Home > BELPAESE FRA E RAZZISMO E REALPOLITICA
Quant’è lungo il filo che corre dalla gabbia marina su cui clandestini eritrei – li han definiti uomini-tonni - sono stati lasciati avvinghiati da marinai maltesi, libici, forse italiani cattivi prima che italiani di cuore arrivassero a metterli in salvo, fino al velo strappato e alle percosse inferte a una donna araba nella periferia milanese di cui quasi nessun media ha parlato? E’ un filo ormai lungo che può passare per Verona, per il suo nuovo sindaco il leghista-razzista Tosi che anni fa portava al guinzaglio un tigrotto recitando “Xè el leon che magna el terròn”. Folklore. Ai primordi dell’esperienza “politica” della Lega si diceva così, sottovalutando il vento dell’intolleranza che anno dopo anno è andato crescendo tanto che questo partito è diventato il contenitore di punte di razzismo alla naziskin. I trascorsi di elementi alla Borghezio non lasciavano dubbi, il bello è che simili figuri son finiti sui banchi di Montecitorio e nel caso dei Bossi e Calderoli anche a dirigere dicasteri della Repubblica da cui vomitavano proclami xenofobi.
E’ assolutamente preoccupante che chi proclama ideali razzisti formi organizzazioni politiche capaci di rinverdire odi himmleriani bagnati con l’acqua del Po e le sue tesi trovino spazio sui grandi media e poi alleanze politiche. E che posizioni sì becere vengano sdoganate e nessuno trovi da ridire se il sindaco Gentilini teorizzi e pratichi la persecuzione dell’extracomunitario povero impedendogli anche l’uso della panchina pubblica. E dica sorridendo che a taluni bisogna sparargli pure. Reiterare questo becerume spacciato per iniziativa di controllo del territorio, per sicurezza e ordine pubblico quand’è solo discriminazione kukluxklaniana, ha rappresentato quell’avvelenamento di pensiero e azione che sta inabissando il modo di vivere nella democratica e partecipata società italiana. Si danno per scontate globalizzazione e mondo multirazziale mentre si stende il filo spinato attorno al proprio campanile. Purtroppo non lo fa solo il leghista e il suo alleato reazionario postfascista o forzitaliota. Quanti uomini del centro-sinistra hanno una totale discrasia fra i bei discorsi del politicamente corretto attorno ad accoglienza, tolleranza e integrazione e poi in via Paolo Sarpi o a Piazza Vittorio soffrono il cinese del condominio accanto?
Quante orchestre (alla piazza Vittorio) occorrerà formare per convivere e danzare assieme se il colore della pelle viene a mala pena tollerato sui palchi dello spettacolo, visto che le curve degli stadi sollevano i lugubri “buuuuuu” al negro di turno pur se è un conclamato campione dei propri colori? C’è un’infinità di scempiaggine in questi comportamenti eppure anziché scemare e gradualmente sparire, essi montano. E montano grazie ai pensieri maestri e alle grancasse offerte da troppe situazioni. Nessuna campagna morale, politica o manifestazione di massa s’è rivolta contro le forme di violenta intolleranza viste in giro in questi anni. L’ampia idea d’impunità che certa trasgressione razzista gode fra chi ricopre cariche pubbliche o parla da microfoni di grandi media non può che gettare benzina sul fuoco fra i settori più arretrati ed egoisti della società. Servirebbe una quotidiana rieducazione verso l’uomo della strada, cui ad esempio non piacciono gli ambulanti extracomunitari, e non si fa. Si punta facilmente il dito verso chi crea problemi di ordine pubblico, questione reale, ma tutti sanno che all’interno delle minoranze etniche c’è chi lavora (e sono tanti e spesso super sfruttati) e chi delinque. Proprio come fra gli autoctoni italiani, francesi o tedeschi.
Una sinistra incapace di fare la sinistra divulgando valori, civiltà e modo di vivere diversi, insegue gli stereotipi della società d’ordine. Ordine fra l’altro apparente visto che la malavita nostrana prosegue indisturbata nelle sue nefandezze con la copertura della politica, come mostra l’ultima emergenza campana legata allo smaltimento dei rifiuti mandati in tilt dalle aziende camorriste autorizzate a lavorare da politica e istituzioni locali. Una sinistra che privilegia mascherate e maquillages pronta solo a rintanarsi con simili sempre più simili, ricercare una facile omologazione, rincorrere tematiche destrorse e, come accade da troppo tempo, muta connotati e dna sfavorendo se stessa nelle consultazioni elettorali. Perché l’elettore moderato preferisce l’originale alle imitazioni. Stanchezza e indifferenza sono le sensazioni che questa sinistra diffonde a piene mani presa com’è a contarsi, misurare col bilancino le correntine future mentre falsamente dice d’unirsi sia che si tratti del Partito democratico, sia che cerchi d’incollare Mussi a Diliberto e Giordano e Pecoraro.
Tutto mentre i razzisti che gli siedono accanto in Parlamento aizzano il balordo a malmenare la mussulmana e nessun parlamentare democratico lancia un grido contro la xenofobia di cert’altri parlamentari, anzi alla prima occasione si va insieme dai Vespa e Floris per il chiacchiericcio politico-liberatorio. Finiamo tutti rimbambiti, la tivù invita a farci i fatti nostri, ci regala pacchi di denari male guadagnati, e cresce il numero di chi pensa che non sia normale salvare un clandestino dall’annegamento perché in fondo è clandestino, se scompare e non se ne parla è come se non fosse mai esistito, proprio come certi boat people divorati dai flutti anni or sono e ignorati da altri governi di centro-sinistra. L’ipocrisia del politicamente corretto e il cinismo del realismo politico sono la fusione fredda con cui dobbiamo fare i conti in un futuro che è già presente.
Enrico Campofreda, 1 giugno 2007