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Bologna : Fini è col sindaco. Prodi media: «Legalità ma anche solidarietà»
Publie le giovedì 27 ottobre 2005 par Open-PublishingGiordano sfida Cofferati: «Fermati o è rottura»
di Claudio Jampaglia
Sergio Cofferati "non si fa intimidire", smorza i toni concedendo la discussione in giunta del suo ordine del giorno sulla legalità e portando il voto direttamente in consiglio, ma non vuole "stravolgimenti né sbavature né incertezze". Risponde Franco Giordano, capogruppo alla Camera, con i vertici del partito a Bologna: "Leggeremo il documento e i compagni in consiglio comunale saranno liberissimi di non votarlo. La minaccia di mandarci all’opposizione non ha senso contro di noi, il governo non è un fine ma un mezzo. Poi decida Cofferati, se vorrà costruire un percorso di segno diverso, siamo qui".
Il dibattito di palazzo è comunque tutto contro Rifondazione e sulla tenuta di un futuro governo di centrosinistra (che ancora non c’è), con un Gianfranco Fini minaccioso come a Genova: "Gli incidenti di Bologna sono stati certamente orchestrati da Rifondazione Comunista e dai suoi alleati che hanno dato l’assalto al palazzo comunale". Vi tralasciamo i Bondi e i Cicchitto (ma anche diversi esponenti riformisti e "moderati" del centrosinistra) che insistono sul fardello della sinistra in un futuro governo. In serata una telefonata distensiva tra Prodi e Bertinotti, smentisce qualsiasi accostamento possibile: "L’Unione per vincere deve essere compatta come sulle primarie e la legalità sempre da rispettare non deve essere scissa dalla solidarietà", avrebbe detto il Professore. D’altronde quando i disobbedienti hanno invaso il suo "cantiere" per il programma, Prodi ha aperto le porte, mica ha chiamato la polizia. "A Bologna non c’è nessuna metafora dell’inaffidabilità di Rifondazione, c’è un’anomalia che si chiama Cofferati", taglia corto Franco Giordano, ricordando Roma, Bari, Napoli ...
Il problema è Bologna o l’alleanza con il centrosinistra? È questa la domanda che rimbalza dalle due torri alla politica nazionale sullo scontro tra Cofferati, da una parte, e Rifondazione e movimenti, dall’altra. «A scanso di equivoci e di false interpretazioni, le trame oscure di Bertinotti non ci sono e lo scontro tra due personalità nemmeno», chiarisce subito Franco Giordano, capogruppo a Montecitorio del Prc, ieri a Bologna con i vertici del partito locale. La conferma in serata arriva dallo stesso Prodi che telefona al segretario di Rifondazione: «L’Unione per vincere deve essere compatta come sulle primarie e la legalità, sempre da rispettare, non deve essere scissa dalla solidarietà», ha detto il Professore. D’altronde quando i disobbedienti hanno invaso il suo "cantiere" per il programma a Bologna, Prodi non ha mica chiamato la polizia, ma ha aperto le porte. Il dibattito nazionale è comunque tutto contro Rifondazione e sulla tenuta del futuro governo di centrosinistra che ancora non c’è, con un Gianfranco Fini minaccioso come a Genova nel 2001: «Gli incidenti di Bologna sono stati certamente orchestrati da Rifondazione comunista e dai suoi alleati che hanno dato l’assalto al palazzo comunale». Tralasciamo i Bondi e i Cicchitto (ma anche diversi esponenti riformisti e "moderati" del centrosinistra) che insistono sul fardello della sinistra in un futuro governo.
E allora cosa sta succedendo a Bologna? «Che Rifondazione vuole rompere lo schema secondo cui all’opposizione si è in sintonia con i movimenti sociali, mentre al governo ci si contrappone - spiega Giordano - vogliamo portare al governo la ricchezza delle idee, delle lotte e delle proposte dei movimenti. Un grande tema della riforma della politica per Bologna, come per il governo del paese, alcuni l’hanno capito altri no». Ovvero? «Basta citare Roma, dove Veltroni ha operato il trasferimento di un campo nomadi con il consenso e la partecipazione dei municipi e delle associazioni, mentre sulla casa cerca una strada per risolvere delicate questioni, con la politica e non con la forza pubblica. Oppure scendiamo a Napoli dove Rosa Russo Jervolino ha acquisito i locali di Officina 99 per permettere la sopravvivenza di un centro sociale, o ancora a Bari dove il sindaco Emiliano nega l’insediamento di un nuovo Cpt. A Bologna non c’è nessuna metafora dell’inaffidabilità di Rifondazione, c’è un’anomalia che si chiama Cofferati».
Intanto il sindaco smorza i toni dopo una riunione di giunta definita "costruttiva" da molti assessori e riconferma la sua linea. Concede la discussione in giunta del suo ordine del giorno sulla legalità previsto per il 2 novembre, ma voterà il consiglio. «Su temi così delicati» il sindaco non vuole "stravolgimenti" né "sbavature o incertezze". In sostanza l’aut-aut per i dissenzienti rimane, ma ci sarà un confronto. Risponde Franco Giordano: «Leggeremo il documento e i compagni in consiglio comunale saranno liberissimi di non votarlo. La minaccia dell’opposizione non ha senso brandita contro Rifondazione, per noi il governo non è un fine ma un mezzo. Poi decida Cofferati, si prenda lui la responsabilità di mandarci o meno fuori dalla giunta, se invece si vorrà costruire un percorso di segno diverso, noi siamo qui».
A Bologna il dibattito sul sindaco che aveva acceso le speranze di convivialità, cultura, dialogo per la città ed ha proposto un’arcigna socialdemocrazia della legalità precostituita, impazza. Valerio Monteventi, consigliere comunale indipendente eletto nel Prc, si sospende dalla maggioranza: «Se Cofferati avesse avuto queste posizioni durante la campagna elettorale io non lo avrei appoggiato. Chi ha cambiato posizione è il sindaco che non ha avuto problemi a prendere i voti dei movimenti». L’ex primo cittadino, Guido Fanti, ora nella direzione Ds della città, dopo aver proposto ai suoi di «chiedere scusa ai rumeni del lungo Reno», ha rincarato la dose ricordando che mai Palazzo D’Accursio, la sede del Comune, è stato sbarrato dalla polizia, nemmeno nel 1968. Luigi Pedrazzi, cattolico d‘impronta dossettiana, già vicesindaco nell’ultima amministrazione di sinistra della città ha commentato che con le ruspe non si costruisce nulla, la Cgil ha definito «inutile» l’intervento contro i baraccati. Mentre l’Arci, con il presidente nazionale Paolo Beni e quello di Bologna, Giovanni De Rose, dice che «pensare di risolvere i problemi sociali con misure repressive è una scorciatoia sbagliata». Beni, che fu uno degli organizzatori della serata al Palasport di Firenze di lancio politico per Cofferati leader proprio dei movimenti (era il gennaio 2003), dice anche che «sul tema della legalità esiste oramai una retorica dalla quale non si può prescindere, di fronte a gravi problemi sociali ci vogliono soluzioni partecipate».
E mentre si moltiplicano gli attestati di solidarietà a Tiziano Loreti, segretario cittadino del Prc colpito alla testa dai poliziotti con cui stava mediando («Stavo meglio prima», l’unico commento dell’interessato). Sui fatti di palazzo D’Accursio interviene anche il Procuratore Capo di Bologna Enrico Di Nicola annunciando l’apertura di un’inchiesta: «Dove viene usata violenza che possa essere strumentalizzata, soprattutto contro le istituzioni, sarà perseguita», promette e aggiunge, «dove non c’è legalità nascono rapporti di forza dove soccombe il più debole e dove vince chi ha più forza economica, politica o fisica». Parlavamo di baracche di poveracci sul lungo Reno, appunto. In nome della legalità si schierano poi un po’ tutti, dal Sindacato autonomo di polizia che plaude il coraggio del sindaco, a tutta la destra (Lega esclusa) al grido di "Cofferati è un Guazzaloca di sinistra" (chissà come gli farà piacere). Risponde ancora Franco Giordano: «Rifondazione ha fatto della legalità la sua bandiera in Sicilia, Calabria, Puglia, contro l’evasione fiscale, contro il mercato del lavoro nero, contro gli abusi edilizi e le speculazioni finanziarie rapinose, brandire la legalità contro i soli poveracci è indecente e praticamente anticostituzionale». Ma nella Puglia dei braccianti del latifondo, come nelle fabbriche del Nord in cui veniva impedita l’entrata dei sindacati, come si sono ottenuti i diritti? Lottando e portando avanti le domande di cambiamento. La sinistra è questo, altrimenti il latifondo e il divieto di sciopero esisterebbero ancora.