Home > Atlanta - World social forum (Wsf) 2007

Atlanta - World social forum (Wsf) 2007

Publie le giovedì 28 giugno 2007 par Open-Publishing

da "il manifesto" del 27 Giugno 2007
«Stiamo andando a questo appuntamento con l’intenzione di convincere e ispirare noi stessi e gli altri, o sarà un nuovo tavolo per incontrare i compagni lontani, senza proporre alcun tipo di visione per il futuro nazionale?» Tutte le questioni sul tavolo del primo Forum sociale statunitense
Max Uhlenbeck*

Cosa succede quando centinaia, addirittura migliaia, di piccole e medie organizzazioni si mettono insieme per incontrarsi, dialogare, e presentare le loro idee nel corso di un weekend lungo? Il World social forum (Wsf), un incontro annuale di centinaia di migliaia di persone da oltre 100 paesi, ha proposto questo spazio per coloro che negli ultimi anni hanno avuto la possibilità di viaggiare in Brasile, Kenya, Venezuela e India. Questa estate, dal 27 giugno al 1 luglio, quelli di noi che non sono mai andati a un Wsf avranno la possibilità di sperimentare in prima persona questo evento, quando prenderà il via il Social forum degli Stati uniti ad Atlanta, Georgia.
Poiché il Wsf negli ultimi anni ha ricevuto molte critiche, dovute in parte al ruolo sempre più dominante giocato dai partiti politici e dalle grandi organizzazioni non governative nella creazione e nella configurazione dell’evento, il Social forum statunitense ha avuto un inizio incoraggiante quando è stato annunciato, lo scorso anno, che avrebbe avuto luogo nello stato meridionale della Georgia e che ad occuparsi dell’organizzazione iniziale sarebbe stato, tra gli altri, un gruppo come Project South. Il loro statuto spiega così la «mission» del gruppo: «Project South è un’organizzazione di sviluppo della leadership, basata nel Sud degli Stati uniti e nata per creare spazi di costruzione di movimento. Costruiamo relazioni con organizzazioni e networks negli Stati uniti e in tutto il Sud per informare sui progetti locali e per promuovere la costruzione di movimenti dal basso verso l’alto per la giustizia sia sociale che economica».
E se il sud va…
Come W. E. B. Du Bois disse una volta: «Come va il Sud, così va anche il resto della nazione». Le organizzazioni di base lungo tutto il meridione degli Stati uniti, avendo dovuto impegnarsi parecchio nel dopo-Katrina, stanno ancora lottando dopo due anni. In «Una lettera dal popolo di New Orleans» leggiamo questo passaggio: «Mentre continuiamo a vivere in piena crisi, con poco personale a disposizione, sotto finanziati e, in molti casi, in una condizione di disperato bisogno, abbiamo visto tantissime promesse non rispettate. Dalla prospettiva dei più poveri e dei meno potenti, sembra che il lavoro dei nostri alleati nazionali a nostro favore non ci sia stato o, se c’è stato, è stato un fallimento». New Orleans oggi rappresenta la crisi profonda che molti stanno attraversando, non soltanto nel Sud, ma anche in altre città del paese. E’ un «caso studio», un caso esemplare di quanto sta accadendo nei centri urbani di tutto il paese. E qui vediamo la ragione per cui, persino nel più ricco dei paesi ipersviluppati, dobbiamo iniziare a cercare le strade per metterci insieme e batterci per la giustizia e l’uguaglianza.
New Orleans evidenzia l’intersezione tra la deindustrializzazione e la globalizzazione delle grandi corporazioni - simbolizzata dalla tendenza alla privatizzazione e alla crescente presenza della classe media. Essa preannuncia quali saranno in futuro gli effetti della crisi climatica globale sulle nostre comunità più fragili. Essa mostra il crescente affidamento ai militari da parte del governo della soluzione dei disastri umanitari, con non poche somiglianze con l’Iraq, come la combinazione tra l’impiego di forze mercenarie private e i contratti di ricostruzione appaltati a compagnie come Halliburton. E infine, ha mostrato la inadeguatezza delle risposte che, di fronte a tutto questo, ha avanzato il cosiddetto «complesso industriale non-profit» nel vuoto assordante lasciato dallo Stato.
Eppure, due anni dopo, la resistenza delle organizzazioni di base a New Orleans continua, come è sempre stata. Sono emerse nuove comunità, organizzazioni e reti che si stanno organizzando efficacemente contro questi disastri. Molti di loro stanno pianificando di andare ad Atlanta. Robert Goodman, un attivista e ex detenuto che lavora con l’organizzazione di New Orleans «Safe Streets, Strong Communities» dice che «nonostante New Orleans sia ancora in crisi, abbiamo ben chiaro che le uniche persone che aiuteranno la popolazione saranno quelli che si battono per la giustizia. Vediamo il Social Forum come un luogo per condividere le nostre storie e mettere in comunicazione le nostre battaglie cosicché potremo chiedere dei fondamentali cambiamenti nel trattamento di New Orleans e delle persone ancora sfollate». Gli organizzatori del Social forum hanno lavorato duro per mettere in evidenza, nel programma, molte di queste organizzazioni e le loro lotte.
Salendo sul pullman
Ad Atlanta si aspettano grossi numeri, non soltanto da New Orleans, ma da tutti gli stati del Sud. In un messaggio inviato qualche giorno fa, gli organizzatori del Social forum hanno voluto evidenziare alcuni gruppi che stanno organizzando il loro viaggio verso Atlanta. La «Carovana della Libertà dal Sud al Sud-ovest», che attraverserà più di cinque stati, porterà più di mille persone da New Mexico, Texas, Louisiana, Mississippi, Alabama e Georgia. Diverse organizzazioni comunitarie del Mississippi, inclusi il Centro lavoratori del Mississippi e l’Alleanza per i diritti degli immigrati del Mississippi (Mira) hanno organizzato più di quattro autobus da tutto lo stato. L’«Iniziativa delle donne nere del Meridione rurale» sta portando più di duecento membri in delegazione dal Mississippi e dall’Alabama.
Nonostante il movimento di sinistra e progressista qui negli Stati uniti sia ancora molto diviso e frammentato, molti stanno realizzando che queste occasioni di incontro sono poche e troppo rare e stanno quindi cercando un modo per usare il loro viaggio ad Atlanta per rafforzare i loro progetti locali, ma anche per costruire relazioni e mettersi in contatto con amici e compagni che arriveranno da tutto il paese.
Questioni generali
Eric Tang, in un editoriale comparso sul numero 23 di Left Turn («Messico sul confine») ha scritto: «Il Social Forum statunitense non offre garanzie. Sarà quello che noi riusciremo a farci. Quindi, venite ad Atlanta non soltanto con l’intenzione di essere convinti e ispirati, ma con l’intenzione di convincere e ispirare gli altri». Questa osservazione conduce a una questione importante. Stiamo andando a un tavolo con una qualche visione che miri a «convincere e ispirare», o stiamo guardando a questo evento più come a un convegno esteso di reti associative, un’opportunità di venire a contatto con individui e organizzazioni che raramente riusciamo a vedere o con cui raramente riusciamo a comunicare se non con mailing lists e conferenze virtuali? Alcune delle critiche che in passato sono state rivolte ai Social forum mondiali vertevano su questioni simili. E’ stato osservato che, forse, ciò che andava perso nel mare di workshops e sessioni plenarie, pranzi e carovane, incontri e dibattiti, era proprio la questione: a che scopo?
Quelli tra di noi che non sono interessati a fondare un nuovo partito, e che sono addirittura allergici a qualsiasi quadro organizzativo, hanno trovato difficile articolare cosa esattamente dovremmo voler vedere a livello locale, regionale e persino nazionale. Tanto più hanno difficoltà a immaginare con che tipo di organizzazione dovremmo raggiungere quel risultato. Potrebbe essere, allora, che non siamo interessati, o almeno non abbiamo al momento l’energia giusta per cogliere il concetto di costruire, qui negli Stati uniti, un movimento più largo e più articolato che possa operare su scala nazionale?
Sappiamo di essere molto critici con il mondo non-profit - sempre più integrato nel modello corporativo - come possibile veicolo principe verso un cambiamento sociale strutturale. Siamo critici anche con la struttura centralizzata dei partiti politici, siano essi i Democratici neoliberali, o anche i «segmenti rivoluzionari» di sinistra che continuano a operare piuttosto anonimamente nel paese. D’altro canto, le frustranti tendenze anti-organizzative e settarie che caratterizzano molti dei movimenti anarchici contemporanei, insieme alla predominante subcultura bianca che li circonda, lascia molto a desiderare. L’alternativa per molti di noi è stata di continuare a identificarci con una tendenza politica di base, ma spesso molto vaga, che a volte viene descritta come «sinistra anticapitalista, antiautoritaria, non settaria». Tale tendenza è stata spiegata con maggior chiarezza in America Latina dove, durante il Wsf del 2005, Joao Pedro Stedile, coordinatore del Movimento dei Sem Tera brasiliani, ha detto: «La questione del potere non si risolve nella conquista del governo, che è facile ed è stato fatto molte volte, ma piuttosto nel costruire nuove relazioni sociali».
Un’altra politica è possibile
Ragionando su questo tema. E seguendo una serie di eventi e di analisi dei movimenti in America Latina, un gruppo di 20 organizzazioni e attivisti di comunità, provenienti da storie molto diverse tra loro, hanno organizzato un gruppo di studio mensile diviso in cinque parti con il modesto obiettivo di portare avanti un dibattito più focalizzato. Parte delle finalità iniziali del gruppo era di immaginare un modo con cui presentare questo tipo di temi e idee ad Atlanta.
Faranno questo in parte organizzando una grande sessione plenaria chiamata «Un altro mondo è possibile: vivere la visione dal basso e a sinistra». Questa sessione è stata cosponsorizzata da un vasto numero di organizzazioni tanto a livello locale che nazionale (…).


http://www.edoneo.org/