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Bertinotti: "Progresso sociale e radicalità Il voto al Prc per cambiare il paese"
Publie le sabato 8 aprile 2006 par Open-PublishingUltima giornata di comizi e confronti con il segretario di Rifondazione comunista: finalmente si vota per ritirare le truppe, cancellare la precarietà, conquistare nuovi diritti e più potere a salari, stipendi e pensioni. L’aspettativa di Rifondazione? «Almeno il 6%»
di Claudio Jampaglia
«Se pensate che c’è bisogno di dare forza a una politica di riforme, che c’è bisogno di più sinistra nel prossimo governo, allora votate e fate votare Rifondazione comunista». Perché la possibilità di cambiare davvero torni a chiamarsi «progresso sociale», quello per cui padri e figli hanno lottato sperando in un domani migliore, faticando con dignità e l’idea di un benessere, di una società, di un progetto comune. E poi per cancellare la parola precarietà che ha inquinato la vita, per fermare la “rivincita di classe”, per ridare fiato a salari, stipendi, pensioni, per un paese civile, d’accoglienza e di nuovi diritti, per la pace. «Il cambiamento è nel paese reale come la necessità della sua radicalità».
» un fiume in piena Fausto Bertinotti nel comizio di chiusura della campagna elettorale. «Siamo a un passaggio storico per la vita del paese». Piazza Duomo risponde con cinquemila applausi, con ottimismo. Finalmente si vota, e c’è fiducia, quasi allegria, come quella portata in giro per la città dai giovani comunisti con una carovana di profilattici, cartine antiproibizioniste e sangria.
Dalla cattedrale all’ultimo fast food rimbomba nella piazza la domanda regina di questa campagna negli interventi di Bertinotti, di Maria Luisa Boccia, Graziella Mascia, Augusto Rocchi: «Con gli ultimi cinque anni di governo delle destre state meglio o peggio?». La risposta è nelle tasche, nelle paure concrete degli italiani scivolati al 23esimo posto nella classifica dei redditi dei paesi più avanzati. «Nel 1995 avevamo la media europea più alta, adesso siamo gli ultimi, sono stati anni di vera rivincita di classe». Lo dicono i 10 miliardi di euro di rendite finanziare e immobiliari senza un posto di lavoro e un’evasione fiscale da capogiro, tre volte superiore a quella francese o tedesca. «Stiamo peggio perché il lavoro è stato punito, profondamente, con salari e stipendi al palo, prezzi alle stelle e condizioni precarie di vita anche nelle zone ricche del paese». «Perché la famiglia si invoca solo per negare diritti, mentre a 30-40 anni non si riesce a costruirne una, con il non-lavoro per chi lavora nei call-center, ma anche in Trenitalia, nell’amministrazione pubblica, al Cnr». «Per questo speriamo di vincere le elezioni, come speriamo che i ragazzi, i lavoratori francesi vincano la loro lotta contro il Cpe, perché non c’è una buona società e nemmeno una buona Europa con un cattivo lavoro». E con una pessima scuola che torna all’idea della formazione professionale di cinquant’anni fa, «all’idea che devi adattarti a piegare la schiena tutta la vita per un lavoro qualsiasi». Come Bertinotti ricorda sempre, torna drammaticamente attuale la strofa di Paolo Pietrangeli sull’operaio che vuole il figlio dottore («Che tempi, contessa»). Adesso il paragone proposto dall’ex (speriamo) premier è addirittura tra figli dell’operaio e del libero professionista, il primo obbligato a scegliersi il mestiere a 15 anni, il secondo all’università di Letizia Moratti.
Ultima giornata di comizi, incontri, confronti, migliaia di chilometri e decine di migliaia di persone per una campagna «strana, singolare, incomunicante, come non avevo mai visto», racconta Bertinotti. Con i saldi finali di vane promesse, i colpi ad effetto: «Una campagna inquinata come la cattiva politica che rimbomba nelle teste per stupire la gente, come l’avanspettacolo». Mentre sui treni, davanti alle fabbriche, nelle piazze la gente chiede risposte, vorrebbe sapere del suo domani. Bertinotti comincia da un confronto in videochat con Gianni Riotta e i lettori del Corriere senza reticenze: «Essere ricchi non è affatto una colpa, basta che si paghino le tasse». E con grande chiarezza: «Occorrono anche le manette contro gli evasori, visto che va in galera chi fuma qualche spinello...». Le elezioni? «Mi aspetto che Rifondazione comunista ottenga almeno il 6%». La speranza? «Che il governo Prodi realizzi una vera democrazia partecipata. E poi mi piacerebbe che sulla bandiera dell’Unione ci fosse scritto: Italia, Paese deprecarizzato». E la destra? «Con la sconfitta di Berlusconi, ci sarà un terremoto dalle dimensioni imprevedibili. La geografia politica dell’Italia alla fine della prossima legislatura non sarà quella di oggi».
Poi a Crema, nella cornice di una delle tante belle piazze italiane, porticati, il duomo e il palazzo del podestà. Bertinotti scalda i cuori dei 500 convenuti alle quattro del pomeriggio con un appello a votare e far votare, soprattutto in questo Nord dai tratti complessi, con la Lega a pochi metri a issare barricate contro la Cina, gli arabi, l’Islam, gli zingari, nella riproposizione del capro espiatorio, l’altro colpevole di tutto quello che non riusciamo a essere. «Non cediamo alla prigione mentale per cui chi è distante da noi è perso, c’è un coinvolgimento delle persone che va oltre la tv e gli schieramenti», insiste Bertinotti. «C’è sempre più gente che guarda con preoccupazione e ansia a un domani incerto, noi vogliamo e dobbiamo coinvolgerli tutti». E poi ancora a Bergamo, altro Duomo, altre duemila persone, bandiere e un «grazie a tutti e tutte» che ora dopo ora si fa più carico di volti, storie, speranze.
La campagna e lo stile di Rifondazione non sono scesi al gioco al rialzo della febbre elettorale, dell’insulto, del vuoto catodico. La Carovana e le centinaia di iniziative in tutti i paesi hanno provato a disegnare «un nuovo patto tra popolo e governo, superando il tutti contro tutti, la guerra civile strisciante, il distacco abissale dai problemi della gente di cinque anni di governo del centrodestra orrendi», «per dare al governo la capacità di ascoltare e suscitare passione e partecipazione». Le stesse di queste piazze, da Catania alla Val Susa, che hanno accompagnato Rifondazione e il suo segretario nella sfida di spostare il baricentro della politica più a sinistra, per una nuova stagione di democrazia con la spinta dei movimenti, «senza governi amici», con il confronto, l’onestà e la voglia di alternativa su cui il Prc ha scommesso ben oltre il programma e le migliori intenzioni dell’Unione. A partire dal primo atto che Bertinotti ancora una volta chiede: «Il ritiro delle truppe dall’Iraq». Perché l’inversione comincia da lì, dalle grandi questioni di giustizia sociale, pace e lavoro. E inizia votando Rifondazione.