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Brunetta all’attacco dell’art. 1 della costituzione
Publie le sabato 2 gennaio 2010 par Open-Publishing8 commenti
RIFORME: BRUNETTA, MODIFICARE COSTITUZIONE A PARTIRE DALL’ARTICOLO 1

Le riforme dovranno riguardare solo la seconda parte della Costituzione, “ma anche la prima, a partire dall’articolo 1: stabilire che l’Italia e’ una Repubblica democratica fondata sul lavoro non significa assolutamente nulla’‘.
Lo dice, in un’intervista a ‘Libero’ il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta, secondo il quale la parte valoriale della Costituzione ”ignora temi e concetti fondamentali, come quelli del mercato, della concorrenza e del merito’
Eccoci alla prima stronzata dell’anno. E chi la poteva dire se non l’autore di mille insulti e zero riforme?
Questo essere ignorante e presuntuoso che nonostante la criminalizzazione degli impiegati non abbia sortito alcun effetto sul fronte malati immaginari, continua a fare dichiarazione da scemo, annunci buoni per la sua platea di decerebrati a cui piace la politica delle tante chiacchiere e fatti zero di questo governo.
La costituzione nei suoi primi 15 articoli fondamentali non si tocca: ci sono i valori ed i principi fondamentali dello stato democratico che la destra di plastica, d’affari e razzista vuole evidentemente cambiare magari sostituendola con lo statuto di una spa.
Continua qui il post di Rosellina
Messaggi
1. Brunetta all’attacco dell’art. 1 della costituzione, 2 gennaio 2010, 15:32, di e = mc2
Così ho già commentato su Il Messaggero, non appena apparsa la notizia:
"
Ben detto!
Ma sì; e già che ci siamo provvediamo anche a sostituire il termine Repubblica con Sultanato.
Ci porteremmo avanti con il lavoro per non dover mettere mano alla Carta una seconda volta in breve tempo.
Auguri Sig. Ministro, dall’ "alto" del suo incarico ha professato la prima castronerìa (eufemismo natalizio).
C’è un Concorso a premi al riguardo?
commento inviato il 02-01-2010 alle 12:57 da carunchio1
"£
1. Brunetta all’attacco dell’art. 1 della costituzione, 2 gennaio 2010, 18:39, di priolo
brunetta come tutti i nani di questo governo e un razzista e leccapiedi epensa solo agli interessi del suo padrone grazie a gente come lui siamo diventati la barzeletta deuropa
2. Brunetta all’attacco dell’art. 1 della costituzione, 2 gennaio 2010, 18:37, di torba
è chiaro che tenderanno a sfasciare tutto inserendo riferimenti al mercato dentro la costituzione e levando il concetto di diritto al lavoro
3. Brunetta all’attacco dell’art. 1 della costituzione, 2 gennaio 2010, 20:09, di Nando
DOBBIAMO UNIRCI E MOBILITARCI ALTRIMENTI, ’’QUESTI LOSCHI’’ FIGURI SOCIALISTI PIDUISTI INNETTI E NANETTI CI FARANNO UN C...LO COSI’... SE NOI RESTIAMO INERMI !!!!!!!!!!!!!!
1. Brunetta all’attacco dell’art. 1 della costituzione, 3 gennaio 2010, 23:53, di anarcos
dobbiamo dobbiamo... allora, caro nando, cosa proni in pratica?! altrimetni siamo sempre qua a menarcela tra noi! Dove ci troviamo, cosa facciamo, quando?
2. Brunetta all’attacco dell’art. 1 della costituzione, 5 gennaio 2010, 04:10, di Nando
CARO ANARCOS PRIMA DI TUTTO DOBBIAMO MANTENERE I NERVI SALDI, IL NOSTRO COMPITO E QUELLO DI SENSIBILIZZARE TANTA GENTE ORAMAI ALIENIZZATA DALLA TV DI REGIME, DALLA STAMPA E DALLA POLITICA GOVERNATIVA E PARLAMENTARE,BISOGNA UNIRSI E MOBILITARSI FABBRICA PER FABBRICA, CITTA’ PER CITTA,’ QUARTIERE PER QUARTIERE, UNA DURA LOTTA, MA SEMPRE PACIFICA ALTRIMENTI FACCIAMO IL LORO GIOCO.INFINE CERCHIAMO DI CONTATTARCI ANCHE TRAMITE WEB E CREDIMI NON E’ TEMPO SPRECATO.
4. Brunetta all’attacco dell’art. 1 della costituzione, 2 gennaio 2010, 21:17
Chissà se è la parola democratico o la parola lavoro che gli fa schifo....magari tutte e due?michele
5. Brunetta all’attacco dell’art. 1 della costituzione, 9 gennaio 2010, 23:18, di alferazzi
"L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. ..."
L’incipit del nostro testo costituzionale sottolinea subito e chiaramente come, oltre l’identità repubblicana dello Stato ed il suo carattere democratico, la Nazione sia "fondata sul lavoro". Un’espressione, quest’ultima che, alludendo - ovviamente - al lavoro in tutte le sue forme, afferma un principio di ordine etico-sociale secondo cui la società italiana vuole essere una società avanzata che esclude ogni forma di privilegio (economico, sociale etc.). Si tratta di un’affermazione di carattere generale come quelle contenute negli altri 11 articoli dei Principi fondamentali che non per questo costituiscono un preambolo di scarsa importanza ma, al contrario, delineano le caratteristiche programmatiche fondamentali della Repubblica, affermando solennemente e ribadendo i valori civili e morali sui quali si deve fondare la vita della società italiana.
Anche al lettore non necessariamente competente non sfugge che la nostra Costituzione, riconosciuta da insigni giuristi a livello nazionale ed internazionale una delle più avanzate del mondo, non è un arido documento notarile, ma un grande progetto ideale e civile in gran parte ancora da realizzare, frutto di un dibattito denso e approfondito nonchè di uno sforzo elaborativo dei costituenti che riuscirono a conciliare culture diverse quali quelle cattolica, socialista e liberale in un testo ricco di prospettive e di volontà innovatrice.
Dunque il lavoro intrecciandosi con l’uguaglianza, la giustizia e la libertà, tutti valori fondanti della nostra Costituzione, assume una posizione di centralità nella comunità nazionale, nel senso che gli è riconosciuto il valore di massima espressione della personalità, della creatività, dell’ingegno umano, in definitiva della dignità della persona che attraverso il lavoro si afferma nella sua autonomia e nelle sue opportunità e diviene soggetto con cui confrontarsi perché portatore di interessi, di un proprio punto di vista e non semplicemente mero esecutore in un quadro dominato dalla logica dell’impresa e del profitto.
Al significato del lavoro umano come sopra delineato ha contribuito, come già accennato, non soltanto il pensiero socialista e quello liberal-democratico ma anche, ed in modo importante, il pensiero cristiano e la dottrina sociale della Chiesa a partire dalla Regola benedettina (attraverso il lavoro l’uomo rende più bello il creato, partecipando - così - all’arte ed alla saggezza divina) fino ad arrivare alla Rerum Novarum ed alle altre encicliche in cui il lavoro è fra i temi rilevanti. Tutte espressioni che pongono la persona al centro del mondo produttivo e che conferiscono al lavoro il suo giusto senso di dignità essenziale di ogni uomo e di ogni donna, come riproposto, in ultimo, da Papa Benedetto XVI nell’enciclica "Caritas in veritate" in cui pone l’accento su un "lavoro decente" con queste parole:
"Serve garantire a tutti l’accesso al lavoro, e anzi, a un lavoro decente. Bisogna rafforzare e rilanciare il ruolo dei sindacati, combattere la precarizzazione e a meno che non comporti reali benefici per entrambi i Paesi coinvolti la delocalizzazione dei posti di lavoro"
Mi sembra che vi siano argomenti sufficienti per ribadire con forza ed eventualmente con la risolutezza necessaria, che "L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro".
Se ne faccia una ragione il sig. Brunetta secondo il quale " ...stabilire che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro non significa assolutamente nulla..." perché "...la parte valoriale della Costituzione è figlia del clima del dopoguerra... e...ignora temi e concetti fondamentali come quelli del mercato, della concorrenza e del merito". Espressioni queste che evocano nostalgicamente quel clima liberista che ha segnato il mutamento politico e sociale dagli anni Ottanta in poi e che oggi, ben collocandosi nello sciocchezzaio della fauna nazionale, farebbero semplicemente sorridere se non fossero state pronunciate da un ministro della Repubblica.
Di fronte alle attuali difficoltà che vedono l’insieme del mondo del lavoro, dipendente ed autonomo, soffrire drammaticamente nei suoi diversi segmenti per la moltiplicazione di elementi di precarietà ed instabilità, trasformarsi in una specie di grande società del rischio, nonché assistere al forte affievolimento ed alla inefficacia della sua voce e della sua influenza nella società per la perdita del suo peso e del suo prestigio sociale oltre che per il quasi azzeramento del suo peso politico, l’improbabile ministro Burletta non si sente impegnato insieme alle forze sociali, alle categorie economiche ed alle istituzioni a resistere alla crisi, a ripararne i danni, a costruire prospettive di ripresa, sostenendo e tutelando la centralità del lavoro per difenderlo e valorizzarlo come diritto fondamentale della persona e della sua dignità e per garantirne la sicurezza e ricercare un minimo di condizioni di certezza.
Al contrario il sacerdote del mercato, della concorrenza e del merito vorrebbe un radicale stravolgimento dei principi etico politici e sociali che hanno ispirato i nostri costituenti in nome di un libero mercato di cui, in una situazione quale quella italiana, è quanto meno azzardato parlare perché in realtà il mercato è controllato sia dal lato della domanda che da quello dell’offerta dalle grandi concentrazioni economiche, dai loro manager, da chi attua giochi speculativi conoscendo in anticipo i dati economici ed investe su prodotti finanziari anziché nella produzione, contando di lucrare su variazioni di prezzo senza lavorare, dai grandi operatori economici che influendo sul mercato guadagnano a scapito dei piccoli e così proseguendo in un percorso speculativo che trasferito in ambito globale è quel vicolo cieco che ci ha portato alla crisi.
L’ex venditore ambulante di gondolette di plastica, che oggi si spaccia per guru dell’economia, dal curriculum che non brilla per coerenza, invece di pretendere rigore e merito, naturalmente dagli altri, pensi piuttosto alla sua scarsa produttività e presenza da parlamentare europeo, alla sua carriera accademica non certo (come pretende) all’altezza di un Nobel, a svelarci il segreto della sua straordinaria capacità rispetto ai comuni mortali di ricercare ed acquisire immobili a basso costo e se non vorrà farlo che vada a quel paese... dove si predica bene e si razzola male!
Alferazzi Giambattista