Home > Borsellino, 15 anni dopo
Anche se si e’ un semplice cittadino, essere onesti e non deflettere dai propri principi morali in un paese dove la corruzione e il crimine sono al potere, accettati o subiti dalla maggioranza della gente, costituisce da solo un atto di coraggio”.
“Paolo Borsellino, una di quelle rare creature che ogni tanto il cielo manda a questa terra, a una terra che non lo merita”.
(Nino Caponnetto)
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Il 19 luglio 1992 il giudice Borsellino fu dilaniato con i cinque uomini di scorta da una bomba imbottita di tritolo e targata mafia. Borsellino aveva 52 anni ed era stato uno dei piu’ fieri avversari della mafia.
A tutt’oggi i mandanti occulti di questa strage non sono stati identificati. Negli atti del processo appaiono i nomi di B e Dell’Utri.
Dell’Utri, ricordiamolo, ha fondato Fi con B, lo ha sempre consigliato e guidato, standogli costantemente vicino, e’ il Presidente di Finivest, e’ accusato di aver sempre tenuto i contatti tra B e la mafia, e’ quello che porto’ ad Arcore il boss del narcotraffico Mangano, e’ stato condannato a 9 anni di carcere per collusione mafiosa in aggiunta ad altre condanne per altre reati come estorsione, calunnia, false dichiarazioni in ordine ad alcuni pentiti e frode fiscale, non ha perso per questo nessuno dei suoi titoli ed e’ tutt’ora Senatore della Repubblica, senza che la collusione costante e perenne tra i vertici di FI e una delle piu’ feroci organizzazioni criminose del mondo preoccupi piu’ di tanto i suoi elettori.
Quando Borsellino fu assassinato, Falcone era morto da due mesi.
Come avvenne per i diari che Falcone teneva in cassaforte, anche la borsa di documenti di Borsellino spari’ all’arrivo dei carabinieri. I documenti di Borsellino contenevano indizi sull’omicidio di Falcone e, verosimilmente, in entrambi i plichi scomparsi si denunciavano connessioni inquietanti tra Stato e mafia. Curiosamente quella borsa scomparsa era stata donata a Borsellino proprio dai carabinieri.
Nel caso di Borsellino, il carabiniere che fece sparire la borsa non e’ ignoto, si chiama Giovanni Arcangioli, ed e’ lo stesso che coordino’ indagini e intercettazioni, aiutato da Aurelio Auricchio, gia’ denunciato per manipolazione di intercettazioni telefoniche. Entrambi sono uomini di fiducia del generale Mori, capo del Sisde. Possiamo non pensar male, ma il fratello del generale Mori dirige le attivita’ di sicurezza di Mediaset e il generale e’ in ottimi rapporti con B.
B ha usato sempre lo stesso sistema per depistare qualunque sospetto sulla sua inquietante persona: creare uno scandalo, attaccare i magistrati che si occupano delle inchieste, lanciare intimidazioni, costruire campagne di calunnie e diffamazioni. Finora, come si vede dal largo seguito che non e’ mai mancato, il sistema ha funzionato benissimo, il che prova, nei fatti, che almeno meta’ degli italiani sostiene per libera scelta la mafia e la peggiore criminalita’ di questo paese.
Mentre in qualsiasi stato democratico un’ombra anche leggera sul premier ufficiale desta la vivace reazione dell’opinione pubblica, che materialmente ne determina l’estinzione, costringendolo alle dimissioni per il peso dello scandalo, in Italia, democrazia infantile e imperfetta di soli 60 anni, nessuna pulsione democratica o etica scuote un popolo ignorante, amorale, abituato al peggio, immeschinito nelle proprie miserie e nei propri vili interessi e uccisore della democrazia.
Un fatto e’ certo: dietro le manovre illegali di quel coacervo political-mafioso che ormai tiene incaprettato questo paese, troviamo sempre i servizi segreti, con soggetti inqualificabili, come quel Pollari che dichiara cose del tutto risibili con autentica faccia di pietra: Pio Pompa e’ stato nominato con regolare concorso (lo ha nominato lui direttamente), non dipendeva da lui (era il suo piu’ stretto e segreto collaboratore), non sapeva nemmeno del suo ufficio (i documenti provano il contrario), non e’ vero che indagasse su magistrati (almeno 250 giudici tra italiani ed esteri), non dossierava altro che notizie di pubblica conoscenza ( c’era anche materiale coperto da segreto di stato o per cui aveva violato la segretezza epistolare o fatto spionaggio illecito)…
Ci aggiungiamo l’immunita’ costante delle forze di sicurezza quando commettono abusi, siano esse servizi segreti, carabinieri, polizia o Guardia di Finanza (vedi il g8 di Genova), per qualsivoglia reato (ricordiamo solo i finanzieri corrotti da Berlusconi per avallare false denunce fiscali, di cui alcuni furono assunti da B stesso con grossi compensi, altri restarono nell’arma senza sospensione alcuna).
Se poi si passa dal reato fiscale e finanziario agli orrendi crimini mafiosi, la collusione tra forze di sicurezza e crimine gode di una protezione anche maggiore, basti pensare ai 40 anni indisturbati di Provenzano, o, appunto, ai furto fatti da forze dell’ordine dell’agenda di Falcone o dei documenti di Borsellino, basti pensare ai dieci anni di processo ad Andreotti finiti con un annullamento dello stesso dopo che al secondo appello era stata provata la sua colpevolezza nell’assassinio del giornalista Pecorelli con una pena di 24 anni di carcere, eppure i frutti di una trentennale collusione mafiosa con pezzi dello Stato sono, in Sicilia, sotto gli occhi di tutti.
Ci mancava l’atteggiamento inqualificabile di individui come Speciale alla GdF, che aveva costituito uno squadrone di fedelissimi inamovibili, commetteva atti sospetti di eversione nei confronti del governo attuale, era rimasto alla strette dipendenze di Berlusconi, ancorche’ non piu’ capo del Governo, rifiutava gli ordini dei superiori attuali e arrivava a denunciare il Ministro delle Finanze, suo diretto superiore, per aver detto la verita’ sul suo conto, mentre il compiacente Prodi tendeva a premiarlo con un incarico alla Corte dei Conti e l’obliquo De Gregorio provvedeva a prenderne le difese.
Per nostra conclamata sciagura siamo in uno Stato dove chi combatte la mafia e’ contrastato da chi governa, non riceve dallo Stato gli aiuti di cui abbisogna, sovrintende squadre dotate di scarse disponibilita’ finanziarie (che questo Governo ha tagliato ancora piu’ del precedente, mentre aumentava le spese militari all’estero); chi combatte la mafia o le altre forme di criminalita’ trova opposizioni nel portare avanti le indagini, viene pesantemente calunniato da media manovrati da precise forze politiche, e’ spesso privato della scorta per volonta’ superiore (vedi la Bocassino punita da Berlusconi), e’ tartassato da indegni Ministri della Giustizia (Mancuso, Castelli, Mastella..), deve usare strumenti processuali distorti dagli avvocati dei rei al solo scopo liberatorio, e, se viene assassinato, e’ addirittura derubato alle stesse forze dello Stato che hanno il compito di fare le indagini e che invece le inquinano (basti pensare alla funzione di depistaggio dei servizi nelle stragi di Stato come la strage della stazione di Bologna) .
Possiamo anche illuderci di essere una democrazia, ma i fatti provano che, grazie a figuri come B e Dell’Utri, e alla ignavia inaccettabile di altri simili del csx, l’Italia si sta avviando a passi rapidissimi a diventare un paese da Terzo Mondo, dove la democrazia e’ una parola vuota e il governo e’ in balia di gruppi di potere, spesso occulti, qualche volta criminali, sempre antidemocratici.
Che in una situazione cosi’ grave l’unica preoccupazione di chi dovrebbe governare opponendosi alla criminalita’ mafiosa e politica sia di fondare simulacri di nuovi partiti con vecchie persone e nuovi nomi, di creare liste di candidati amorfi o sospetti, o di lottizzare il lottizzabile, moltiplicando cariche, privilegi ed imperi, ci lascia di ghiaccio.
Nulla di quel che e’ successo in Italia negli ultimi decenni sarebbe stato possibile se ci fosse stata l’opposizione ferma e irriducibile da parte del Centro e della Sinistra di un insieme di partiti, o almeno di persone, oneste, pulite, non compromesse, con pochi e chiari principi morali.
Ma cio’ non e’ stato.
Chiunque sia andato al potere, comunque si fosse presentato ai suoi albori, e’ stato risucchiato in una palude di compromessi, ricatti, compravendite, privilegi, omerta’, e si e’ snaturato omologandosi al peggio, da Bossi a Bertinotti, lasciando gli elettori ancora democratici e ancora vigili col sapore amaro del tradimento.
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Messaggi
1. Borsellino, 15 anni dopo, 21 luglio 2007, 11:27
Gia’ l’attentato contro Falcone aveva caratteristiche più "terroristiche" ( nel senso "colombiano" del termine") che non classicamente mafiose.
Falcone ormai da tempo stava a Roma, come consulente al ministero del Guardasigilli Martelli, e non aveva più alcun ruolo diretto nelle indagini contro Cosa Nostra.
Certo, le sue proposte di riforma sul terreno politico/giudiziario rappresentavano certamente un potenziale pericolo per la mafia ma questo difficilmente poteva giustificare un "attentatuni" come quello di Capaci.
E’ probabile invece che la strage di Capaci , più che l’esigenza di eliminare un nemico, fosse un segnale allo "stato", un modo per iniziare, da posizioni di forza, una trattativa.
Trattativa che molto probabilmente fu effettivamente iniziata ....
E rispetto alla quale Borsellino era un irriducibile avversario .....
Da cui il secondo attentato.
Con la differenza che se nell’attentato contro Falcone Cosa Nostra agisce in proprio, anche se per obiettivi comunque diversi da quelli che immediatamente potrebbero apparire, in quello contro Borsellino scendono realisticamente in campo entrambi i soggetti della "trattativa" che era stata messa in piedi.
Non appare casuale il fatto che, mentre nell’azione contro Falcone agisce il gotha dei corleonesi, cioè i più stretti collaboratori in quel momento di Totò Riina, in quella contro Borsellino gli esecutori sembrerebbero invece "mezze tacche", appartenenti a "mandamenti" minori, di quartiere, della mafia palermitana.
Gente che, senza appoggi logistici e tecnici di un certo tipo ( per intenderci, "di stato",)difficilmente sarebbe stati in grado di compiere una simile iniziativa ....
Non enfatizzerei invece troppo il ruolo dei "berluscones" siciliani, Dell’Utri in testa.
Gente sicuramente al di sotto di ogni sospetto, ma in quella fase ancora in balia delle traversie di Tangentopoli ed ancora confusamente legati alla mafia "perdente", cioè ai nemici di Riina,di Provenzano e di Bagarella.
Probabilmente interlocutori privilegiati i "berluscones" lo diventeranno nei mesi successivi, quando i corleonesi ed in particolare Provenzano getteranno alle ortiche - probabilmente anche per la "trattativa" messa in piedi di cui parlavo prima - la stategia "colombiana" e politicamente "separatista" di Riina per appoggiarsi invece al neonato partito di Forza Italia e sostenere quindi, nel 1994, l’avvento di Berluskoni al governo.
K.