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Big e peones tra precarietà e paure"Ma stavolta Silvio ne verrà fuori?"
Publie le venerdì 19 giugno 2009 par Open-Publishing1 commento
Nel Pdl riprendono quota le correnti, Giuliano Ferrara scuote il premier
Per non perdere il sostegno della Chiesa, si pensa di accelerare sul biotestamento
ROMA - Nel centrodestra non era mai accaduto. La parola "rassegnazione" o il termine "precarietà" erano banditi dal vocabolario politico scelto da Silvio Berlusconi. E invece nell’ultima settimana sono spuntati fuori come se fossero sgraditi neologismi. Attraversano tutta la maggioranza. Scuotono i "big" e i peones. Suscitando per la prima volta la voglia di scendere dal carro del Cavaliere.
Un dramma messo in scena negli ultimi due giorni nel teatro di Montecitorio. Protagonisti gli uomini del Pdl seduti ai loro banchi. Sempre sereni e decisi nell’ultimo anno, ora tesi e dubbiosi. "Altro che 25 luglio - si lascia scappare allora Mario Pepe, forzista di Salerno - Almeno il Gran Consiglio votava l’ordine del giorno Grandi, qui non si vota da nessuna parte".
Nervosismo tangibile. Preoccupazione per il futuro. Il passaparola tra gli scranni della Camera diventa un ritornello: "Questa volta ne esce fuori?". "Certo la situazione è difficile - ammette Peppino Calderisi -. Ci si mette pure Ghedini a dire che Berlusconi sarebbe un "utilizzatore finale" delle ragazze. Come andrà a finire?". Dubbi tanto diffusi che mercoledì proprio nell’emiciclo di Montecitorio era iniziata a circolare la voce del tutto infondata che il capo del governo si sarebbe dimesso il giorno successivo.
Un clima che il presidente del consiglio ha colto perfettamente. È rimasto scosso dall’editoriale di Giuliano Ferrara sul "Foglio": il confronto è proprio con il 25 luglio di mussoliniana memoria. La situazione è "seria", ha scritto, e il Cavaliere deve cambiare per non "naufragare in un lieto fine fatto di feste e belle ragazze". Il timore che il segno della legislatura sia cambiato ha dunque investito pure Palazzo Chigi. Il premier sta pensando ad una "reazione per cambiare registro". Al momento, però, la nube che avvolge il Pdl si fa sempre più pesante. Tutti sembrano prepararsi al "fuggi fuggi". Non si parla d’altro. "Luca Barbareschi - rivela ad esempio il toscano Roberto Tortoli - è pronto ad andarsene. Sta preparando le valigie". Gli occhi poi vengono puntati sui piani alti. Quelli occupati dai "pretendenti" alla successione. A Gianfranco Fini, ma anche a Giulio Tremonti e a Mario Draghi. Del resto i contatti del ministro dell’Economia con l’opposizione hanno indispettito il Cavaliere. Il presidente della Camera invece è rimasto in silenzio. Neanche un parola in difesa del governo e sull’inchiesta di Bari. Il premier non si fida di lui. Persino l’idea di modificare al Senato il ddl sulle intercettazioni è saltata per i sospetti sull’alleato: "se torna alla Camera, risprofonda nella melma preparata dalla Bongiorno".
Nel frattempo scoprono nuova vita le "correnti". La paura che questo sia "l’inizio della fine" spinge tutti a organizzarsi. Gli ex Dc utilizzano il centro come scialuppa di salvataggio. I colloqui tra Beppe Pisanu e Pier Ferdinando Casini si intensificano. Gianfranco Rotondi si rivolge addirittura a Ciriaco De Mita: "È un ritorno al futuro, la premessa di una nuova unità dei cattolici, come serve oggi all’Italia". I Club della libertà di Mario Valducci cercano spazio. Raffaele Lombardo in Sicilia fa sudare le proverbiali sette camicie alla maggioranza. Gianfranco Micciché punta ad una "Lega del sud". Francesco Nucara, segretario del Pri, avverte che non rinuncerà mai al suo simbolo. Eppoi c’è il terrore dell’isolamento a livello internazionale. Hans Poettering, popolare e presidente uscente del Parlamento europeo, è chiaro: "Anche se qualcuno nella nostra famiglia ha un comportamento che non piace a tutti, questo non può avere effetto su chi non ha avuto quel comportamento".
Per non perdere il sostengo della Chiesa, a Via del Plebiscito stanno pensando di accelerare la legge sul testamento biologico. A puntellare con convinzione il Cavaliere, al momento c’è solo Umberto Bossi. Pronto a evitare che il clima da 25 luglio non precipiti rapidamente in uno da "Repubblica di Salò". Berlusconi, però, non molla. È pronto alla battaglia, anche in termini giudiziari. In passato, del resto, ha sempre risollevato la testa recuperando insospettabili energie, anche fisiche. "Dobbiamo sperare - dice Daniela Santanché - nella sua genialità. Magari farà un "Predellino due". Il presidente ha sette vite e quando lo vogliono ammazzare, lui ammazza gli altri".
(19 giugno 2009) www.repubblica.it
Messaggi
1. Big e peones tra precarietà e paure"Ma stavolta Silvio ne verrà fuori?", 19 giugno 2009, 12:13
Fonte: http://tinyurl.com/l5f8wp
Gli amici se ne vanno, Fini e Ferrara "diffidano" il cavaliere
di Susanna Turco
Qualche anno fa, trovandosi a immaginare quale sarebbe potuta essere un giorno la conclusione della carriera politica di Silvio Berlusconi, Carlo De Benedetti azzardò: «Non so quale. Ma sarà drammatica, eccezionale, travolgerà tutto».
È più o meno questa, ormai, la preoccupazione che comincia a serpeggiare anche negli ambienti del centrodestra. Preoccupazione per un «lento declino» negli uni, sensazione negli altri che «piuttosto di un 25 luglio, rischiamo un 25 aprile, ossia una piazzale Loreto ma senza l’elemento tragico, con il banco che salta per colpa di qualche signorina». Prospettive non esenti da rischi che portano le prime file degli indiziati - come Gianfranco Fini - a negare un qualsiasi disegno per il post Berlusconi («se c’è un complotto odora di finanziario e clericale. E lui è un laico lontano dalla finanza», avverte il finiano Granata). E a lasciar trapelare - sempre Fini - una certa preoccupazione per gli scenari che si potrebbero disegnare.
Silvio come Drogo
Il presidente della Camera, peraltro, si è (involontariamente, assicurano) intestato la più efficace delle metafore della giornata. Silvio Berlusconi come il tenente Drogo, la Fortezza Bastiani come Palazzo Grazioli, il Deserto dei Tartari come l’Italia di oggi, vista con l’occhio del Cavaliere che dal suo fortino grida al complotto. La suggestione è tanto affascinante quanto implicita, il nome non viene pronunciato, è ovvio, e anzi si nega ogni malizia. Eppure il collegamento è inevitabile, quando Fini, aprendo il convegno su “Nazione, Cittadinanza, Costituzione”, accenna alla pulsione tutta italiana «che si traduce nel paventare l’aggressione di chissà quale nemico, interno o esterno». Nazionale o internazionale. Prosegue l’ex leader di An: «Non c’è modo migliore per tratteggiare tale ansia che rileggere il Deserto dei Tartari. Asserragliato nella Fortezza Bastiani, il tenente Drogo vive nella perenne attesa dei “barbari”. E quando i Tartari verranno, egli non li vedrà».
Il Cav. come Mele?
Parole che ben si armonizzano con la sferzante critica a Berlusconi pubblicata ieri da Giuliano Ferrara. «Un premier non si difende così», diceva l’Elefantino sul "Foglio", «dunque si decida: o accetta di naufragare in un lieto fine fatto di feste e belle ragazze, oppure si mette in testa di ridare il senso e la dignità di una grande avventura». Altrimenti detto: torni a fare politica, o finirà travolto dallo scandalo, come Cosimo Mele. Il timore, peraltro, è lo stesso che serpeggia tra gli stessi parlamentari del Pdl. «C’è una forte preoccupazione», riferiscono alcuni tra i meno inclini a drammatizzare: «Non si teme tanto la scossa. Si percepisce però che la soglia della decenza è vicina e quindi il rischio di un arrestabile declino».
Non per nulla,i l’indice di popolarità di Berlusconi è ormai crollato a 52. Intanto, nei vertici meno allineati del Pdl si ragiona sulla «pericolosa fase di incertezza che potrebbe aprirsi». «Ha detto bene Veronica Lario», dice un finiano: «Il dittatore non è Berlusconi, rischia di esserlo chi verrà dopo». Perché il Cavaliere non è un qualsiasi segretario Dc «che si fa da parte. Con lui crollerebbe un sistema, il vuoto sarebbe spaventoso. E chi pensa di gestirlo, potrebbe finire come l’apprendista stregone».
19 giugno 2009