Home > Bertinotti: nel ’56 fu rivolta di sinistra
Budapest
Le ragioni della sinistra non possono mai essere dalla parte della repressione e dei carri armati. Il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, era ieri a Budapest in occasione del cinquantenario della rivolta anti-sovietica: «I conti con la storia non si chiudono mai - osserva Bertinotti - certo che oggi inequivocabilmente si può dire che se esiste una ragione per il futuro della sinistra, questa nel 1956 viveva qui dalla parte degli insorti e non dalla parte dei carri armati dell’Unione Sovietica». Un mese fa il presidente della repubblica Giorgio Napolitano era stato sulla tomba del leader della rivolta Imre Nagy per rendere omaggio al leader sia come presidente della repubblica che come ex leader del partito comunista italiano disposto a un «mea culpa» formale ed esplicito.
Ora è il presidente della camera a fare lo stesso con un gesto che potrebbe far discutere almeno un pezzo del partito di cui fa parte ed è stato a lungo segretario, Rifondazione comunista. «La repressione operata tragicamente nei confronti degli insorti - ha spiegato Bertinotti - l’intervento armato, l’invasione dell’esercito dell’Unione sovietica ha scritto una delle pagine più angoscianti e terribili della storia moderna. Quali che siano le nostre propensioni politiche quello che va acquisito per il futuro è che gli insorti interpretavano le ragioni nazionali e democratiche di un paese. Quando rivolte popolari accadono la politica se non sa ascoltare, diventa una forma brutale di repressione che contraddice le sue ragioni stesse di essere».
Non è stata un’abiura del comunismo, ha detto subito dopo Bertinotti spiegando che continuerà a dirsi comunista fino a che ci sarà il capitalismo: «Vorrei quasi rispondervi che mi dico comunista per tigna - ha detto ai giornalisti presenti sserva - ma poi credo che perché si determini la situazione di negare la possibilità di dirsi comunista, bisognerebbe dimostrare che non esiste più il lavoro salariato e l’alienazione capitalistica. Allora la parola comunista sarebbe finita, solo allora: finito il capitalismo, saremmo entrati in un’altra società e tutto l’armamentario del comunismo non sarebbe più utilizzabile, perché si riferisce a un’altra società. Se scompare il capitalismo finisce anche il comunismo».
Sull’Ungheria, però, è necessaria una riflessione: «Questa è stata una tappa, quello che è accaduto qui è stata una tragedia, che per qualcuno lo è di più che per altri, perché chiama in causa una corresponsabilità per quanto indiretta e in senso lato. Qui è venuto prima di me ad inginocchiarsi Willy Brandt. Qui è stata scritta una pagina grande della storia d’Europa, che ci avverte tutti del rischio di un potere che, restraniandosi dal popolo, diventa soltanto oppressione».
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/11-Ottobre-2006/art36.html