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Beppe Grillo e la democrazia tribunizia

Publie le giovedì 20 settembre 2007 par Open-Publishing

Lo scomposto e ringhioso attacco scatenatosi ieri contro Beppe Grillo, e che ha visto scendere in campo nientemeno che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e il suo predecessore, Carlo Azeglio Ciampi, oltre al TG1 e al TG2, dovrebbbe avere sul movimento dei grillini l’effetto di un corso di formazione politica accelerato.

Quando l’ineffabile Mazza arriva ad evocare lo spettro del terrorismo, la pressione si fa così alta da causare il distacco dal movimento di quanti erano stati attratti da ciò che pareva ai loro occhi solo l’ennesima divertente moda, o una fonte di facile pubblicità. Una pubblicità così, infatti, non la vuole nessuno, e tutti coloro nei quali prevalgono gli istinti conformisti si faranno subito da parte.

Più interessante sarà però l’evoluzione che avrà luogo nelle opinioni di tutti gli altri che rimarranno, i migliori. Il rigetto che il sistema sta esercitando sul modo in cui essi hanno deciso di esercitare la propria cittadinanza è così violento e così arbitrario nel fissare i confini di cio che è legittimo e ciò che non lo è, che la demagogia che pure aveva innervato i discutibilissimi contenuti del V-Day potrebbe evaporare a seguito di una discussione interna al movimento resa necessaria proprio dalla durezza dell’attacco. Sempre che il loro nume tutelare, s’intende, non pretenda di tenere le briglie troppo strette, come talora capita ai padri che non vedono troppo favorevolmente la conquista dell’età della ragione da parte dei figli.

Il traguardo di questa discussione dovrebbe portare ad una presa di coscienza di quanto equivoche e fragili siano le basi di un movimento che ha trovato il suo momento di massimo coagulo e mobilitazione attorno ad una proposta di legge, indigeribile per la sua ispirazione giustizialista, ma ancor più dubbia in quanto espressione di una strategia politica che esalta il valore di un principio tanto evanescente come la "legalità".

Tra gli esperti di diritto costituzionale statunitensi, a proposito di temi controversi come il diritto di portare armi, circola la cinica massima secondo cui "la costituzione dice quello che i politici gli fanno dire." Questo crudo realismo si applica abbastanza bene ai grillini, che credono di poter promuovere la riforma di una classe dirigente dietro il vuoto feticcio di una "legalità" che cade dal cielo, e non è invece la risultante dei rapporti di forza esistenti nel paese.

E’ curioso come i grillini, tutti acerrimi anti-berlusconiani, abbiano potuto conservare le proprie illusioni riguardo alla legalità, nonostante abbiano visto con i loro occhi la facilità con cui Berlusconi si è tirato fuori da tutti i suoi guai giudiziari. E’ curioso che, nonostante leggano con grande attenzione i documentatissimi articoli di un altro corifeo della legalità — e grillino ad honorem — come Marco Travaglio sul dilagante sistema di abuso e privilegio che domina nel paese, non vedano che c’è solo tanta legalità quanto il potere e la forza degli interessi costituiti permettono che vi sia.

Se la lunga battaglia combattuta in passato da Grillo contro lo strapotere dei gruppi bancari avesse avuto successo, la mappa del potere sarebbe ben diversa oggi in Italia, e la "casta" assai meno arrogante ed impudente (e magari non opererebbe come cinghia di trasmissione delle grandi strategie bancarie, come di fatto accade).

Non è colpa di Grillo che questa battaglia non sia stata vinta, dato che Grillo ha fatto le cose giuste al momento giusto. E’ colpa di Grillo che di recente abbia preferito fare appello al ventre giustizialista della sua base, nella convocazione di una patetica crociata contro i cattivi e disonesti che siedono in parlamento, contribuendo — che se ne renda conto o meno — all’offuscamento dei veri meccanismi del potere in Italia, di cui la "casta" è solo la punta dell’iceberg. Questo non lo sentirete mai da Gian Antonio Stella, "firma" prestigiosa del Corriere della Sera, ma rischiate di non sentirlo più neanche da Beppe Grillo, troppo impegnato a rilasciare bollini di buona condotta.

Naturalmente, anche dare la colpa a Grillo di quanto di negativo e discutibile vi fosse nel V-Day è semplicistico e fuorviante, perché significa chiudere gli occhi sui limiti del modello di democrazia tribunizia che caratterizza il suo movimento, costruito sul dualismo tra il tribuno e le masse. Non sembri un giudizio troppo liquidatorio, dato che a paragone con quelle conventicole chiuse ed elitarie che sono i partiti politici il blog di Grillo e i Meetup sono l’agorà di Atene. Ma non nascondiamoci dietro un dito: se alla base cominciasse a prendere forma una proposta che a Grillo proprio non piace, quante possibilità avrebbe di andare avanti? Dire "è colpa di Grillo" significa avallare l’idea che un movimento possa muoversi semplicemente sul fiuto politico del suo leader, il che lo rende troppo simile a quella "cancrena della democrazia" che sono i partiti tradizionali.

La durezza dell’attacco a cui è sottoposto il movimento di Grillo stimolerà, verosimilimente, una maturazione che lo porterà ad emanciparsi dalla tutela troppo pressante di Grillo. Se la fine del modello di "democrazia tribunizia" comporterà una separazione da Grillo, o un semplice ridimensionamento del leader al rango di "primus inter pares" si vedrà. L’altra possibilità, un irrigidirsi del movimento sui temi giustizialisti del V-Day, rappresenterebbe la definitiva involuzione di qualcosa che aveva rappresentato agli occhi di tanti una speranza di cambiamento.