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Bertinotti, Rifondazione Comunista e l’attuale fase politica

Publie le martedì 18 dicembre 2007 par Open-Publishing

di Luigi Vinci

Do per nota a chi legga l’intervista di Fausto Bertinotti del 4 dicembre su Repubblica. Ne condivido le considerazioni critiche sull’anno e mezzo di esperienza di governo Prodi, in specie quelle che affermano la separazione degli orientamenti di questo governo dall’insieme dei capitoli di attesa del popolo di sinistra, quindi la crisi dell’Unione. Non sto a elencare questi capitoli. Condivido anche il giudizio di una difficile reversibilità della situazione. Non sembrano essercene le condizioni né nel quadro parlamentare, né nella vicinanza del Pd al “poteri forti”, né nella condizione per molti aspetti preoccupante del popolo di sinistra, che all’esperienza di governo deve una disarticolazione pratica e alcune fratture profonde.

Il popolo di sinistra inoltre, essendosi in parte non irrilevante orientato all’astensione, ha ridislocato a destra l’equilibrio del paese, quanto meno in sede di consenso elettorale agli schieramenti politici. Si potrebbe solo continuare, fuor di retorica, a tentare di ridurre i danni del liberismo delle forze prevalenti di governo e della loro subalternità al complesso dei poteri sistemici, come d’altronde, sempre fuor di retorica, si è solo riusciti a fare per un anno e mezzo: ma probabilmente scontando che il discredito dell’esperienza di governo nella società continuerà e che ciò incrementerà la situazione già preoccupante del popolo di sinistra.

Inoltre incrementerà la condizione disastrata di Rifondazione Comunista: che se certamente non deve all’esperienza di governo, ma a limiti e a processi interni di più lunga lena, i suoi difetti di balcanizzazione in correnti e sub-correnti, di spappolamento organizzativo e di perdita di forze attive, deve senz’altro a quest’esperienza un incremento di questi difetti e, in più, una grave crisi dei propri legami sociali e di movimento. E fin qui, cioè sull’analisi, esplicita o implicita che sia, che fa Fausto secondo me ci siamo.

Tuttavia, debbo proprio aggiungere, da parte di Fausto Bertinotti sarebbe doverosa, certo non su Repubblica ma da qualche altra parte, anche un’onesta autocritica. Infatti, primo, in quanto di uno sbocco così negativo dell’esperienza di governo egli è uno dei principali responsabili, e in Rifondazione Comunista quello fondamentale; e in quanto, secondo, egli ha voluto recuperare direttamente a sé, in questi ultimi mesi, un ruolo di primario reggitore del partito: essendo chi ne sta decidendo e gestendo, scavalcando o sostituendosi a discussioni, organismi e responsabili di partito, prospettive di governo, rapporti con Prodi, rapporti con il Pd e segnatamente con Veltroni, posizioni e disponibilità in fatto di legge elettorale, posizioni nell’eventualità di una caduta del governo, insomma essendo chi sta decidendo per conto di Rifondazione su buona parte delle questioni oggi obiettivamente cruciali dal punto di vista del suo futuro profilo qualitativo e della sua stessa sopravvivenza, oltre che obiettivamente cruciali per tante altre ragioni.

Questo sbocco così negativo dell’esperienza di governo, infatti, era tutt’altro che obbligato, e nel quadro stesso, a mio avviso, di una partecipazione; inoltre che tale sarebbe stato lo sbocco era possibile capirlo dai primi giorni di quest’esperienza, quando partì un impressionante bombardamento di tentativi di distorsione liberista od oscurantista (dipende dalle questioni) da parte dei nostri interlocutori moderati di governo, e, in specie, da quando Padoa-Schioppa e Prodi, in concorso con la Commissione Europea, posero in testa all’agenda di governo l’obiettivo di continue significative riduzioni del debito pubblico operando ben oltre i dettati in materia di recupero del deficit posti dai Trattati dell’Unione.

Fausto Bertinotti rifiutò di ragionare su questi fatti: e Rifondazione Comunista passò più o meno un anno ad affermare, contro ogni evidenza, che il governo stava operando misure significative sul piano di una redistribuzione del reddito verso il basso della gerarchia sociale; inoltre, pur avendo smesso da qualche tempo di parlare di queste cosiddette misure significative, Rifondazione si è trovata a oggi obbligata a sacrificare al loro conseguimento tutto il resto delle attese e degli obiettivi di popolo di sinistra, o quasi. La linea infatti aveva continuato a darla Fausto, mettendoci sopra i carichi da undici di tutto il suo carisma, della sua posizione istituzionale e della sua facilità di accesso ai mass-media.

Non solo, dunque, egli aveva prospettato l’esperienza di governo, alla vigilia e all’inizio, come di “sinistra-centro”, anzi addirittura suscettibile di orientarsi, grazie a spinte sociale e di movimento, sul terreno dell’“alternativa”; non solo egli, coerentemente, aveva deciso di sacrificare la presenza quantitativa e qualitativa di Rifondazione Comunista nel governo alla conquista di una postazione istituzionale, quale la presidenza della Camera, ritenuta più fungibile appunto all’“alternativa” per la sua prestigiosità e per la sua fungibilità sul piano propagandistico: ma poi era andato avanti per un anno a elogiare Prodi o a dirci che Padoa-Schioppa e Marchionne (preso a simbolo di un capitalismo “produttivo”) erano “brave persone”.

Ma mi fermo qui, benché fino a tempi abbastanza recenti se ne siano sentite di tutte e anche di più, dato che, ragionando sull’intervista di Fausto a Repubblica, non si tratta tanto di rimuginare sul passato quanto di mettere a fuoco, per non essere indotti ancora una volta come partito a ripeterli o a subirli, quegli errori politici di tipo generale che sono stati e continuano a essere tipici di Fausto.

In Fausto Bertinotti, intanto, manca di norma una comprensione delle componenti moderate della sinistra che sia su base realistica, anziché a partire da presupposti ideologici assai rigidi. Sono constatabili poi sempre di norma in Fausto genericità (pseudo-categorie) onnicomprensive di valenza cataclismica, e come tali fondamentalmente inutilizzabili in sede di comprensione degli accadimenti reali, se non nel senso di consentirgli di glissare sui suoi specifici errori, quali la “crisi della politica”, oppure sono constatabili genericità fortemente distorsive, in quanto riduttive del complesso degli accadimenti a loro tendenze particolari, quali la politica che tenderebbe, per mano liberista, a essere subordinata al “mercato” (la politica oggi risulta invece, in via essenziale, protagonista continua di una mercatizzazione dell’intero sociale e del suo “ambiente”, poiché si tratta della realizzazione di una condizione anti-antropologica forzosa di tale intero), oppure tenderebbe a risistemare il complesso delle relazioni sociali in forma di “impresa” (confondendo con ciò processi attinenti, per via di decisioni liberiste dei poteri politici, alle istituzioni pubbliche con processi attinenti all’intero sociale).

Invece non c’è di norma in Fausto ciò che servirebbe a una posizione critica antisistemica adeguata; non c’è, cioè, che cosa esattamente siano i rapporti (stretti, complessi) tra PD (ieri in specie DS) con le imprese e con la grande finanza, non ci sono le forme di disgregazione sociale (di classe, territoriali, culturali) portate dagli atti di governo nazionale e locale dettati dal PD (ieri in specie dai DS), non ci sono le forme incipienti di nuova aggregazione sociale ipotizzate e praticate dal PD (ieri in specie dai DS), e questo nonostante tali forme stiano ormai vistosamente avvenendo attorno a una riorganizzazione dei poteri sistemici economici, mediatici e politici centrata su questi ultimi, ergo sulla governance (si veda, per esempio, come la Lombardia di Formigoni stia facendo da tempo scuola alle regioni di centro-sinistra, quelle ex rosse comprese); sicché non c’è in Fausto ciò che profondamente, non già accidentalmente o incongruamente, significhino ipotesi, proposte e atti del PD (ieri in specie dei DS) sul piano generale del dominio, della riproduzione sociale e dell’intero sociale stesso.

In termini ancora più ampi, non ci sono di norma in Fausto la complessa pertinenza riflessiva della politica e la complessità dunque delle sue relazioni agli altri momenti dell’intero sociale, la complessità dei processi di determinazione della politica rispetto a questi altri momenti e quella delle determinazioni che da questi altri momenti essa subisce. Insomma in Fausto non c’è il Duemila, ma neanche gran parte del Novecento, con i loro tentativi di rifondazione del marxismo e del socialismo, con la complessità delle loro culture antisistemiche, c’è invece qualcosa che assomiglia molto, nonostante prestiti lessicali d’altra fonte e qualche intuizione discontinua anche importante, al marxismo deterministico, teoricamente economicista e politicamente politicista, di fine Ottocento.

Ed è quindi tutto questo che porta di norma Fausto all’innamoramento di ipotesi semplificate di relazione, cooperativa o conflittuale, alla sinistra moderata e che inoltre, quando egli constati, empiricamente, che le ipotesi non hanno funzionato, oppure irrompa nel quadro generale un qualche fatto altamente significativo (come, in tempi relativamente recenti, il movimento altermondialista), lo porta a ribaltarle nel loro contrario, ovvero a oscillazioni di linea di 180 gradi. Avevamo le due sinistre, ricordate?, una di alternativa antisistemica e l’altra irrecuperabilmente e organicamente liberista, e improvvisamente quest’ultima, grazie alla bacchetta magica dei movimenti, è diventata addirittura disponibile all’“alternativa” (credo di capire che questo termine, vaghissimo, voglia significare in Fausto un processo di passaggio in avanti nella forma di società, o quanto meno un robusto processo riformista, o magari un’integrazione delle due cose).

Inoltre tutto questo porta di norma l’agire politico di Fausto, più concretamente, a rifiutare alla radice la manovra politica (la “tattica”), quando nella sinistra moderata egli veda solo nero liberista, e questo anche al costo di aprire la strada a Berlusconi, oppure lo porta ad affidarsi totalmente alla manovra, quando nella sinistra moderata egli ottimisticamente intravveda un potenziale rosso alternativa, oppure quando, come è oggi, egli pessimisticamente ritenga che si tratti primariamente di tutelare Rifondazione Comunista, date le condizioni di estrema debolezza in cui l’esperienza di governo l’ha infilata, dall’eventualità tutt’altro che improbabile di una legge elettorale che le dia il colpo di grazia, o quanto meno dapprima la marginalizzi istituzionalmente e poi socialmente.

E così eccoci qualche anno fa alla costruzione di un rapporto fiduciario Bertinotti-Prodi caricato di speranze assolute, avendo trasformato le modeste attitudini alla carità cristiana di Prodi e quelle sue modeste motivazioni tattiche che lo portavano ad accettare un rapporto stretto a Fausto nell’ideazione di un Prodi potenzialmente antisistemico, c’era solo che questi non sapeva di esserlo, poi, adesso, eccoci alla distruzione del Prodi traditore del rapporto fiduciario assoluto, e parimenti eccoci al tentativo di costruzione di un nuovo rapporto fiduciario assoluto, stavolta con Walter Veltroni, ciò che dovrebbe appunto consentire di risolvere tutti i guai nei quali Rifondazione Comunista è stata infilata. C’è, infine, tutto un lessico che Fausto ha ripreso o ha adattato a supporto di questo suo approccio pratico alla politica: il “salto del cavallo”, lo “scompigliare le carte”. Si tratta dunque, anche questo lo dimostra, di un approccio che è davvero dentro a una concezione, e a una concezione i cui portati possono essere sia troppo a destra (rispetto a un buon asse critico antisistemico) che troppo a sinistra, e magari tutt’e due le cose assieme (com’è proprio, in concreto, nell’intervista a Repubblica).

Mentre l’effetto controproducente di precedenti svolte non si è manifestato immediatamente, oppure non è stato il solo effetto ma parte di un insieme di effetti assai contraddittorio, quello controproducente della svolta in corso, ergo del passaggio dal rapporto fiduciario Bertinotti-Prodi al tentativo di rapporto fiduciario Bertinotti-Veltroni, è stato immediato e a tutto campo: marasma, a molta fatica contenuto, nei rapporti tra Rifondazione Comunista e gli altri partiti protagonisti del “soggetto unitario e plurale” della sinistra, effetti d’opinione e di quadro politico del pesante attacco personale a Romano Prodi tutti di grave danno all’immagine e alla credibilità di Rifondazione, difficoltà notevoli allo stesso tentativo di Fausto Bertinotti di rapporto a Walter Veltroni, quindi incremento delle difficoltà, nel caso di un rifacimento per via parlamentare della legge elettorale, relative alla produzione di una legge su base sostanzialmente proporzionale anziché su una base maggioritaria oppure proporzionale vigorosamente truccata. Giova una riflessione su alcuni tra questi punti e anche trarre una qualche conclusione.

Intanto, allora, giova soffermarsi sugli effetti negativi larghi (di quadro politico, di opinione pubblica) dell’attacco personale di Fausto Bertinotti a Romano Prodi. Intanto quest’attacco ha portato a una risposta da parte di Prodi (attraverso il sottosegretario Micheli), della stessa presidenza della Repubblica e dello stesso Walter Veltroni di non poca durezza: “scarso senso dello stato” ci sarebbe in Fausto, la legge elettorale già concordata con lui e domani con Rifondazione Comunista si sarebbe fatta meno probabile. Anche Pietro Ingrao ha segnalato, pur nel modo civile e discreto che gli è proprio, un suo disagio. E dunque se dopo un’eventuale prossima crisi di governo si andasse subito alle elezioni sarebbe durissima affrontarle da parte di Rifondazione, e durissima trarne un decente risultato, contrastata come sarebbe dagli atti di una guerra politica totale da parte di un PD atteggiato a vittima e ferocemente attaccati dall’universo dei mass-media; e forse Rifondazione neppure riuscirebbe ad affrontarle assieme alle altre forze di sinistra, o a una loro parte. Se invece, dopo una tale crisi, ci fosse un governo istituzionale oppure tecnico oppure di larghe intese, la sinistra e Rifondazione in essa sarebbero in balia di decisioni totalmente o quanto meno assai largamente altrui in fatto di legge elettorale.

E’ dunque proprio per questo che Fausto, visto cioè come stava andando, ha dovuto ripiegare in capo a soli cinque giorni, dichiarando, leggo il 9 dicembre sulla stampa quotidiana, che il governo Prodi non deve cadere ma al contrario durare per l’intera legislatura. Ora questa correzione di tiro, benché la stampa quotidiana, a partire da Repubblica, si affanni a definirla come una sorta di abile “ritirata strategica”, è una Caporetto dalla quale Rifondazione non esce molto bene. Sono stati evitati, prospetticamente, danni giganteschi, ma al prezzo di danni immediati non proprio irrilevanti, quali una marcata connotazione di inconcludente velleitarismo e di inutile protagonismo. Poi giova soffermarsi su alcune ipoteche calate dagli effetti negativi dell’intervista di Fausto a Repubblica sulla prospettiva del soggetto unitario della sinistra.

Una nuova legge elettorale maggioritaria o proporzionale vigorosamente truccata potrebbe indurre a fughe da questo soggetto verso un rapporto con il Pd, sulla base dell’elementare attesa di una rappresentanza nelle istituzioni non ridotta numericamente a molto poco. O, alternativamente, una tale nuova legge elettorale potrebbe indurre i quattro partiti a monopolizzare la gestione del soggetto unitario, inoltre potrebbe portarli a scontri continui per le postazioni di direzione e gestione, allo scopo di massimizzare le proprie individuali proiezioni istituzionali: mortificando così ogni tipo di forza non partitica confluente e finendo con l’allontanare gli aderenti al soggetto unitario che non abbiano tessera di partito e in specie quelli provenienti dalle associazioni e dai movimenti. Verrebbe in questo modo disperso un patrimonio quantitativamente notevole e qualitativamente inestimabile di partecipazione, di vertenze, di capacità di lotta, di competenze.

La conclusione che si impone non può che essere quella di un recupero di autonomia reale da Fausto Bertinotti da parte dei vari momenti di direzione e di gestione di Rifondazione Comunista. Fausto esiste, ha dato a Rifondazione Comunista contributi molto importanti, ci si è logorato, è simpatico, intelligente, sperimentato e colto, gli vogliamo bene, sta tentando un’interessante impresa sul piano teorico, continueremo ad ascoltarlo e a leggerlo con rispetto e con attenzione: tuttavia come ogni essere umano, e a maggior ragione come ogni dirigente politico, egli è perfettibile, può sbagliare, inoltre è suscettibile di perdere, poco o tanto che sia, il senso della misura e anche quello della realtà.

Non è più il capo onnipotente di Rifondazione, non ne è neppure un segretario non onnipotente ma razionale-democratico, non partecipa (giustamente) ai suoi organismi politici, basta dunque con il “partito di Bertinotti”. Questa rappresentazione mediatica della realtà di Rifondazione è un insulto insopportabile ai suoi aderenti, alla loro partecipazione, ai suoi organismi, alla sua democrazia: equivale a dire che strutturalmente, ovvero sul piano sostanziale degli assetti interni e su quello della concezione stessa della politica, Rifondazione non è per niente diversa da Forza Italia o dal PD, partiti a-democratici e a regime personale su base plebiscitaria. Certo i degradati mass-media italiani fanno il loro mestiere di gazzettieri del liberismo e delle sue richieste di riduzione radicale della democrazia: sul versante della sinistra non si può però continuare a sottovalutare il rischio di un contagio del modello di partito da essi feticizzato.

Per carità, ho stima di Fausto, sono certo che la sua volontà non è affatto di cambiare la natura di Rifondazione, la condizione sua più di fondo è in questo momento data dalla preoccupazione di assicurarle un rilancio, in solido alle altre forze di sinistra: tuttavia occorrerebbe da parte sua una maggiore attenzione agli effetti, nella rappresentazione mediatica della politica, di ogni suo atto, essendo egli, per il ruolo che copre e per le capacità politiche e culturali che esprime, uno degli attori importanti di questa rappresentazione. In più occorrerebbe maggiore attenzione al fatto che Rifondazione non può recuperare risorse e capacità senza discussioni che non siano sistematicamente stressate dalla congiunzione di sovrapposizioni mediatiche e di sostituzioni rispetto alle proprie procedure e alle proprie istanze legittime in sede di gestione e di assunzione di decisioni. In più, ancora, occorrerebbe maggiore attenzione al fatto che il processo del soggetto unitario della sinistra ha analoghe esigenze.