meriti di andarsene tutto a casa e non farsi più vedere sono del tutto d’accordo.
Ma questo è un altro discorso ...
Comunque vedremo alla fin fine a chi sarà convenuto negare rappresentanza ai movimenti sociali ..... ai giovani precari sfruttati per due soldi come i braccianti nell’immediato dopoguerra ..... VAGLIELA A RACCONTARE A LORO STA STORIA DELLA PRESUNTA "MODERNITA’" ....
Quando si tolgono con la forza - perchè questo è avvenuto - spazi istituzionali il conflitto prende fatalmente altre strade .....
E’ sempre avvenuto nella storia e quando avviene poi non si risparmia niente e nessuno ....
K.
2. Arcobaleno in pezzi È fuori dal parlamento, 17 aprile 2008, 09:07
Adesso persino "Repubblica" si preoccupa della mancata rappresentanza dei ceti più deboli .....
IL COMMENTO
Salvate il soldato Fausto
di FRANCESCO MERLO
BUTTARE, con l’acqua sporca del comunismo, anche il bambino della sinistra radicale? Non bastonate il cane che annega, perché è il cane da guardia degli interessi deboli, dell’Italia povera. E Walter Veltroni non lasci all’intelligenza di Giulio Tremonti la rappresentanza "sociale e culturale" - come ha scritto ieri Ezio Mauro - di quella "rete di valori, interessi, critiche, opposizioni presenti nel Paese e nella sua storia". Dovrebbe invece, Veltroni, lanciare un ponte alla sua sinistra, anche organizzativamente, magari chiamando, perché no?, Nichi Vendola nella plancia di comando.
E’ certamente vero che il comunismo in Italia era diventato il divertimento intellettuale di alcuni professori, la camicia di forza della sinistra incartapecorita. Ma ora che non c’è più Bertinotti, chi, in Parlamento, difenderà gli operai? Davvero il Partito democratico, senza ospitare, come tutti i partiti riformisti del mondo, una rappresentanza di sinistra radicale, basterà a coltivare e proteggere gli interessi dei gruppi sociali più deboli, dagli operai agli impiegati di concetto, dagli insegnanti ai venditori ambulanti, dai piccoli e sempre più terminali bottegai ai giovani disoccupati e sotto occupati? Chi darà cittadinanza politico istituzionale a questo lungo, largo e grosso proletariato italiano, colpevolmente confuso e ridotto solo agli operai di fabbrica?
Per la verità, gli studi della Cgil e le riflessioni dei politologi già nel 2006 segnalavano l’affezione leghista degli operai del Nord, che infatti adesso hanno votato, in maggioranza, per la destra. E si sa che gli ultimi libri di Giulio Tremonti sono puntati contro il fantasma della povertà italiana, alimentata dall’euro forte e dall’ingresso della Cina nella globalizzazione. Tremonti denunzia "i salari italiani orientali erosi dai costi occidentali", propone aiuti alle fabbriche e alle industrie... Non so se è un discorso di sinistra. Sicuramente, in un universo senza più simboli, Tremonti, che è la mente economica non solo di Berlusconi ma anche della Lega, rischia davvero di rappresentare i produttori - operai e imprenditori - molto meglio del Pd e di occupare dunque il posto vuoto lasciato da Bertinotti sia nell’urna e sia nelle sezioni di partito, nella concertazione, nella società dei deboli.
Veltroni ha dunque "una responsabilità in più". Secondo noi ha persino il dovere di richiamare a casa la sinistra radicale operaista, alla quale, troppo sbrigativamente, i rappresentanti degli imprenditori vorrebbero dare il colpo di grazia, con una spietatezza un po’ ridicola. Insomma, la Confindustria dovrebbe evitare di cantare una vittoria che potrebbe essere quella di Pirro, o, se preferite, quella di Sansone che morì con tutti i filistei. La perdita di rappresentanza dei ceti deboli infatti potrebbe portare alla fine delle buone maniere nelle fabbriche, nelle strade, nel conflitto sociale.
Non che sia davvero immaginabile un ritorno del terrorismo diffuso, come dice il solito autoreferenziale Cossiga, il quale pensa di compendiare in sé tutto il vissuto e tutto il vivibile: "Nihil novi sub Cossiga" (con la a lunga dell’ablativo). Ma può accadere che esplodano, come attorno alla spazzatura di Napoli, i plebeismi, il luddismo o nuove forme di criminal sindacalismo. E un’avvisaglia la si è avuta, per esempio, in Sicilia dove, la settimana scorsa, i braccianti, esasperati perché nessuno li sta ad ascoltare, hanno bloccato per ben tre giorni i caselli dell’autostrada Catania - Messina.
Secondo noi ad affossare e bastonare Bertinotti è stata soprattutto l’antimodernità dei vari Pecoraro Scanio, quel mondo reazionario che in nome della sacra lucertola immagina un’Italia contadina, non capisce che anche il treno fa landscape, che termovalorizzatori, ponti, autostrade e persino il nucleare sono elementi del paesaggio, sono l’ambiente storico che va difeso, vissuto e sviluppato. Marx era prometeico, industrialista, era contro le utopie rovesciate, contro il cammino all’indietro che, almeno, ai suoi tempi era sognato dal socialismo prescientifico e giustificato dal grado zero dello sviluppo tecnologico. Oggi invece l’utopia antisviluppo è sognata dalle caricature italiane del pensiero verde europeo, in un mondo nel quale la tecnologia è ubiquitaria: dalle lenti a contatto ai telefoni, dall’alimentazione all’ecologia stessa.
Ebbene, non è immaginabile un Partito democratico che, liberatosi dell’antimodernità, non abbia dentro di sé gli operai, anche nella loro rappresentanza estremista. Né si può pensare a un Partito democratico senza i difensori del lavoro dipendente, di quello usurante, dei nuovi poveri (tra i quali, ripetiamo, ci sono gli insegnanti, che guadagnano meno degli operai qualificati). E poi ci sono intere regioni italiane che sono come piccole Albanie e che hanno bisogno di un pensiero di sinistra ma imprenditoriale, sviluppista ma solidaristico.
Bisogna riconoscere per esempio che l’esperienza di Nichi Vendola è molto interessante. Da quando è al governo della Puglia, la cronaca quotidiana non è cronaca nera di scafisti, di morti ammazzati e di sacra corona unita, ma anche di leggi laiche e non estremiste sulla famiglia; e di sviluppo, con un primato nella produzione di energia, l’utilizzo del combustibile da rifiuti, il rigassificatore, il progetto pilota (nel mondo) dei distributori di idrogeno per autovetture. E ancora: gli aiuti regionali ai giovani che vanno a studiare all’estero con il patto che dopo due anni rientrino in Puglia.
Al di là dei risultati, la direzione di marcia è quella giusta: giovani, sapere, sviluppo, tecnologie di ultima generazione, con l’idea vincente che la maniera migliore di difendere gli operai sia produrre ricchezza. Non rivendicarla, ma produrla. Non ci sono soviet senza elettrificazione. E però più che di falce e martello questa di Vendola è una sinistra che sembra fatta di libro e computer.
Ora Veltroni potrebbe far sua la gentilezza di sinistra di Vendola e maritarla con la cultura di impresa, salvare i salari, aggredire il fantasma della povertà ma al tempo stesso progettare futuro: impianti a mare, ponti, città sull’acqua, investimenti internazionali. Parafrasando Gramsci: non contro il capitale ma per il capitale. Suscitarlo e addomesticarlo.
Berlusconi, se vuole, inviti pure a cena Bertinotti. Veltroni potrebbe rispondere allargandosi appunto verso Vendola, e magari offrirgli, che so?, la vicesegreteria, per una convivenza ben più duratura di una cena.
(17 aprile 2008)
http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/politica/elezioni-2008-tre/soldato-fausto/soldato-fausto.html