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Bertinotti: «Io non farò il ministro, ma Rifondazione andrà al governo»
Publie le domenica 6 marzo 2005 par Open-Publishingdi Paola Zanca
«Un congresso di emozioni»: così lo definisce Fausto Bertinotti nel suo intervento conclusivo ai quattro giorni del Lido di Venezia. Prima, la tessera di Pietro Ingrao, neo-iscritto a Rifondazione Comunista. Poi, la liberazione di Giuliana Sgrena, che ha stravolto la seconda giornata di lavori. Infine, l’uccisione di Nicola Calipari, l’ultima vittima occidentale uccisa dai soldati di Bush. Un congresso, continua Bertinotti, «di cui vorrei si dimenticassero le volgarità, le aggressività». E il riferimento, è tutto rivolto alle opposizioni interne che in questi giorni hanno radicalizzato il loro dissenso con il segretario. Dopo la votazione dello statuto, bocciato da tutte e quattro le mozioni alternative alla prima, gli anti-bertinottiani si preparano a votare contro la nomina del segretario e hanno deciso il loro aventino, l’astensione dalle cariche in tutti gli organismi che oggi verranno rinn ovati. E l’intervento di Bertinotti, è anche una dura replica alle critiche che in questi giorni lo hanno bersagliato. «Sento bisogno di tenerezza, di condivisione, di solidarietà» confessa Fausto, che risponde infervorato a chi lo ha tacciato di ragionare a colpi di maggioranza, di non aver dato spazio alle minoranze.
E a chi lo accusa della svolta «governista», Bertinotti replica stizzito: «Governista a chi?» e ricorda, ai pochi che se lo fossero dimenticato, che fu proprio lui a far cadere il governo Prodi sette anni or sono. Ma, continua il segretario, «il centrosinistra attuale non è più quello del ’96, perché l’intero contesto in cui oggi ci troviamo è completamente diverso da quello di dieci anni fa». Oggi, il Prc, o meglio, la sua maggioranza, ha scelto di «proiettare il partito nella società, sottraendosi alla logica del nemico-amico all’interno del partito». Rifondazione, però, andrà al governo. «Bisogna assumersi le proprie responsabilità». Ma io, precisa, «non farò mai il ministro». E il partito manterrà la sua autonomia. «Il partito non deve identificarsi con il governo». Se ci sarà uno sciopero sulle parole d’ordine della sinistra di alternativa, si farà, come è successo in Brasile «dove la ministra dell’ ambiente ha scioperato contro il governo Lula, e io - dice Bertinotti - ho pensato: è una cosa buona».
Il tema della guerra occupa parecchi minuti del lunghissimo discorso di Fausto Bertinotti, ed ogni frase ha un’unica, inequivocabile conclusione: le truppe italiane devono lasciare l’Iraq. Gli ultimi avvenimenti non hanno fatto che rendere ancora più decisa la richiesta di ritiro dei soldati che da sempre Rifondazione chiede fermamente: il governo, ora, dopo che il fuoco americano ha ucciso Nicola Calipari, deve fare qualcosa per dimostrare che «l’Italia non è serva degli Stati Uniti», deve compiere «un atto politico e morale per il Paese». L’applauso è scrosciante, la fine della partecipazione italiana alle avventure americane unisce tutto il popolo di Rifondazione che è così diviso su molti altri temi.
In conclusione, prima che partano le note delle canzoni che hanno accompagnato i dibattiti al Palazzo del Cinema - l’Internazionale, Bella Ciao, Redemption Song - Bertinotti lancia un appello che parla soprattutto ai dissidenti interni: «Vorrei che un giorno - dice - se qualcuno si ricorderà di me, possa dire “era un comunista”».




