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Berlusconi: "Coglione chi vota a sinistra, e oggi anche l’operaio vuole il figlio dottore..."
Publie le mercoledì 5 aprile 2006 par Open-PublishingPolemiche anche sull’abolizione dell’Ici, proposta avanzata da anni da Rifondazione comunista e sempre bocciata dal governo.
di Stefano Bocconetti
Roberto Benigni - i maliziosi direbbero: il Benigni di tanto tempo fa - la domanda se la porrebbe così: «Pole il cojone battere l’Ici?». Lì, in «Berlinguer ti voglio bene» la risposta era un no secco e inappellabile. Ma Berlinguer non c’è più, Benigni si misura con altri stili e le cose si fanno più complesse. La domanda comunque resta: può la battuta sugli elettori dell’Unione - «sono coglioni» - cancellare dall’agenda di quest’ultima settimana di campagna elettorale la sparata sull’Ici? Chi sa di queste cose - e sono in tanti a saperne, sui quotidiani di ieri c’erano i pareri di quasi cinquantacinque esperti di «ultimo confronto elettorale in tv» -, chi sa dice che purtroppo per Berlusconi la definizione un po’ tranchant dei suoi oppositori prevarrà sulla proposta di politica economica.
Non originale, non sua, addirittura proveniente dalle fila dello schieramento avverso, ma pur sempre proposta. Si discuterà invece quasi solo di quel «coglione». Berlusconi l’ha detto parlando ad un’assemblea di commercianti romani, che - va detto per dovere di cronaca - l’hanno anche applaudito. Ha usato una doppia negazione - «non ci credo che esistano coglioni che votano a sinistra contro i propri interessi» - ma il risultato non cambia. Ha dato dei coglioni agli elettori dell’Unione. E in una campagna elettorale quasi solo mediatica, la risposta - paradossalmente - gli è arrivata soprattutto dai media. No, non dalla tv. Ma attraverso i giornali (c’è un imprenditore, Raffaele Colombrino, napoletano, che oggi pubblicherà una pagina di inserzione sostenendo che lui «sarà anche coglione ma non fesso»), c’è stata la mobilitazione in rete. E’ nato un blog (www. sonouncoglione. splinder. it), nel pomeriggio già paralizzato dai troppi contatti, che ha subito lanciato l’idea di una manifestazione, ieri, in piazza a Roma. Dove si sono presentati in tanti, ciascuno con due pallonicini.
Certo c’è poi la reazione ufficiale, quella dei comunicati, quella del senatore diessino che vuole denunciare Berlusconi. Ma c’è soprattutto un’atmosfera mutata. Tanto che lui, Berlusconi - commettendo errore su errore, assicura il solito giro di esperti - ha negato, ha ritrattato, ha riconfermato. Dicendo che non l’aveva detto così direttamente, aveva usato la doppia negazione, salvo poi correggersi e dire che si trattava solo di ironìa.
Sta di fatto che nel meccanismo berlusconiano qualcosa non ha funzionato. Apparentemente. Così una definizione rischia di fargli saltare il programma degli ultimi giorni di campagna elettorale. Quello che era stato studiato nei minimi particolari. A cominciare dal faccia a faccia con Prodi. Tutti si sono arrovellati per capire quale impatto potesse avere la proposta finale per l’abolizione dell’Ici sulla prima casa. Proposta che lui stesso aveva fatto bocciare dai suoi, l’ultima volta pochi mesi fa, quando fu presentata per l’ennesima volta dal gruppo di Rifondazione alla Camera. Ma in realtà il colpo di teatro ha entusiasmato solo chi era già predisposto ad entusiasmarsi. E questo Berlusconi lo sapeva, così come lo sapevano i suoi. Ma questo non vuol dire che il faccia a faccia sia stato inutile. Gli è forse servito a disegnare un altro pezzo di quel mosaico che ha in mente da tempo. E se è così, la parola chiave non è certo l’Ici, non è quell’«avete capito bene», la frase centrale è quella sui figli degli operai.
Ladovve dice - in una sorta di Contessa di Pietrangeli al contrario - che le sinistre pensano di «redistribuire il reddito, che vogliono rendere il figlio del professionista uguale al figlio dell’operaio». Berlusconi ha detto di più: ha detto che per i comunisti questo addirittura dovrebbe essere «il fine della politica». I cronisti che seguono il premier sanno che da qualche tempo Berlusconi svolge questo ragionamento. E lo fa - lo ha raccontato lui stesso a Bari - da quando, dopo un confronto tv, s’è accorto che Rifondazione ha la mania di voler utilizzare la politica per la giustizia sociale. Lui, il premier, la vede invece in maniera opposta.
Legittimo, beninteso: un ricco ha diritto a non volere che si riduca la forbice fra sé e gli altri. Fra sé e chi lavora. Certo, è suonato un po’ strano in un discorso a sei giorni dal voto. Ma forse neanche questo era casuale. Perché davanti ad un Prodi dichiaratamente, esplicitamente, volutamente ispirato ai valori, al linguaggio del cattolicesimo (del cattolicesimo tout court, non a quello del cattolicesimo sociale: in fondo s’è limitato a dire che la ricchezza non dà la felicità), Berlusconi ha volutamente scelto altro. Di diverso. Qualcuno dice che abbia scelto il calvinismo. Ha scelto il Dio che esige, piuttosto che il Dio dell’amore. Magari solo perché gli hanno suggerito che quello richiamava troppo direttamente i cattolici dell’Unione e forse anche Veltroni. Berlusconi ha scelto la sua lettura del calvinismo, quella pret a porter: dove fare bene il proprio dovere significa affermarsi.
Significa arricchirsi. Di più: ha scelto l’America protestante, dove la ricchezza è il segnale di un disegno superiore. E dove, per contro, la povertà è il male. E’ la cifra del reietto. Da combattere. Qui non c’è più il mercato, non c’è più solo la difesa delle rendite, non c’è più solo la borsa diventata valore morale. Qui c’è Cheney, c’è il pensiero che domina il governo degli States. C’è il Bush della missione divina. C’è il darwinismo sociale. Chi è fuori è perché se lo merita. E chi se lo merita è proprio un coglione. Magari Berlusconi non ha calcolato che non era ancora il momento di dirlo. Non ha calcolato che in questo paese l’egosimo sociale della Lega per andare al governo ha dovuto essere prima riverniciato. Ma lì lui vuole arrivare. Al governo dei ricchi. La funzione della sua politica.