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BOLKENSTEIN o FRANKESTEIN?

Publie le giovedì 28 ottobre 2004 par Open-Publishing

DALL’ UE UNA DIRETTIVA CONTRO LO STATO SOCIALE E I DIRITTI DEL LAVORO

di ATTAC ITALIA

Si chiama Bolkenstein - dal nome del Commissario Europeo per la
Concorrenza e il Mercato Interno dell’ uscente commissione Prodi - la
Direttiva con cui l’UE si appresta a dare il colpo di grazia a quel che
resta del "modello sociale europeo", già agonizzante dopo le
privatizzazioni che si sono succedute e la continua messa in discussione
dei diritti sociali e del lavoro.

La proposta di Direttiva - approvata all’unanimità della Commissione
Europea nello scorso 13 gennaio - è entrata in dirittura d’arrivo : il
prossimo 11 novembre si terrà l’udienza al Parlamento Europeo della
Commissione per la Concorrenza e il Mercato Interno; a fine novembre
sarà sottoposta al vaglio del Consiglio dei Ministri Europei; da lì
inizierà l’iter procedurale per giungere, probabilmente a marzo 2005, al
voto finale del Parlamento Europeo.

La Direttiva Bolkenstein -elaborata dopo la consultazione di ben 10.000
aziende europee e nessun sindacato e/o organizzazione della società
civile- è uno degli obiettivi di mobilitazione contenuti nell’appello
dei movimenti sociali uscito dal Forum Sociale Europeo di Londra, in cui
si è proposto il lancio di una campagna continentale per il ritiro
completo e immediato della stessa.

Proviamo a capire perchè.

Come il Gats

Pomposamente annunciata come un provvedimento teso a "diminuire la
burocrazia e ridurre i vincoli alla competitività nei servizi per il
mercato interno", la Direttiva Bolkenstein (IP/04/37) si prefigge di
imporre ai 25 Stati membri dell’Unione le regole della concorrenza
commerciale, senza alcun limite, in tutte le attività di servizio";
dove, per servizio si intende (art. 4) "ogni attività economica che si
occupa della fornitura di una prestazione oggetto di contropartita
economica". E’ evidente la similitudine con i principi e le procedure
già stabilite in sede di Organizzazione Mondiale del Commercio
(WTO) con l’ Accordo generale sul Commercio dei Servizi (Gats).
Similitudine che è esplicitata direttamente a pag. 16, laddove si dice
come " i negoziati Gats sottolineano la necessità per l’UE di stabilire
rapidamente un vero mercato interno dei servizi per assicurare la
competitività delle imprese europee e rafforzare la sua posizione
negoziale". Ed ecco svelato l’arcano: l’Europa deve privatizzare i
servizi sul mercato interno per poter pretendere, da una posizione di
forza all’interno dei negoziati Gats, la privatizzazione dei servizi nel
resto del mondo. Ovvero, siamo all’Europa che, lungi dal proteggere le
popolazioni dalla globalizzazione neoliberista, si candida ad assumerne
la guida.

Peggio del Gats

Ma la Direttiva Bolkenstein va ancora oltre. Innanzitutto perchè - al
contrario del Gats - non prevede alcuna possibilità di restrizioni
nazionali all’accordo. Configurandosi come una direttiva "orizzontale" e
non nominando alcun settore in particolare, si applica dovunque sia
possibile l’apertura di un mercato, intendendo l’esistenza di un mercato
"ogni settore di attività economica in cui un servizio può essere
fornito da un privato". In secondo luogo perchè gli ostacoli
"burocratici" alla competitività, che si prefigge di eliminare, sono in
larga parte le disposizioni prese dai poteri pubblici per la migliore
prestazione del servizio in termini di garanzie sociali ed ambientali,
di tutela dell’accesso universale, di trasparenza delle procedure, di
qualità del servizio, di diritti del lavoro, di contenimento delle
tariffe.

In pratica, si rimette radicalmente in discussione il potere
discrezionale delle autorità locali; poco importa che queste ultime
siano elette e controllate democraticamente dai cittadini, a differenza
dei membri della Commissione Europea!

Il principio del paese d’origine

Ma il cuore della Direttiva Bolkenstein - e la sua eccezionale gravità -
risiede nell’art. 16 relativo al principio del paese d’origine. Con
questo principio, l’ UE rinuncia definitivamente alla pratica
dell’armonizzazione" fra le normative dei singoli Stati, pratica che era
finora assurta ad elemento quasi fondativo dell’Unione stessa.

Secondo il nuovo principio, un fornitore di servizi è sottoposto
esclusivamente alla legge del paese in cui ha sede l’impresa, e non a
quella del paese dove fornisce il servizio. Per dirla in parole semplici
quanto apparentemente incredibili : un’ impresa polacca che distacchi
lavoratori polacchi in Francia o in Belgio, non dovrà più chiedere
l’autorizzazione alle autorità francesi o belghe se ha già ottenuto
l’autorizzazione delle autorità polacche, e a quei lavoratori si
applicherà solo la legislazione polacca.

E’ evidente, in questo principio, la novità introdotta dall’allargamento
dell’UE agli ex-paesi dell’Est: poiché entrano nell’ UE paesi le cui
legislazioni fiscali, sociali e ambientali in questi quindici anni di
"transizione" sono divenute quelle proprie dello "Stato minimo", si
abbandona l’armonizzazione e si prepara un processo di vero e proprio
dumping sociale. Siamo di fronte ad un incitamento legale a spostare le
imprese verso i Paesi a più debole protezione sociale e del lavoro, e,
una volta approvata definitivamente la Direttiva, a pressioni fortissime
sui Paesi i cui standard sociali e di lavoro sono storicamente molto più
avanzati.

Colpo di grazia allo stato sociale e ai diritti del lavoro

Senza volersi addentrare in ulteriori, ma significativi, dettagli -
come, ad esempio, il fatto che il controllo sulle condizioni di lavoro
dei lavoratori distaccati in un altro paese è affidata agli ispettori
del paese d’origine!
 appaiono chiarissimi i segni che la Direttiva Bolkestein è destinata a
lasciare:
a) apertura alla concorrenza e alla privatizzazione di quasi tutte le
attività di servizio, dalle attività logistiche di qualunque impresa
produttiva ai servizi pubblici come istruzione e sanità;
b) deregolamentazione totale dell’erogazione dei servizi con drastica
riduzione, se non annullamento, delle possibilità d’intervento degli
enti locali e delle organizzazioni sindacali;
c) destrutturazione e smantellamento del mercato del lavoro attraverso
la precarizzazione e il dumping sociale all’interno dell’ Unione Europea

Necessaria una mobilitazione di massa

Se questo è il quadro, stupisce come la risposta da parte di partiti,
sindacati e movimenti abbia tardato ad arrivare. A partire
dall’informazione, ancor oggi patrimonio di poche e volenterose
organizzazioni, ma priva della diffusione di massa che una Direttiva
così grave meriterebbe.

Al Forum Sociale Europeo di Londra, la rete europea di Attac ha
costruito due seminari ed un workshop che hanno visto la partecipazione
di componenti importanti dei sindacati e dei movimenti : dalle marce
europee alla Federazione Europea dei Trasporti, dall’insieme dei
sindacati nordici (svedesi e belgi in prima fila) al Sud-PTT francese,
da Oxfam Solidarity alla Cgil - Funzione Pubblica. Ma tutto ciò continua
ad essere largamente insufficiente rispetto alla portata dell’attacco ai
diritti, prevista dalla direttiva Bolkenstein. Senza una forte
mobilitazione dei sindacati nazionali ed europei, dei movimenti sociali
continentali, delle forze politiche nei Parlamenti nazionali ed Europeo,
la partita del modello sociale europeo rischia di essere definitivamente
persa. Per questo e da subito, occorre che nei luoghi di lavoro, nei
territori e nelle sedi istituzionali si costruiscano percorsi di
sensibilizzazione e di mobilitazione che, a partire dalla prossima
scadenza dell’ 11 novembre al Parlamento Europeo, giungano nel marzo
2005 a Bruxelles con una grandissima manifestazione per l’Europa sociale
e per il ritiro "senza se e senza ma" della famigerata Direttiva
Bolkenstein. Un’altra Europa è possibile, ma a condizione che ciascuno
si assuma la sua parte nel difficile compito di costruirla.