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Bertinotti: così governerà l’Unione

Publie le martedì 25 aprile 2006 par Open-Publishing

di Stefano Bocconetti

L’analisi del voto nella relazione del segretario al Cpn.

Vittoria di misura ma che non «oscura» - ed eccoci alla relazione al Cpn - il «centro della questione»: la sconfitta del progetto di Berlusconi. Progetto ambizioso di un leader della destra che, a dispetto di quanto spesso si pensa, non è uno sprovveduto.

Un progetto pericoloso, che aveva - se così si può dire - quasi un «respiro antropologico». Perché mirava a mutare la percezione di sé delle persone, dei propri diritti e su questo far leva per disegnare nuovi assetti istituzionali, che facessero saltare tutto ciò che è democrazia diffusa. Ma è stato battuto. Battuto dalla rinascita dei conflitti sociali, che sono riusciti a inserirsi nell’«onda lunga» dei movimenti internazionali di rivolta alla globalizzazione. Battuto alla fine anche dal voto.
Certo, per un pugno di voti. E qui Bertinotti coglie un dato, un primo dato per spiegare la ripresa delle destre. Perché, racconta, ci sono zone, aree, fabbriche - che chiama «sprofondi» - dove non solo non è riuscita ad entrare la proposta dell’Unione. Non è entrata proprio la politica, vista come estranea da persone spogliate di tutto: delle tutele ma soprattutto del diritto al futuro. Da un sistema che ha fatto della precarietà la sua cifra.

Mentre invece proprio rimettendo al centro della propria iniziativa, anche in questa campagna elettorale - o almeno nella campagna elettorale vera, quella fatta fra la gente, non quella parallela e un po’ grottesca «che si è svolta in tv» - la lotta alla precarietà, che Rifondazione ha ottenuto il suo successo, decisivo per battere le destre. Un successo che sembra avere una chiave di spiegazione semplice: è stato più marcato laddove Rifondazione è stata percepita come parte integrante dei movimenti di lotta, delle vertenze. Laddove è stato percepito come partito «aperto». E pobabilmente laddove è stato percepito come il partito che ha investito davvero, e senza remore, sull’unità della coalizione, senza rinunciare al proprio profilo strategico.

Ma adesso c’è la sfida del governo. Per parlarne c’è bisogno di una premessa. Non secondaria. Nel senso che Bertinotti spiega che i fenomeni che stanno avvenendo gli hanno imposto di ripensare criticamente a scelte fatte nel passato. Per capire: 10, 15 anni fa, l’alternanza significava né più né meno offrire la possibilità di governi diversi dentro un unico quadro. Dentro un recinto chiuso. Allora, l’alternanza era opposta all’alternativa. Quest’ultima era l’obiettivo di chi proponeva di rompere la gabbia delle compatibilità. Ma oggi - ovunque - la filosofia che era alla base di quel mondo, il neoliberismo, è in crisi di consensi. Tanto che la vera minaccia ora è la Grande Coalizione, come quella della Merkel, come quella prospettata in da Berlusconi.

E allora, dice il segretario, l’alternanza non può più essere vista come opposta all’alternativa. Oggi l’alternanza può indirizzarsi verso l’alternativa. Al punto che Rifondazione si farà «sentinella dell’alternanza». Una definizione, quella del segretario che subito suscita dibattito. Non è completamente d’accordo, per esempio, Salvatore Cannavò - della Sinistra Critica - secondo il quale il rischio della grande coalizione non viene solo dalle fila della destra ma nasce da dentro l’Unione. «Nasce da Padoa Schioppa all’Economia». Nasce quando e se l’Unione si troverà in difficoltà al momento di votare sul rifinanziamento della missione in Afghanistan. «E a quel punto che facciamo?», si domanda Cannavò. Dalla presidenza, gli rispondono con un’altra domanda: «E che facciamo cadere il governo?».

Sono battute che riflettono un’assemblea forse diversa da tante altre. Un’assemblea attentissima a tutti i passaggi. Soprattutto a quelli chiave. Come quando si prova a definire il ruolo, il vero ruolo che Rifondazione vuole giocare al governo. C’è nell’immediato l’impegno a realizzare il programma dell’Unione. Continuando come si è fatto nella sua stesura: senza mettere bandierine di partito ma battendosi ogni giorno per la sua realizzazione. L’ambizione però è decisamente più grande: «Noi abbiamo un’idea del governo come governo allargato», dirà Bertinotti. Che punti ad allargare la partecipazione, a suscitarla, che sappia costruire democrazia. D’altronde non c’è alternativa: perché si può governare, da Palazzo Chigi, col 51% dei consensi. Ma non lo si può fare nel sociale: «Qui c’è bisogno di conquistare nuove, più ampie maggioranze».

Insomma, pure, la critica alla «stanza dei bottoni», si arricchisce: non è più solo la critica a chi considera il governo il proprio fine. L’obiettivo ora è attraversare la «stanza dei bottini», farne una leva, una delle leve, per attivare processi sociali. In grado, quelli sì, di costruire l’alternativa. Come? Lo strumento, è quello della sezione italiana della sinistra europea. Due progetti, l’avvio del governo dell’Unione e la nascita di una sinistra d’alternativa, che possono marciare assieme. Che debbono marciare assieme. Come antidoto alla minaccia di Grande Coalizione. «Minaccia - dirà in uno dei primi interventi Graziella Mascia - che sarebbe allontanata anche dall’elezione di Bertinotti alla Presidenza della Camera».

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