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Barack Obama: “gli Stati Uniti appoggiano il ritorno di Mel Zelaya in Honduras”.

Publie le mercoledì 8 luglio 2009 par Open-Publishing
2 commenti

Il dittatore di Bergamo alta tratta la resa?

E’ un voltaireiano Barack Obama che da Mosca ha chiuso ogni polemica sulla posizione dell’attuale governo di Washington rispetto al colpo di stato in Honduras: “gli Stati Uniti appoggiano il ritorno di Mel Zelaya in Honduras anche se questo si è fermamente opposto alle politiche nordamericane”.

E inoltre: “Non appoggiamo Zelaya perché siamo d’accordo con lui. Lo appoggiamo in nome di un principio universale per il quale i popoli debbono poter eleggere i propri dirigenti, che ci piacciano o no. E dobbiamo riconoscere chiaramente: gli Stati Uniti non hanno sempre agito correttamente su questo punto ma il mio governo non cercherà di imporre governi ad altri paesi”.

Sarebbe (anche per l’ammissione di responsabilità) un discorso da prima pagina quello di Barack Obama a Mosca e che va ben oltre la crisi honduregna se non si perdesse nel porto delle nebbie degli irriformabili media del pensiero unico e quindi lo mettiamo in prima pagina noi, media partecipativo.

Per dar seguito alle affermazioni del Presidente, ieri a Washington Mel Zelaya è stato ricevuto dal segretario di Stato Hillary Clinton non per una visita formale o una photo opportunity ma per oltre due ore al termine delle quali Clinton ha reiterato l’appoggio al governo legittimo honduregno e si è fatta parte attiva dello sblocco della situazione accettando come mediatore il premio Nobel 1987, il costaricense Oscar Arias.

L’iniziativa, necessaria, statunitense, supporta il concerto latinoamericano e profila un percorso di soluzione alla crisi honduregna. Contemporaneamente il dittatore di Bergamo alta, Roberto Micheletti cercava disperatamente proprio il premio Nobel per la pace, che infine, dopo un giro di telefonate con ogni angolo del continente, si è fatto carico della mediazione. Domani giovedì, a San José del Costarica, Roberto Micheletti incontrerà l’uomo contro il quale ha orchestrato il golpe e che fino ad oggi voleva arrestare e forse uccidere.

“Non sarà un incontro da pari a pari”, ha dichiarato Arias. L’inserimento di Arias come figura centrale di mediazione evidentemente esautora il segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), José Miguel Insulza, protagonista del fallito tentativo di rientro di Mel Zelaya di domenica.

Il presidente legittimo, nell’accettare l’incontro con il suo sequestratore, con l’assenso sia del governo statunitense che del concerto latinoamericano, ha affermato: “sarà una mediazione, non una negoziazione, che avrà come oggetto la piattaforma per l’uscita di scena dei golpisti”. Inoltre ha comunicato (dettaglio non marginale) di aver destituito l’ambasciatore honduregno negli Stati Uniti Roberto Flores Bermúdez, che lavorava per conto dei golpisti. Il governo degli Stati Uniti inoltre ha stigmatizzato come “razziste” le dichiarazioni del Ministro degli Esteri del dittatore di Bergamo alta, Enrique Ortez, che aveva definito Obama “il negretto”.

Intanto a Tegucigalpa, ci sarebbero circa 800 persone in stato d’arresto. Ciò non è bastato per fermare le pacifiche manifestazioni contro il golpe con una novità: Xiomara Castro de Zelaya (nella foto), moglie del presidente legittimo, per la prima volta era alla testa della manifestazione.

http://www.gennarocarotenuto.it:80/9208-barack-obama-gli-stati-uniti-appoggiano-il-ritorno-di-mel-zelaya-in-honduras-il-dittatore-di-bergamo-alta-tratta-la-resa/

Messaggi

  • Il governo di Micheletti accetta di avviare una trattativa a San José

    Domani dovrebbe avere un incontro col presidente legittimo Zelaya

    Honduras, i golpisti sotto pressione

    Sì alla mediazione del Costa Rica
    dal nostro inviato OMERO CIAI

    TEGUCIGALPA - Sotto il peso delle pressioni di Obama e Hillary Clinton, delle proteste dell’opposizione e dell’isolamento deciso dagli altri Stati latino-americani, il governo golpista di Roberto Micheletti scricchiola. Ieri dopo l’incontro a Washington fra il segretario di Stato Usa e il presidente legittimo, Manuel Zelaya, Micheletti ha accettato la mediazione del presidente del Costa Rica, Oscar Arias. I primi contatti ci saranno già oggi, mentre per domani è previsto un incontro a San José, capitale del Costa Rica, tra Zelaya e Micheletti.

    Le posizioni sono molto distanti perché il capo del governo de facto esclude qualsiasi possibilità di un ritorno di Zelaya al suo posto di presidente, come preteso dalla comunità internazionale. Di nuovo ieri Barack Obama, da Mosca, è stato chiarissimo su questo punto: "L’America sostiene il ritorno del presidente dell’Honduras, Manuel Zelaya, eletto in modo democratico, anche se egli si oppone alla politica americana". "Abbiamo questa posizione - ha aggiunto il presidente Usa - non perché siamo d’accordo con le sue idee ma perché rispettiamo il principio universale che i popoli hanno il diritto di scegliere i propri leader, a prescindere da ciò che noi pensiamo delle idee di questi leader".

    A Tegucigalpa proseguono le marce di protesta e ieri è tornata in pubblico la moglie di Zelaya, Xiomana Castro, che nei giorni scorsi si era rifugiata nella residenza dell’ambasciatore americano. "Ho avuto garanzie che non ci saranno rappresaglie contro di me e che non cercheranno di arrestarmi", ha detto l’ex first lady promettendo alle migliaia di simpatizzanti che la seguivano nel corteo che "le proteste continueranno finché a mio marito non sarà consentito di tornare in patria". E’ un segnale che esercito e politici golpisti vogliono abbassare la tensione dopo la morte di un giovane manifestante, Isis Obed Murillo, domenica scorsa negli scontri all’aeroporto di Tegucigalpa. Sull’episodio, giornali e tv locali continuano a mentire, affermando che i soldati hanno sparato solo proiettili di gomma mentre numerosi testimoni hanno raccolto decine di bossoli.

    Ma la debolezza di Micheletti sta diventando sempre più evidente sia tra gli industriali honduregni che tra i principali leader dei due maggiori partiti: quello liberale e quello nazionale. Tutti cominciano a temere l’ira della Casa Bianca che, se non si trova una via d’uscita, potrebbe usare un’arma molto convincente contro la compagine filo-golpista, esercito compreso: i visti d’ingresso negli Usa. Il primo della lista è il nuovo ministro degli Esteri honduregno, Enrique Ortez, che in tv ha definito Barack Obama "un negretto che non capisce niente di niente", frase razzista che ha provocato la protesta formale dell’ambasciatore americano.

    (8 luglio 2009) www.repubblica.it